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martedì 18 dicembre 2012

Annataletutibuoni.


Puntuale, come il giramento di stomaco che precede una diarrea se si esce sul balcone a pancia nuda in una mattina di fine novembre, è giunto il primo, rituale, scassamento di balle che annunzia l’imminente pranzo del venticinque dicembre.
Vieni a pranzo a Natale?”, “No, grazie. vado fuori città”.
Stop. Interruzione momentanea delle comunicazioni.
Sospiro di sollievo.
Ma se fosse così semplice comunicare, i produttori di farmaci antistress e anti-gastrite, subirebbero perdite economiche al limite del collasso. E così, magari anche con un pensiero ai lavoratori che nell’eventualità perderebbero il posto, insomma per solidarietà, alla rottura di coglioni bisogna aggiungere un tassello, il senso di colpa.

venerdì 7 dicembre 2012

Il mio Natale. (si, è gelosia la mia…)


I bastardi non hanno tradizioni.
Volendo, posseggono brandelli di identità. Ma, proprio perché in qualche modo laceri, non esistono appieno.
Allora può capitare che, pur di sentirsi vivi, ci si aggrappi a quelle altrui. Non ti appartengono, ma te le fai piacere. E appartenere.
Anche se il discorso viaggerà in quella direzione, perché una direzione doveva prenderla in fin dei conti, non si tratta del solito e zuccheroso piagnucolìo pre natalizio.
La festa, le festività, sono ornamenti laterali. Sono mezzi, anzi cornici. Ma nulla hanno a che vedere col pensiero che mi frusta in questo momento.
Nonostante gli sforzi, non ho ricordi vividi delle feste natalizie in famiglia. Tolto qualche episodio relativamente recente.

lunedì 19 novembre 2012

Non conosco delusione.


Sembra strano. Chi non è mai stato deluso, in fondo?
Invece è proprio così. Non conosco delusione.
Perché delusione prevede aspettativa, e io non ho mai nutrito alcun genere di aspettativa. Né nei confronti di altre persone né per quanto riguarda le situazioni.
Mi adatto e mi regolo in conseguenza di quello che mi si pone dinnanzi.
Certo mi piace sognare, immaginare, costruire castelli per aria. Ma nel farlo sono sceneggiatore e mai regista. Il regista è sempre qualcun altro, che manipola anche la sceneggiatura. Io poi guardo i giornalieri e me li faccio piacere.

mercoledì 24 ottobre 2012

Pensierino stronzo del mattino.


Sono stato diligente per molto tempo.
Dormivo. O forse era placenta.
Poi, un giorno mi sono svegliato.
Ho conosciuto lei.

giovedì 4 ottobre 2012

Pareggianti.


Ci sono vincenti e ci sono perdenti.
Io sono un pareggiante.
Si, senza dubbio sono un pareggiante.
Sia chiaro, non è che non provo piacere nel vincere, di tanto in tanto. Ma non amo la competizione.
Se si gioca a carte, il mio obiettivo è il divertimento non la vittoria. Mi interessa la vittoria, ma solo perché mi diverte lo scambio di sfottò tra amici.
Non amo perdere, però.
Soprattutto, mi disturba quando mi accorgo che l’avversario persegue l’umiliazione per lo sconfitto.
E così, si rovina il gusto per il gioco.
Ma anche in altre attività, non amo la competizione.
Nel lavoro, nelle discussioni, nel rapporto con altre persone siano esse del mio o del sesso opposto.
Forse, la verità è che non mi piace un risultato a sfavore, una sconfitta. Allora rinuncio alla competizione.
Sarà un pensiero da perdenti?
Bah!
Preferisco da pareggiante.

sabato 29 settembre 2012

L’importante è capirsi.


Lui - “E’ già inverno!”
Lei - “Come dice?”
Lui - “Meglio trenta gradi tutto l’anno!” (alza la voce)
Lei - “Ah, si. Meglio il caldo.”

Lui se ne va borbottando e lei si rivolge a me.
 - “Non ho capito niente, ma cos'è ubriaco?”.


Dialoghi tra diversamente udenti.

giovedì 27 settembre 2012

Buongiorno...


…se ogni giorno,
ogni ora
senti che a me sei destinata
con dolcezza implacabile.
Se ogni giorno sale
alle tue labbra un fiore a cercarmi,
ahi, amor mio, ahi mia,
in me tutto quel fuoco si ripete,
in me nulla si spegne né si dimentica,
il mio amore si nutre del tuo amore, amata,
e finché tu vivrai starà tra le tue braccia
senza uscire dalle mie.

giovedì 22 marzo 2012

Esempi di schiavitù salariata.

Episodio Uno.
Un sabato d'estate di qualche tempo fa.
Ero disteso sul letto, faceva caldo e stentavo a prender sonno. Mi accorgo che è l'una del mattino, dallo squillo improvviso del campanello di casa.
Mi scappa un "che cazzo succede?" a voce alta e, dato che la finestra è aperta, chi ha suonato sente e mi risponde: "Gianluca sono io, Angelica. Scusa. Ho dimenticato le chiavi di casa, potresti aprirmi?".
Rispondo con un forzato semi-cortese "Arrivo" e mi alzo, maledicendo il mondo e ogni santo a memoria, mi vesto e vado ad aprirle.

Episodio Due.
Piena notte, alcuni anni fa.
Mi sveglio di soprassalto col telefono che squilla.
"Pronto?!". Intanto il cuore mi sale in gola, perché rispettivamente mamma e nonna vivono da sole separatamente e il primo pensiero è "E' successo qualcosa di grave".
"Ciao Gianluca, sono Antonietta. Volevo avvisarti che da me sono passati i ladri. Ti consiglio di dare un'occhiata, perché mentre uscivano li ho visti dirigersi dalla tua parte e armeggiare al tuo portone".
Con uno sforzo sovrumano riesco a trattenere un solenne "Vaffanculo" e le rispondo: "...ok, ma scusa...e a me cosa interessa? Mi hai chiamato alle tre del mattino per dirmi questo?"
E lei: "Certo!". E io: "Va bene, grazie. Buonanotte.".
Mi alzo per scrupolo, guardo fuori dalla finestra. Non vedo nessuno e me ne torno a dormire, incazzatissimo.
Qualche ora più tardi, appena possibile, vado dalla collega e le dico, cercando di mantenere la calma: "Hanno fatto danni? Mi auguro di no. E comunque, la prossima volta, per piacere, evita di telefonarmi. Perché a quell'ora, dato che non sono pagato ventiquattr'ore al giorno, possono pure portarsi l'intero palazzo che non me ne può fottere di meno. Chiaro?".
E lei: "Eh, ma non puoi fare così. Il tuo dovere è custodire, perciò devi essere disponibile anche fuori orario. E poi, guarda che se rifiuti disponibilità te la faranno pagare."
"Si, si ho capito. Ma esiste un contratto e nel testo non si parla di questo. Ciao", le ho risposto tagliando corto per via del sangue che mi affluiva copiosamente al cervello e mi invitava a gran voce a dirle "ma svegliati, scema!".

Episodio Tre.
Ottobre 2010.
Incontro la collega di cui sopra, al rientro dalle ferie.
Col solito sorriso metà ironico e metà stronzo, mi dice: "Era ora! Ma quanto ti sei fatto di ferie?"
"Un mese, settembre. Perché, ti crea problemi?", le rispondo lievemente scazzato.
"No, no per carità. E' solo che sai....tutto il mese...settembre...rientrano tutti e tu vai via...eh, bella la vita eh?", mi dice.
"Bella la vita, un par di palle!", la smorzo. "Mi spetta da contratto, la proprietà non mi fa questioni e io me lo faccio. Punto."
"Ah, certo. Ma dovresti anche pensare che il nostro è un lavoro di servizio, e se qualcuno avesse avuto bisogno?", insiste.
"Si arrangiava! Sono un lavoratore dipendente, non lo schiavo del palazzo. E poi scusa, ma ad agosto, quando tutti sono andati via, io mica ho fatto questioni sul fatto che lavoravo mentre gli altri erano in ferie. Te lo ripeto, dai un'occhiata al contratto. Se poi tu hai accordi diversi, non sono affari miei.".

Episodio Quattro.
Lo scorso dicembre, inizio mese.
Sempre lei, la collega. La incontro, come spesso accade, al mattino mentre si spazzano i marciapiedi.
"Ciao, come va?", le chiedo.
"Ah guarda, sono incazzata nera!", mi risponde.
"...azz...che t'è successo?", le chiedo incuriosito.
"M'è successo che sono una cretina! Avevi ragione tu. Sono tutti stronzi.", si sfoga.
"Racconta, fammi capire.", chiedo.
"La settimana scorsa, dopo il ricovero in ospedale, è morto il padre di mio marito."; "Cazzo! Mi dispiace."
"Enrico, ovviamente, è partito subito. Mi chiama il giorno dopo e mi dice che lo seppelliscono in due giorni, di chiedere un permesso e raggiungerlo per il funerale. Chiamo in amministrazione e chiedo il permesso. Sai cosa mi hanno risposto? Che capiscono la situazione, ma purtroppo dicembre è un mese particolare per via delle frequenti consegne di pacchi con corriere....che non possono concedere permessi nè ferie....eccetera. Guarda, sono veramente incazzata!
Uno si priva di tutto per il lavoro, per accontentare tutti e quando, per una volta, ho bisogno io, ecco il risultato. Ma ora basta!
Mi sono rotta le palle. Ho rinunciato alle ferie per cinque anni perché non me le facevano mai coincidere con quelle di mio marito, ma ora basta. Quest'anno non mi fregano.", un fiume in piena!
"Ma scusa, cosa hai fatto? Hai rinunciato alle ferie per cinque anni? Ma sei matta? Ma non ce l'hai il contratto?", la incalzo.
"Si, certo. Ma sai, una volta un piacere a uno...una volta un favore a un altro...", sconsolata.
"Bhè, scusa se te lo dico. Ma svegliarsi?", concludo amaramente.

Epilogo.
Il lavoro che svolgo è un lavoro tutto sommato semplice. Non necessita di alcun titolo di studio, solo una laurea in pazienza avanzata.
E' un lavoro da schiavi.
Nel senso che, per consuetudine, il "Portiere di stabile" o "Custode" o, come piace dire a me ironicamente, "Concierge" o "Front Desk Concierge" (...quando lo dico, mi si guarda stupiti perché nessuno sa cosa sia e io me la rido...), è sempre stato considerato un impiego da straccioni, da morti di fame con le pezze al culo; nell'immaginario collettivo, la o il "portinaio" veste abiti quasi cenciosi o con livrea di serie C, sa fare male di conto, non usa linguaggio forbito e deve (DEVE!) essere sempre disponibile e salameccoso verso i condomini.
Fortunatamente, la realtà è lievemente cambiata.
Ora esiste un C.C.N. e le mansioni sono regolate a norma di legge.
Tuttavia, le abitudini sono dure a morire.
E, dato che sul posto di lavoro non esiste controllo sindacale e per tutta una serie di motivi viscidi (l'alloggio, o meglio la topaia, in comodato d'uso, per esempio) che non ho voglia di elencare, ci si trova spesso a subire vessazioni.

martedì 6 marzo 2012

Mi scappa un bisognino.

Sento il bisogno di «ricominciare» a scrivere.
Oh, sia chiaro che non lo dico con l'atteggiamento di chi pensa di aver scritto chissà cosa.
Al contrario.
Ma sento il bisogno di «ricominciare» ad esprimere in forma scritta quello che sento, gioie e dolori, benessere e fastidio.
Forse perché mi rendo conto, e non è la prima volta, di non essere più in grado di produrre un pensiero più articolato dei ristrettivi centoquaranta caratteri che Tuittero e Feisbucco impongono. Forse perché ho l'arroganza di voler fingere di non essere parte della massa. Forse perché, semplicemente, come la maggior parte dei soggetti che stazionano nell'internetto, soffro anch'io di manie di protagonismo o sono edonista. Forse perché, non senza spocchia evidentemente, sono convinto di saperlo fare.
Comunque sia, ne sento il bisogno.
E diciamocelo, chi non ha bisogno di "dire"? Chi è che non sente la necessità di esternare il proprio pensiero, qualunque esso sia?
Non c'è nulla di cui vergognarsi. Ritengo sia un bisogno umano.
Poi, sicuramente, ci sono modi diversi per farlo.
Da questo punto di vista, internetto offre enormi possibilità.
Secondo molti, è il sintomo di una società di individui soli. Ma evitiamo, questa volta di fare sociologia spicciola.
Egocentrismo è sia mettersi in mostra, sia mettersi in mostra criticando chi si mette in mostra. Sicché....
Quando ho "inaugurato" IlDiariodiNessuno, quasi cinque anni fa, di blog si parlava solo in ristretti ambienti. Oggi, anche "grazie" all'esplosione di Feisbucco e varie, quasi non se ne parla più. Perlomeno nell'accezione che preferisco, ossia come diario personale.
Ma, perché questo discorso?
Per due motivi.
Il primo, per vedere se sono ancora in grado di buttare giù un pensiero appunto. Il secondo, per autogiustificarmi e trovare un senso.

Alla prossima.

domenica 9 ottobre 2011

Il mio essere normalmente disturbato.

Non amo la routine.
Quando abitavo dai miei, mia madre mi chiamava "il traslocatore" perché almeno quattro volte all'anno modificavo la disposizione dei mobili nella mia stanza. Dove vivo oggi, dato che lo spazio non è granché, mi limito alla risistemazione dei libri sugli scaffali.
Lo faccio anche nel "virtuale". Infatti sia facciata del blog che foto del profilo feisbucchiano non durano a lungo.
L'unica cosa che non cambio è il colore degli abiti che indosso. Tutto scuro. Blu, nero, grigio scuro, intimo compreso. Ma questo dipende dal fatto che mi torna utile alla mimetizzazione, all'essere notato il meno possibile.
Passare inosservato equivale, per me, alla certezza di non sollevarmi dubbi sul fatto che piaccia o meno fisicamente. Non mi si nota, quindi non posso suscitare scherno.
Sembra una contraddizione, ma in realtà questi due fatti sono conseguenti. La questione è chiara: nulla che mi riguarda mi soddisfa, quindi meglio non lasciare traccia, meglio non esistere.
Ma, ovviamente, non è possibile. Almeno non nel mio caso, perché qui entra in ballo la terza contraddizione che si scontra con le altre due. Ovvero la necessità di sentirmi utile in quanto persona.
Sono naturalmente consapevole che nel nostro tempo uno degli scompensi, psicologicamente parlando, che la maggior parte delle persone rileva è proprio il sentirsi, in alcuni momenti, utili e inutili, in altri. E che sarebbe necessario battersi affinché questo modo depravato di considerare le persone cessi ma, volente o nolente, consciamente o inconsciamente, l'ho assorbito e non posso tagliarlo come fosse una parte marcia della mela.
Mi tocca conviverci.
Poi, peggio del peggio, un giorno ci si accorge che non solo non è difficile conviverci ma addirittura ti da soddisfazione. Anzi, nel mio caso, l'unica soddisfazione. Uno scopo di vita, quasi.
Mi accorgo tuttavia, che anche anche questa mia necessità mi appaga solo se anonima.
Anonima, ma certo in modo relativo. Nel senso che mi piace essere utile ma non amo i complimenti. Decisamente mi imbarazzano.
Perchè non sopporto di essere al centro dell'attenzione, a meno che questa non sia circoscritta a poche persone e sotto il mio completo controllo della situazione.
Non mi intendo affatto di psichiatria, ma sono quasi sicuro di essere affetto da qualche forma di ossessione. E, questa scoperta dell'acqua calda, la intuisco dal fatto che il controllo delle situazioni, appunto, se non lo possiedo mi puzzano di prese in giro.
E con ciò finisco questo primo capitolo di viaggio nella mia vita fisica e mentale.

Sottofondo consigliato: "Sabrina", Einstürzende Neubauten ("Silence is sexy", 2000)

lunedì 21 marzo 2011

La regola della palla medica

C'è stato un tempo in cui mi nutrivo di pane e calcio. Il Lunedì e il Giovedì calcio a otto con amici e non, Martedì e Mercoledì Coppa in tivù, il Sabato ad arbitrare i ragazzi nel Campionato Csi e la Domenica il Toro in tivù o allo stadio. E, giusto per completare la "setti"mana, il Fantacalcio.
Da un punto di vista un malato, dall'altro una vita normale. Poi, all'improvviso il botto.
Prima un problema alla caviglia, attività ferma un anno, e poi il raggiunto limite di saturazione mi hanno tolto il vizio.
Come i fumatori.
Ora mi stufo facilmente. Non provo più interesse. L'unica maniera in cui ingerisco calcio è tramite PlayStation.
Eraclito diceva che non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume, in breve "panta-rei", tutto scorre. Non so se è stato il primo, di sicuro non è stato (e non è) l'unico a determinare la dinamicità del mondo e della vita.
Sembra impossibile, ma se ci si ferma un attimo a pensare scopriamo che tutto l'esistente si muove in continuazione anche se al nostro occhio appare il contrario. Muscoli involontari e volontari, nervi, organismi più o meno grandi, aria. In una parola, materia. E dato che tutto è costituito da materia, tutto si muove.
Questo significa che si "muove" anche il pensiero, che è composto da esperienza ed è in continuo sviluppo. Con ciò voglio dire che ogni essere umano, ma credo sia lo stesso per gli animali e ogni altro essere vivente, anche se apparentemente non sembra, non sarà mai la stessa persona. Da bambini ci piace il dolce e mangiare le caccole o ci si diverte a squartare una lucertola o si gioca a fare la casalinga, poi da adulti tutto questo, a parte alcuni casi definiti patologie (XD), ci disgusta.
Non necessarimente perchè "si cresce", semplicemente "si cambia".
Ecco, sono cambiato. Non in meglio o in peggio, semplicemente sono cambiato.
Oggi per me parlare di calcio equivale a parlare di un bel culo o di due seni ben fatti (sò homo!), cioè un semplice quanto inutile esercizio per non far rattrappire il muscolo della cavità orale.
Eppure, ciò nonostante (lo voglio sottolineare!) immancabile arriva qualcuno che ti fa: ".....hai visto la Canicattese United?".
Sulle prime si cerca di rimanere in un ambito di cortesia: "No, guarda sinceramente non mi interessa".
Ma "loro", gli "altri", "the others", insistono: "Cavoli che gol che ha fatto Piercarlo Strumpallazza! Grande vittoria del Roccacannuccia Fussball Klub!".
Allora, personalmente, adotto il metodo da me denominato "Uhm". Guardo il soggetto con lo stesso interesse riservato al bus numero 18 mentre aspetti il 25 e lancio il segnale: "...Uhm...".
Devo dire che determinati comportamenti umani mi lasciano perplesso.
Esiste una gran massa di persone, e prego di fare attenzione perchè non sostengo tutto ciò per snobismo o altro atteggiamento di superiorità, che hanno una scarsissima soglia di attenzione e dopo nemmeno tre minuti non riescono a mantenere la concentrazione mentre qualcuno gli parla di determinati argomenti, mentre riescono a seguire e a recepire perfettamente ogni genere di cazzata inerente lo sport nazionale.
Probabilmente è frutto di tutta una serie di imposizioni comportamentali fissate dalla televisione e tese ad abbassare la soglia generale di attenzione per meglio inculcare determinate tesi.
Si noti in proposito cosa accade durante la trasmissione di programmi che trattano temi di una certa rilevanza. Fino alla seconda metà degli Anni Ottanta, l'inquadratura rimaneva fissa sul soggetto che parlava inducendo quindi all'attenzione l'ascoltatore.
Oggi invece, l'inquadratura fissa un obbiettivo al massimo per 40-50 secondi e salta continuamente da un soggetto ad un altro, una pianta, il pubblico, eccetera, indipendentemente dal soggetto parlante.
Ma questo è un altro argomento, e mi fermo qui.

sabato 25 settembre 2010

My holidays 2010

Quest'anno in vacanza sono stato, per la prima volta in vita mia, nelle Marche in provincia di Ancona.
Ho sempre pensato che la "bellezza" di una vacanza non si misura tanto per il luogo che si visita, senza comunque tralasciarne l'importanza, ma per le persone con cui si condivide il tempo che si ha a disposizione. Ed anche in questo caso, per la maggior parte, è così.
Ho viaggiato con un vecchio, in tutti i sensi, amico e ho "conosciuto" e incontrato persone che già conoscevo ma mai avevo incontrato. E tutto ciò ha sicuramente reso la vacanza piacevole e "sicura", perché non avevo quasi dubbi sulla condizione di benessere che avrei provato.
Però, detta così, potrebbe apparire come la storia di una vacanza banale, quasi noiosa.
Invece è stato tutt'altro che un periodo di routine.
Non posso valutare il carattere generale degli abitanti, dato il breve tempo a disposizione, posso però dire che un particolare mi ha colpito, ossia che si ha l'impressione che il capoluogo sia dipendente dalla provincia e non viceversa. Si ha, insomma, l'impressione che più il nucleo urbano è grande e meno è appetito dalla popolazione.
Ancona, per esempio, non offre granché al turista, differentemente dalle più piccole Jesi, Recanati, Numana, Senigallia, Osimo. Nella loro indubbia provincialità di, relativamente, piccoli centri si offrono come mete ambite agli occhi curiosi del forestiero ma anche dell'abitudinario abitante. Novità, questa, ma anche delusione per certi versi. Dato che Ancona possiede un porto internazionale ed è quindi luogo di passaggio quasi obbligato a chi voglia attraversare l'Adriatico.
Si potrebbe pensare che, dato che era la prima volta, sia rimasto affascinato perché ho visitato luoghi sconosciuti, ma aldilà di questa verità, il fatto piacevole è che mi è parso di conoscere e addirittura abitare quei posti da sempre. Ho avuto l'impressione, ovvero, di trovarmi a casa mia. E quest'agio mi pesa molto.
Perché quando si parte inevitabilmente si ritorna e ciò crea una fastidiosa sensazione di disagio.
Senza voler essere affatto banale, ma comunque conscio che potrebbe così apparire, ricordo alcuni versi de "L'infinito" di Leopardi e ritrovo immagini mentali di quel che ho visto: silenzio e profondissima quiete, negato quasi a chi come me vive in una metropoli; il vento, quasi perenne che anche lontano dal mare da la sensazione del mare, appunto; e le stagioni che, attraversando le campagne, sembra di toccarle con mano, la terra bruna, le dolci colline e gli alberi. Sembra proprio di naufragare in quel mare, e la sensazione è effettivamente dolce.
Non è ovviamente mia intenzione fare uno spot turistico alla Regione Marche, voglio però, in questo modo, ringraziare per l'ospitalità offertami mai ostentata e, forse, per questo maggiormente gradita in quanto genuina.
E poi si torna a casa, in città. Nella mia città, Torino.
Che amo, sinceramente, ma che mi risulta ora quasi una prigione.

sabato 4 settembre 2010

La Terza Repubblica, una repubblica conto terzi.

La Terza Repubblica sarà migliore delle precedenti.
L'accesso al parlamento rispecchierà le regole dell'Nba e sarà a numero chiuso.
I partiti ammessi saranno solo quattro, due di governo e due d'opposizione: l'attuale PdL, che si trasformerà in Fondazione Italiana Grassi Antibolscevichi, sarà alleato all'attuale Lega Nord, che si trasformerà in Insurrezionalisti Venetolombardi per l'Autonomia; l'attuale PD, che inglobando tutta la Sinistra diventerà Federazione Americanizzata Maanche Europea, sarà alleato all'attuale Udc, che diventerà Democratici Internazionalisti Omeopatici.
I partiti d'opposizione potranno governare solo durante gli anni bisestili.
Sarà una Repubblica dell'Amore e il Presidente si chiamerà Lord One.
La televisione sarà proibita nelle case dei cittadini con reddito inferiore ai 2 milioni di euro, ma diventerà obbligatorio guardarla tutt'insieme nelle attuali chiese attrezzate con enormi schermi e mega impianti stereo.
Il diritto al voto sarà esteso agli animali domestici, cani, gatti, pesci rossi, tartarughe e pitoni, che, come si sa, "sono meglio delle persone". Ma questo causerà comunque le proteste delle associazioni "Coda lunga e moschetto, l'elettore perfetto!" e "Piccioni di tutto il mondo unitevi!" che rivendicheranno il diritto per ratti e colombi.
Ai comunisti verrà imposto di tagliarsi i capelli a zero e, per evitare confusione, verranno fornite parrucche di stato ai calvi.
Ogni mese verranno organizzati i "Giochi dell'Amore Democratico", questa sarà l'unica occasione riservata ai comunisti di farsi vedere per strada senza rischiare l'arresto. Si svolgeranno nelle piazze delle città e consisteranno nelle cosiddette "mattanze comiche": i bolscevichi verranno suddivisi in piccoli gruppi, gli verrà chiesto di parlare di Lenin e di Marx e poi, tra le sguaiate risa generali, verranno presi a schiaffi a turno. Il tutto con il benestare del Vescovo che, dal palco, ripeterà nel microfono la litanìa: "...E ringraziate tutt'insieme che siamo in democrazia...straccioni! E ringraziate tutt'insieme che siamo in democrazia...straccioni! E ringraziate tutt'insieme che siamo in democrazia...straccioni!".
Anche i rapporti di lavoro cambieranno.
I sindacati non esisteranno più tranne l'unico permesso dalla legge, il "Sindacato TOtale Contro l'AZione-di-disturbo-dei-fannulloni-comunisti".
L'acronimo CGIL diventerà, per legge, il suono onomatopeico dello starnuto nei fumetti. La Fiom sarà fuorilegge, la parola "Cremaschi" sarà bandita dal vocabolario e gli abitanti di Crema saranno chiamati "credini", dall'unione di cittadini e crema.
L'orario di lavoro verrà riformato. Tutti i lavoratori avranno l'obbligo contrattuale di essere impiegati per 8 ore in azienda e 3 nella casa del proprietario della stessa.
Infine, dopo una lunga battaglia contro Buttiglione e la Binetti sull'obbligo dell'utilizzo della "lingua di pezza" nei licei classici durante la traduzione a voce dal latino, Nichi Vendola sarà eletto Papa. E la prima innovazione che opererà sarà l'obbligo del foggiano durante la Messa.
E saremo tutti più felici e più belli.
E ci ameremo molto.


domenica 29 agosto 2010

Il declino di una città: da Torino a Chiamparinopoli.

Non so cosa pensa chi arriva da fuori, chi fa il turista. Io che ci vivo penso che sia molto bella, tutto l'anno e a qualsiasi ora del giorno o della notte.
Certo che vive per mezzo dei suoi abitanti, ma personalmente la preferisco quando è quasi deserta, quando si cammina per interi quadrilateri e non si incontra nessuno. Perché, secondo me, si esalta nella sua bellezza. Perché possiede una linfa storica e culturale che le permette di vivere di rendita.
I marciapiedi senza bordo di molte vie del centro che riportano a un tempo in cui le automobili erano una rarità concessa solo ai ricchi; le targhe coi nomi delle strade che illustrano il numero dell'isolato e il quartiere d'appartenenza; i balconi in pietra dei cosiddetti "piani nobili"; le finestre degli abbaini; i cortili con le fontane e, ancora in molti casi, le stalle riadattate a box per auto; i "toret", tipiche fontanelle di strada, ornate con testa di toro e dipinte di verde; i corsi abbondanti di platani e castagni; le tantissime piazze che, alcune grandi e altre piccole, raccontano le vicende dei dintorni e la storia della città; le persiane di legno verdi o grigie che arredano elegantemente le facciate.
Ogni angolo possiede una propria particolarità e, a dispetto della sua ritmica squadrata, difficilmente si ha l'impressione di trovarsi due volte nello stesso posto.
E poi i palazzi che, partendo dal centro, definiscono nettamente la direzione storica di crescita del nucleo urbano: barocco, tardo barocco, liberty, littorio, moderno, postmoderno.
Chi arriva in treno e scende a Porta Nuova, la stazione principale, si guarda intorno e subito si rende conto dell'unicità del paesaggio. La facciata della stazione è in stile Liberty e altrettanto il giardino della piazza che le sta di fronte, poi a destra e a sinistra un viale, corso Vittorio Emanuele II, che si allunga a perdita d'occhio interrotto da un lato, verso nord, dall'imponente statua dedicata al re e dall'altro, verso sud, dal ponte sul po dedicato al re Umberto I, e ancora chilometri e chilometri di portici che quasi nascondono alla vista i portoni dei palazzi a sottolineare la riservatezza che i cittadini ricercano e, in molti casi, ostentano.
E poi ancora, piazza Statuto con la statua dedicata ai caduti durante la costruzione del traforo del Frejus e i palazzi, tutti uguali per dimensioni e colori, un tempo riservati alle sedi diplomatiche molto numerose durante il periodo in cui fu capitale d'Italia. Il quartiere "Cit Turin" dove trionfa lo stile Liberty. La zona degli artisti con la piccola e meravigliosa piazza dedicata a Maria Teresa, principessa di Savoia, e le botteghe dei collezionisti e le gallerie d'arte. La strada principale, via Roma, che con i suoi palazzoni in stile Littorio sembra avvolgere la assolutamente metafisica piazza San Carlo, detta anche il "salotto di Torino", dove un trionfo di Barocco sembra aver fermato l'orologio del tempo all'epoca del Regno di Piemonte. E ancora, il San Paolo uno dei quartieri popolari più antichi che conserva i vecchi stabilimenti Lancia incastrati tra i palazzi abitati dagli operai.
Potrei continuare a descrivere tutti gli scorci che mi affascinano, ma mi fermo per non annoiare chi legge.
Quando sento il bisogno di respirare e assaporare quello che definisco il "vero spirito" di questa città, passeggio per le vie laterali quelle che solo i torinesi frequentano oppure faccio un giro in macchina per la penultima periferia dove il carattere popolare sembra essere rimasto intatto con le sue piole con le sedie impagliate occupate da anziani che giocano a carte o le massaie coi fianchi larghi e le sporte traboccanti di frutta e verdura appena acquistate in uno dei numerosi mercati.
Se poi il grigiore tipico del tardo autunno e una sottile ma tagliente pioggerella copre il tutto, il mio cuore esplode dall'emozione. Perché in queste condizioni si esalta a livelli eccezionali la bellezza e la natura riflessiva della città.
Tutto ciò è quel che amo di Torino, ed è quello che mi ha impedito di trasferirmi altrove, nonostante non mi siano mancate le occasioni.
Ma io voglio continuare a viverci e voglio morire qui.
Esiste però anche una parte fastidiosa, ed è la piega di ultra-progresso che negli ultimi venti anni le è stata imposta dalle amministrazioni che si sono alternate alla sua gestione.
E' importante chiarire che il sottoscritto non è assolutamente contrario al progresso, ma è altresì contrario allo scempio dettato da pelosi interessi economici e spacciato per progresso.
Non sono affatto esperto di urbanistica, ma non credo che sia necessario esserlo per rendersi conto che le recenti costruzioni siano un'offesa al buon gusto. Tanto da chiedersi se qui esista o meno un piano regolatore e uno specifico assessore istruito al suo rispetto.
Può sembrare paradossale affermarlo, ma si rimpiangono i palazzi costruiti negli anni Cinquanta e Sessanta per ospitare i lavoratori emigrati dal Meridione e dal Nord-Est in zone come Mirafiori, Le Vallette o Falchera che, nonostante la loro esagerata uniformità a tratti triste, forse, rendono comunque un'idea e una fotografia di quartieri vivi. Mentre i nuovi insediamenti abitativi che stanno sorgendo al posto dei vecchissimi stabilimenti abbandonati, sono sciatti, inodori, incolori, malgrado siano abbigliati con tinte sgargianti. Facciate di sole finestre, chiese ripiene di guglie improponibili e adorne d'acciaio. Il tutto costruito intorno ad enormi e impersonali capannoni adibiti a centri commerciali dove le insegne delle griffe squarciano la quiete del paesaggio.
Infine lo spreco.
Un nuovo genere di spreco, però, lo spreco a rendere.
Torino, tra alti e bassi, ha una popolazione che oscilla tra i novecentomila e il milione e mezzo di abitanti. E nonostante ciò può tranquillamente competere con le metropoli europee per quanto concerne le strutture sportive o pseudo tali.
Escludendo, ovviamente, le numerose piscine e le palestre di cui ogni quartiere è fornito, si possono contare: un velodromo, mèta di appassionati per la sua facciata e per il monumento dedicato a Fausto Coppi che gli sta di fronte ma che versa in condizioni di semiabbandono; due stadi per il calcio più uno in costruzione (il Comunale o Olimpico, il "Primo Nebiolo" e l'ex "Delle Alpi") e qui è necessario aprire una breve parentesi per illustrare la storia degli stadi a Torino dal Mondiale '90 ad oggi: all'epoca lo stadio Comunale aveva una capienza di circa settantacinquemila spettatori (in piedi), che ben stretti aumentavano a settantottomila circa, e anziché ristrutturarlo modernizzandolo e rendendolo idoneo alle nuove norme sulla sicurezza, si decise di costruirne uno in periferia per, si disse allora, "evitare le interminabili code e ottenere una defluenza più rapida", ma si scoprì in seguito che i motivi erano altri ossia l'ottenimento di fondi supplementari da Stato, Coni e Fifa, la storia del Delle Alpi dura sedici anni fatti di fastidi per i frequentatori della struttura dovuti alle raffiche di vento e alla scarsa visibilità, insomma uno stadio che non è mai piaciuto a nessuno. L'occasione per rivalersi arriva con le Olimpiadi invernali del 2006, quando si decide di ristrutturare il vecchio impianto Comunale, casa delle due principali squadre di calcio per oltre cinquant'anni, e, inspiegabilmente, invece di allargare le tribune e stabilire una capienza sui quaranta-cinquantamila si decide di stringere e rimpicciolire il tutto fino ad ottenere una capienza massima di ventitremila persone e con una a dir poco orribile visibilità del campo da ogni punto, complice soprattutto la presenza di barriere in plexiglass, per non parlare delle difficoltà inerenti il traffico automobilistico intorno alla struttura e quelle suscitate dai commercianti ambulanti del vicinissimo mercato di corso Sebastopoli, sale così il livello di avversione da parte degli stessi frequentatori. La Juventus, ovviamente mossa dai propri interessi commerciali, minaccia l'amministrazione di emigrare in un altra città e in risposta, la stessa amministrazione, cosa fa? Concede al Torino l'usufrutto gratuito dell'impianto per novantanove anni, mantenendo la proprietà e quindi senza la possibilità di apporre modifiche alla capienza e vende alla Juventus per una cifra ridicola l'impianto della Continassa (il Delle Alpi) così che possa ristrutturarselo a piacere.
Continuiamo con l'elenco delle strutture sportive.
La piscina Comunale, ex impianto dotato di vasca olimpica; due palazzetti del ghiaccio, completamente inutilizzati; e quattro palazzetti dello sport: il Palasport del parco Ruffini, un tempo casa della locale squadra di basket; il PalaVela; il PalaOval e il PalaIsozaki.
E, tuttavia, per esempio, uno dei festival estivi di musica per cui giungono in città giovani da tutta Europa, il Traffic Free Festival, si svolge a Venaria Reale, comune dell'hinterland.
Indubbiamente, per questioni economiche, si è dovuto fare buon viso a cattivo gioco. Aldilà infatti di quella attuale, Torino vive una crisi da almeno quindici anni con fabbriche che chiudono e società che traslocano, a Milano per esempio. E' perciò chiaro che si è dovuta reinventare. Ma questa operazione di rinnovamento, è stata guidata da una piega verso il basso.
Se la vecchia Torino operaia degli anni Sessanta-Settanta, pur mantenendo questa impostazione, era riuscita ad evolversi crescendo culturalmente fino a diventare un centro di nteresse turistico, ora il rischio reale è di trasformarsi in città-dormitorio.
Per carità, non dimentichiamo che su Torino incombe la vicinanza di Milano, come accennato, e non si tratta qui di fomentare campanilismi a volte sciocchi. Ma, a chi piace essere satellite?
Concludendo, ritengo che questa città abbia potenzialità poco coltivate e poco sviluppate e il sindaco, anziché pensare esclusivamente alla propria ambizione di amministratore a livello nazionale travestendo la città a sua immagine e somiglianza (tanto che in molti oramai la chiamiamo Chiamparinopoli.....), dovrebbe esaltarle invece che svenderle al peggior offerente.
Ripeto, non voglio fare il campanilista a tutti i costi ma non dimentichiamo che qui sono state battezzate molte eccellenze nazionali: la radio, la televisione, il cinema, le aziende del telefono, dell'energia elettrica, dell'automobile solo per citarne alcune. Senza contare poi che è da sempre una fucina di pensatori, scrittori, musicisti, ingegneri, informatici e chi più ne ha ne metta.

venerdì 27 agosto 2010

Un "virus" moderno.

Quando, oramai tre anni fa, ho iniziato a scrivere (su) questo blog, era soprattutto la curiosità che mi spingeva. Avevo sentito vagamente parlare di tale realtà e, nel pieno rispetto delle moderne regole di omologazione, mi sono detto: voglio farlo anch'io.
Qualcuno mi aveva detto che scrivevo bene (mi pare evidente che fosse una presa in giro...) e dentro di me è partita la scintilla.
Da un punto di vista creativo, i primi tempi sono stati eccezionali.
Sentivo di avere qualcosa da dire tutti i giorni. Ma sentivo anche che mancava una delle parti fondamentali: il dialogo.
Le visite, e soprattutto i commenti, erano così rare da farmi pensare di avere sopravvalutato le mie capacità. Così ho deciso di traslocare su una piattaforma meno ampia e sono approdato su Libero che, a mio parere allora, rispetto ad altri offriva una buona scelta di template e, soprattutto, una community di utenti ben avviata.
Ho parcheggiato i miei pensieri e i miei disgusti lì per un annetto e devo ammettere che mi ha dato qualche soddisfazione, il flusso di visitatori è aumentato esponenzialmente fino ad assestarsi sulle cinquanta fisse giornaliere (...che per molti è un numero da ridere, ma per il sottoscritto era un risultato fenomenale) e anche i commenti, quindi l'opportunità di dialogo, non mancavano.
Ho conosciuto (diciamo virtualmente) molte persone, alcune molto gradevoli, altre molto meno, ma comunque nell'insieme ho ricordi piacevoli di quel periodo.
Poi la "scoperta", il grande fastidio.
Non ho mai avuto la pretesa di possedere conoscenze particolari, ma ci sono momenti nella vita di ognuno di noi in cui ci si pone determinati quesiti di ordine fondamentale. Sono, queste, le classiche domande filosofiche che, volenti o nolenti, assillano il genere umano: chi e cosa siamo? qual'è il nostro scopo? In breve, la domanda delle domande: perchè?
Quindi, con tutti i limiti personali che possiedo, ho tentato di toccare argomenti di un certo tipo.
La delusione è stata tale da farmi pensare di avere a che fare con individui disinteressati e ignoranti.
Appena dedicavo un post a questioni filosofiche o politiche di un certo livello, ma pur sempre con il mio stile, che non definisco elementare ma nemmeno accademico, tutto taceva.
Pochi commenti, nessuna riflessione degna di nota, tranne qualche saluto o complimento (che , nel caso specifico, risultava a dir poco fastidioso).
Mi chiedevo: è possibile che quando si parla di cazzate tutti hanno qualcosa da dire e quando invece si parla del senso della vita o di importanti questioni politiche (...non nel senso di gossip parlamentare) nessuno si degni di, quanto meno, prestare attenzione?
Tutto ciò mi ha convinto a ritornare da dove ero partito e, armi e bagagli, ho fatto dietro-front qui su Blogger.
"Va bene. Ok, hai raccontato la tua storia. Ma qual'è il punto?"
Il punto è che mi ero sbagliato.
Mi sono reso conto che il problema non era causato da ignoranza o disattenzione.
Il problema è lo stesso che affligge l'umanità occidentale tutta: l'iper-individualismo.
Non interessa a nessuno costruire rapporti con altre persone, l'unico scopo è dire la "nostra". Ma ci importa poco o nulla se dall'altra parte c'è una persona o un tronco d'albero o una macchina che risponde in automatico.
E tutto ciò, evidentemente, è contrario alla natura umana.

martedì 17 agosto 2010

The hope of revolution (part 2 of 2)

«Lucifero dette il segnale della battaglia e vi si gettò per primo. Ci avventammo contro il nemico convinti di distruggerlo immediatamente e conquistare al primo assalto la sacra fortezza. I soldati del Dio geloso, meno focosi ma altrettanto fermi dei nostri, si rivelarono instancabili. L'arcangelo Michele li dirigeva con la calma e la decisione proprie di un cuore generoso. Tre volte tentammo di forzare i loro schieramenti che per tre volte opposero ai nostri petti corazzati le punte fiammeggianti delle loro lance pronte a trafiggere le corazze più resistenti. I corpi gloriosi cadevano a migliaia. Finalmente la nostra ala destra sfondò l'ala sinistra del nemico e si videro le terga dei Principati, Potenze, Virtù, Troni e Dominazioni che fuggivano flagellandosi con i calcagni, mentre gli angeli del terzo coro svolazzando smarriti sulle loro teste li ricoprivano d'una pioggia di piume e di sangue. Li incalzammo fra i rottami e le armi ammucchiate affrettando la loro agile fuga...Un uragano di grida ci sorprende ad un tratto.
Si gonfia e si accosta, carico di un vocìo disperato e di trionfali clamori: l'ala destra del nemico, gli arcangeli giganti dell'Altissimo, piombati contro il nostro fianco sinistro, l'hanno spezzato. Dobbiamo abbandonare i fuggiaschi e correre in aiuto alle truppe sbandate. Il nostro principe vi si dirige al volo e ridà fiato alla battaglia. Ma l'ala sinistra del nemico, di cui non avevamo completato la rotta, non più oppressa da frecce e lance riprende coraggio, si volta e nuovamente ci fronteggia.
La notte sospese l'incerta battaglia. Mentre il campo riposava, col favore dell'ombra, nell'aria tranquilla attraversata a tratti dai lamenti dei feriti, Lucifero apprestava la seconda giornata. Prima dell'alba, le trombe suonarono la sveglia. I nostri guerrieri sorpresero il nemico durante l'ora della preghiera e lo dispersero facendone prolungato scempio. Quando non vi furono più che fuggiaschi o caduti, l'arcangelo Michele, da solo con qualche compagno dalle quattro ali fiammeggianti, resisteva ancora all'assalto d'un esercito illimitato. Arretravano seguitando ad opporci i loro petti e Michele continuava ad esibire un volto impassibile. Il sole raggiungeva un terzo del suo percorso, quando prendemmo a scalare la montagna del Signore. La salita era dura, le fronti grondavano sudore e una luce infuocata ci accecava. Carichi di ferro com'eravamo, le nostre piume non bastavano a sollevarci, ma la speranza ci reggeva sulle sue ali. Il bel Serafino, la mano irradiante sempre più alta, ci indicava la via. Scalammo per l'intera giornata il monte altero che la sera ammantò d'azzurro, di rosa e opale. L'esercito di stelle apparse sul firmamento pareva il riflesso delle nostre armi. Un silenzio infinito si stendeva sopra di noi. Salivamo ebbri di speranza.
All'improvviso sprizzano lampi nel cielo oscurato. Si ode il rombare del tuono e dalla vetta del monte avvolta nelle nubi ricade il fuoco dei cieli. Caschi e corazze grondano fiamme e gli scudi si spezzano sotto le frecce scagliate da mani invisibili. Lucifero serbava intatta la sua fierezza nell'uragano di fuoco. La folgore lo colpiva più volte ma sempre invano. Eretto, continuava a sfidare il nemico, finchè la folgore scuotendo la montagna ci precipitò in basso alla rinfusa insieme a enormi blocchi di zaffiro e rubino, e rotolammo svenuti e inerti per uno spazio di tempo che nessuno poté misurare.
Mi svegliai nelle tenebre fra i lamenti. Quando i miei occhi si furono abituati all'ombra fitta, mi scorsi intorno i compagni d'arme giacenti a migliaia sul terreno sulfureo su cui scorrevano lividi riflessi. Non scorgevo che crateri fumanti, solfatare, paludi appestate. Montagne di ghiaccio e mari di tenebra racchiudevano l'orizzonte. Un cielo di bronzo ci pesava sulla fronte. L'orrore del luogo era tale che piangemmo accovacciati, i gomiti sulle ginocchia e i pugni stretti contro il viso. Ad un tratto, alzando gli occhi, scorsi il Serafino, ritto dinanzi a me come una torre. Sul suo splendore primitivo il dolore gettava quasi un cupo e splendido ornamento.
"Compagni" disse "dobbiamo rallegrarci perchè siamo liberi dalla servitù celeste e negli inferi la libertà vale di più che la schiavitù nei cieli. Non siamo vinti perchè ci resta la volontà di vincere. Per opera nostra ha vacillato il trono del Dio geloso, per opera nostra esso crollerà. Alzatevi compagni e in alto i cuori!".
Al suo comando, sovrapponemmo dunque montagne a montagne, drizzammo sulle vette grandi macchine per scagliare rocce infiammate contro la divina dimora. L'esercito celeste fu preso di sorpresa e dalla sua sede gloriosa partirono gemiti e grida di terrore. Pensavamo già di rientrare vincitori nella nostra patria suprema, ma la montagna del Signore si coronò di saette e la folgore cadendo sulla nostra fortezza la ridusse in polvere.
Dopo quest'ultimo disastro, il Serafino ristette per un poco pensoso, la testa fra le mani. Sollevò poi il volto annerito.
Era divenuto Satana, più grande di Lucifero. Gli angeli fedeli gli si stringevano intorno.
"Amici" disse "non abbiamo ancora vinto, perchè indegni e incapaci di vincere. Rendiamoci conto di quanto ci è mancato. Non si governa la natura, non si acquista la padronanza dell'Universo, non si diventa Dio che attraverso la conoscenza. Dobbiamo scoprire la folgore e a questo ci dobbiamo dedicare senza sosta. Non sarà ora il cieco coraggio (nessuno nel corso di questa giornata ha dimostrato più coraggio di voi) a consegnarci le frecce divine, ma lo studio e la riflessione. Meditiamo dunque in questo luogo tetro nel quale siamo piombati, cercando i motovi segreti delle cose. Osserviamo la natura con inesausto ardore e desiderio di conquista, sforziamoci di penetrarne la grandezza e la piccolezza infinite. Tentiamo di scoprire quando essa è sterile e quando è feconda, com'essa produca il caldo e il freddo, la gioia e il dolore, la vita e la morte, come raccolga e divida i suoi elementi e come produca l'aria trasparente che respiriamo, le rocce di zaffiro e diamante da cui precipitiamo, il fuoco divino che ci ha tinti di nero e il pensiero orgoglioso che agita i nostri spiriti. Lacerati da vaste ferite, bruciati da fiamme di ghiaccio, rendiamo grazie al destino che si è curato di aprirci gli occhi, e rallegriamoci della nostra sorte. Facendo una lunga esperienza della natura, attraverso il dolore, siamo incitati a conoscerla e a domarla.
Quand'essa ci obbedirà saremo diventati Dei. Ma se dovesse celare per sempre i suoi misteri, rifiutarci le armi e conservare il segreto della folgore, dovremo ancora rallegrarci per aver conosciuto il dolore, poichè esso ci rivela sentimenti nuovi, più dolci e preziosi di quelli che si provano nella beatitudine eterna, e c'ispira l'amore e la pietà, sconosciuti ai cieli".
Queste parole del Serafino ci mutarono i cuori aprendoci a nuove speranze. Un desiderio immenso di conoscere ed amare ci colmava il petto.
Frattanto nasceva la terra.»
(Anatole France: La rivolta degli angeli, 1914. Cap. XVIII, pagg. da 103 a 109. Armando Curcio, Milano 1978)

sottofondo consigliato: Franco Battiato, Shock in my town (1998)


lunedì 16 agosto 2010

The hope of revolution (part 1 of 2)

«L'ho conosciuto. Era il più bello tra tutti i Serafini. Splendeva d'intelligenza e audacia. Il suo grande cuore traboccava d'ogni virtà che nasce dall'orgoglio: la franchezza, il coraggio, la costanza nell'avversità, la speranza ostinata.
A quei tempi che precedevano i tempi, nel cielo boreale dove brillavano le sette stelle magnetiche, abitava in un palazzo di diamanti e oro, pulsante di battiti d'ali e canti di vittoria. Jahweh, dalla sua montagna, era geloso di Lucifero.
Sapete entrambi che gli angeli, come gli uomini, racchiudono in sè odio e amore. Capaci talvolta di generosi impulsi, obbediscono spesso all'interesse e cedono alla paura. Allora, come oggi, si mostravano per la maggior parte incapaci di pensieri elevati e il timore di Dio costituiva la loro unica virtù. Lucifero, disdegnando le cose vili, provava disprezzo per questa schiera di spiriti domestici che consumavano il tempo in giochi e feste. Agli spiriti audaci, e alle anime irrequiete, ardenti d'un amore selvaggio per la libertà, concedeva peraltro un'amicizia ch'essi gli restituivano sotto forma di adorazione. Costoro disertavano in massa la montagna del Signore e recavano al Serafino omaggi che l'altro pretendeva per sè soltanto.
Io appartenevo alle schiere delle Dominazioni ed il mio nome, Alaciel, non era privo di gloria. Per soddisfare il mio spirito tormentato da un'insaziabile sete di conoscenza, osservavo la natura delle cose, studiavo le proprietà delle pietre, dell'aria e dell'acqua. Ricercavo le leggi che governano la materia densa o sottile e dopo lunghe meditazioni mi resi conto che l'universo non si era affatto formato come il suo preteso creatore si sforzava di far credere: seppi che tutto esiste per volontà propria e non per il capriccio di Jahweh, che il mondo è l'autore di sè stesso e lo spirito è il proprio Dio. Disprezzai, allora, Jahweh per le sue imposture e l'odiai perchè si opponeva a tutto quanto vi è di buono: la libertà, la curiosità, il dubbio. Questi sentimenti mi avvicinarono al Serafino. Lo ammirai e lo amai, vissi nella sua luce. Quando giunse il momento di scegliere fra lui e l'Altro, mi allineai con il partito di Lucifero e, come sola ambizione, ebbi quella di servirlo e mutare la sua sorte. Non potendosi più evitare una guerra, la preparò con una vigilanza instancabile e con tutte le risorse d'una mente matematica. Trasformando i Troni e le Dominazioni in Ciclopi e Calibi, estrasse dalle montagne che circondavano il suo impero il ferro ch'egli preferiva all'oro e forgiò le armi nelle caverne del Cielo. Poi raccolse nelle pianure deserte del settentrione miriadi di spiriti e li armò, li istruì e li esercitò. Per quanto segretamente preparata, quest'impresa era troppo vasta perchè l'avversario non ne venisse presto a conoscenza. Si può supporre che l'avesse prevista e temuta da sempre, poichè aveva fatto della sua dimora una fortezza e dei suoi angeli una milizia e si dava egli stesso il nome di Dio degli Eserciti. Preparò le folgori. Più della metà dei figli del cielo gli restarono fedeli. Una folla d'anime e cuori devoti gli si strinse attorno. L'arcangelo Michele, che ignorava la paura, prese il comando di questo esercito animoso e paziente. Lucifero, dal canto suo, quand'ebbe raggiunto la massima potenza con il suo esercito, lo spinse con furia contro il nemico e promettendo ai propri angeli ricchezza e gloria, si lanciò alla loro testa verso il monte sulla cui vetta si erge il trono dell'Universo. Per tre giorni consecutivi incendiammo al nostro passaggio le pianure dell'etere. Alti su di noi, garrivano gli stendardi della rivolta. Il monte del Signore già si tingeva di rosa nel cielo orientale e il nostro capo ne valutava con gli occhi i bastioni scintillanti. Sotto le mura di zaffiro si stendevano le linee nemiche che, mentre marciavamo ricoperti di bronzo e di ferro, scintillavano d'oro e pietre preziose. I loro stendardi rossi e azzurri ondeggiavano al vento e lampi s'accendevano alle punte delle loro lance. Gli eserciti furono ben presto separati fra loro soltanto da un breve intervallo: una lingua di terra liscia e vuota, la cui vista faceva tremare i più coraggiosi al pensiero che laggiù, in una mischia sanguinosa, si sarebbero compiuti i destini.
Gli angeli, come sapete, non muoiono, ma quando il bronzo, il ferro, la punta del diamante o la spada infuocata lacerano il loro corpo etereo, soffrono d'un dolore più acuto di quello umano, perchè la loro carne è più delicata e se qualche organo essenziale viene distrutto, cadono inerti e si decompongono lentamente, dissolvendosi in nebulosa e galleggiando insensibili, dispersi per lungo tempo nell'etere freddo. Quando riprendono infine spirito e forma, non ritrovano l'intera memoria della vita passata. Perciò, com'è naturale, gli angeli temono la sofferenza e i più coraggiosi fra loro si turbano al pensiero di perdere la luce e il dolce ricordo. Se ciò non fosse, la razza angelica non conoscerebbe né la bellezza né la gloria del sacrificio. Coloro che combatterono nell'Empireo prima dell'inizio dei tempi, pro o contro il Dio degli Eserciti, se sarebbero abbandonati a finte battaglie, e non potrei dirvi con giusto orgoglio: "Figlioli c'ero anch'io»
...continua...
(Anatole France: La rivolta degli angeli, 1914. Cap. XVIII, pagg. da 103 a 109. Armando Curcio, Milano 1978)

sottofondo consigliato: As Tall Lions, "Acrobat" (2004)


martedì 16 febbraio 2010

Estiqazzi!



Ho fatto la lasagna.
Ho preparato il sugo di pomodoro e ho aggiunto un po' di besciamel e una grattugiata di noce moscata. Poi ho preso la casseruola e ho iniziato a comporre gli strati con mortadella, mozzarella di bufala, parmigiano. Ho completato il tutto con il sugo e un'abbondante manciata di parmigiano. Poi ho riscaldato il forno, l'ho fatta cuocere e dopo aver atteso qualche minuto onde evitare di ustionarmi la lingua me ne sono servito una generosa porzione e l'ho mangiata acconpagnandola con un bicchiere di vino rosso.
Probabilmente, per la maggior parte delle casalinghe non ho fatto nulla di particolare. Ed in effetti è così. Ma per me, povero single impigrito abituato quasi esclusivamente a nutrirsi consurgelati, pietanze precotte e pizza a domicilio, è stato un piccolo evento.
Non che non sappia cucinare, so fare poche cose ma me la cavo discretamente, però la lasagna era una novità.
L'ho raccontato al Bepi e quello mi dice: "Ah, però! Complimenti!", e poi con l'occhio ironico: "...hai fatto la pasta?", "No, l'ho comprata confezionata...", ho risposto. E lui, sghignazzando sotto i baffi: "...e Maura che ha detto?", "Non gliel'ho detto...", ho risposto. "Chissà come sarà felice quando le racconterai tutto...", ha continuato lui quasi ribaltandosi dalle risate.
Ecco, adesso vorrei mettere in chiaro un paio di cosette.
L'elementessa (mio neologismo. ©Riproduzione Vietata) in questione, nonostante alcune strane fissazioni (è convinta che il torrone sia una specialità esclusivamente campana...) e le convinzioni fondamentaliste culinarie (secondo lei tutto il cibo in scatola è veleno), è una discreta cuoca e, tralasciando il particolare che essendo di nazionalità marchigiana non conosce la lasagna ma solo la variante meticcia meglio nota come Vincisgrassi..., sicuramente preparerà la pasta insozzandosi le nodose manacce con poltiglia impastosa di uova e farina... Ma... Allora?
Io che sono cresciuto con una nonna in grado di competere con grandi chef, ho sempre avuto grande rispetto per le donne che trascorrono la vita schiantandosi al servizio di casa e famiglia. E ancora di più per quelle, come mia madre, che lo fanno dopo otto ore di lavoro fuori casa. Infatti non ho mai lanciato il piatto fuori dalla finestra, semplicemente mi sono abituato a mangiare completamente senza sale (...e spesso fuori...).
Perciòdopo nove ore di lavoro, alle sette e mezzo di sera posso aggirare alcune regole del mangiare bene e passare un'ora a prepararmi una lasagna con la pasta confezionata e la besciamel in scatola?
E, soprattutto, me lo merito un complimentone senza critiche?
Grazie!

giovedì 11 febbraio 2010

I momenti della mia amica, quella con la fionda.



Oggi la maestra ha dato ad Anna la sua prima pagella.
I voti erano tutti compresi tra l'Otto e il Nove.
Lei era contenta ma sempre alla sua maniera, senza eccessi: un mezzo sorriso e uno sguardo stupito. Pizzinedda, probabilmente ancora non si rende conto.
Sicuramente è molto più intelligentissimissimissima di quello scansafatiche rissaiolo di Samuele.
Tiè!

lunedì 8 febbraio 2010

Ex nòvo




Ho deciso di ricominciare a coltivare un blog.
L'ho lasciato per diversi mesi; prima in attesa di qualche illuminazione, poi perché tutto quel che avrei voluto scrivere alla fine mi sembrava così banale che preferivo cestinarlo.
Ma io non sono un genio né mi considero una mente eccelsa, sono una persona assolutamente normale e, come la maggior parte degli individui, ho momenti "alti" e momenti "bassi", lampi di intelligenza e cadute di stile, intuizioni e banalità.
Perciò mi sono detto: rassegnati, sei come sei e ti devi accettare con i tuoi pregi e i tuoi difetti e se poi a qualcuno non piacerà.....bhé pazienza, non si può avere tutto.
Perciò ri-eccomi qui, con una nuova veste (...forse "Il diario di Nessuno" mi aveva anche un po' stancato...) ma sempre pronto a scaricare dalla mente i disgusti che mi assillano.