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sabato 29 ottobre 2011

Un pensierino sull'individualismo.

Chissà quante volte ci è capitato di pensare "io mi conosco" o "io so come sono fatto", riferendoci al nostro carattere e al nostro modo di essere.
Poche volte però, ci capita di pensare che, anzitutto questa affermazione utilizza sempre un verbo al presente e, in secondo luogo, non rispecchia una realtà oggettiva, bensì un momento relativo.
Ciò accade perché noi non ci conosciamo.
Certo, fisicamente sappiamo di cosa e in che modo siamo composti. Ma le nostre peculiarità caratteriali non sono fisse e immutabili e sono determinate dal nostro rapporto con la realtà che ci circonda.
Non vuol dire che siamo come banderuole che si muovono in base al vento, certo, ma che i nostri comportamenti variano in base alla situazione che ci troviamo ad affrontare.
Dobbiamo sopravvivere e perciò ci adattiamo. Semplicemente.
Se viviamo in un ambiente popolato da individui aggressivi, inevitabilmente assumeremo un comportamento aggressivo per non farci sopraffare. E così via per ogni differente ambiente.
Insomma, non siamo quello che siamo perché decidiamo di esserlo. Ma decidiamo di essere quello che siamo, perché le interazioni con la realtà esterna ci spingono in quella direzione. Si tratti di bene o di male.
Ovviamente, questo non vuol dire che se un individuo compie gesti criminali, deve essere giustificato dal fatto che "qualcuno" gli ha trasmesso "informazioni" poco urbane. Egli può, e deve, compiere la scelta di seguirle o meno.
Non si può negare tuttavia, che ogni singolo individuo venga influenzato dal gruppo del quale fa parte. Questa influenza, ovvero la serie di informazioni che vengono scambiate reciprocamente tra individui all'interno di una comunità o gruppo, è l'insieme delle "regole" che determinano la Morale e questa, la morale, varia in funzione delle necessità di ogni comunità o gruppo. Da questo punto di vista, possiamo affermare che non esiste una Morale universale. E non c'è nulla di scandaloso in questo.
Come dicevo, il nostro essere è stabilito (determinato) dal rapporto con gli altri. Questo fatto mi fa pensare che "io, da solo, non esisto", ossia "mi riconosco (e questo processo è reciproco tra individui) solo nell'altro".
Certo, fisicamente, sono oggettivamente determinato. Ma "noi" non siamo "solo" strutture fisiche, corpi.
Quel che viene riconosciuto reciprocamente, è il nostro essere "enti animali particolari".
Di me stesso posso dire quanto sono alto, quanto peso, di che colore sono i miei capelli, se possiedo cicatrici o se preferisco la pizza con i peperoni o gli spaghetti alla Carbonara. Ma questo non sono io, o meglio è solo una parte di me. La parte che mi rende simile agli altri esseri umani.
Quello che però mi rende "particolare" (e lo sottolineo, per distinguerlo dall'altro tipo di ente animale ossia l'ente animale generico, l'animale) e quindi "individuo", è tutta quella serie di informazioni che gli altri ci trasmettono.
Se siamo simpatici lo dobbiamo al riflesso che riceviamo, e così vale per ogni singola caratteristica che contraddistingue "uno" dall' "altro".
Ora, se "io, da solo, non esisto", "io, da solo, non posso vivere".
Non casualmente, infatti, una delle punizioni più dolorose per un carcerato (ad esempio) è il regime di isolamento.
L'Uomo è un essere sociale, nel senso più profondo del termine.
E quindi, ecco comparire uno dei problemi che attanagliano il nostro tempo. Ovvero: come è possibile, per un essere sociale, vivere in una condizione ultra-individualistica?
Credo che la risposta non sia così ardua da dare, ma proprio per questo è, a mio parere, accantonata.
La società che viviamo è di tipo capitalistico e, in un sistema economico e sociale di questo genere, il tratto fondamentale è il riconoscere come utili solo i produttori e i consumatori di merci. Si sviluppano quindi, gruppi umani che sostengono l'inevitabilità e che negano la storicità di questo modo economico, e nasce una conseguente morale per giustificare tutto ciò.
Gli uomini trasformano così una delle proprie peculiarità. Essi non sono più "esseri sociali" in quanto Esseri Umani, ma sono "esseri sociali" in quanto "merce di scambio". Ecco l'individualismo. Ossia la necessità di portare e vendere al mercato, al miglior offerente, se stessi.
Dato che non ci interessa fare discorsi di tipo moralistico, non giudicheremo questo fatto. L'invito tuttavia è a non travisare.
Perché qui non si tratta di condannare il genere umano o di affermare che siamo diventati tutti delle prostitute o degli scalatori sociali senza scrupoli.
Gli scrupoli ci sono, eccome!
Se qualcuno pensa che l'umanità vive bene e serenamente questa condizione, ebbene si sbaglia di grosso.
Che lo si voglia ammettere o meno, è inevitabile comportarsi in questa maniera.
Perché le "regole" sono queste. O le si accetta o si muore.
Insomma, quello che voglio dire è che senza dubbio critico questo genere di comportamento perché lo ritengo depravato e aberrante. Ma allo stesso tempo credo sia un errore grave salire sulla cattedra e fare i maestrini benpensanti e moralisti.
Certo che non ho soluzioni, però non sarebbe male iniziare a capire cosa è e come è fatta la società in cui viviamo.

mercoledì 18 agosto 2010

L'arnese subumano

Qualche tempo fa, alla radio.
Tema della trasmissione: "Quella volta che vi hanno rotto l'oggetto a cui tenevate tanto".
Sms di un ascoltatore: "La donna delle pulizie mi ha rotto la puntina del giradischi, che io considero un figlio. Licenziata la sera stessa!".
Sembra incredibile, sembra un'esagerazione, sembra una sciocchezza. Sembra.
Si legge e subito la si dimentica, probabilmente perchè è così grave che non ci si bada più. O, probabilmente, perchè sono così tanti quelli che la pensano in modo simile da rendere l'episodio normale.
Chissà quante volte si è sentito dire di gente disposta addirittura ad uccidere chi danneggiasse un vetro o la vernice sulla carrozzeria dell'automobile. O che si vantano di amare e rispettare più il proprio cane piuttosto che il collega di lavoro o il vicino di casa. Ma si dai, cosa vuoi che sia. Sono cose che si dicono, ma non si pensano realmente.
Siamo proprio sicuri?
Chi vuole pensarla in questo modo è, purtroppo, padrone di farlo. Ed è questo il motivo per cui divido gli esseri umani in "persone" e "mostri".
Una delle citazioni che preferisco è di Karl Marx, e recita: "Il risultato di tutte le nostre scoperte e del nostro progresso sembra essere che le forze materiali vengono dotate di vita spirituale e l'esistenza umana avvilita a forza materiale".
In poche parole, ecco il concetto di reificazione ossia la soggettivizzazione dell'oggetto.
La reificazione ha un legame imprenscindibile col capitalismo, al quale interno i rapporti tra esseri umani vengono ridotti a rapporti tra le merci da essi prodotti.
Nel caso in questione, "la donna delle pulizie" non è un essere umano ma è un utensile di lavoro di cui si può disporre a proprio piacere.
Come un chiodo, che quando si piega si getta via e se ne prende un altro.

mercoledì 29 luglio 2009

PERLE DI SAGGEZZA.....

"Oggi le principesse sono mignotte e le mignotte vogliono fare le principesse".
Questa frase, se la dice Giovanni Agnelli è una "perla di saggezza". Se la dico io, mi si accusa di essere un maschilista fallocrate eccetera eccetera.
Perchè?

sabato 25 luglio 2009

UNA SOCIETA' DI PAURE.

I protagonisti della seguente storia sembrano scelti apposta per confermare alcune paure e determinati pregiudizi, in realtà non è altro che la conferma che nella nostra società oramai non è il fatto a determinare la cronaca giornalistica ma viceversa.
Prima vediamo il resoconto giornalistico.
Qualche sera fa, in un condominio di case popolaro della prima cintura torinese, Venaria Reale per la precisione, Claudiu, un rumeno di 33 anni, completamente ubriaco con una scusa si è introdotto nell'appartamento di Deborah, una ragazza di 22 anni, e ha tentato di violentarla. A questo punto, il cane della donna, un pastore tedesco, ha assalito l'aggressore per difendere la padrona sventando così la violenza. La storia si è conclusa con l'arresto e l'incarcerazione del malvivente e con la celebrazione del cane-eroe con tanto di servizio nei tg regionale e nazionale.
Fin qui, tutto da manuale.
Abbiamo uno straniero ubriaco ad avvalorare le tesi leghiste-razziste sulla "bestialità" di questi "semiumani" che invadono la nostra terra di persone perbene; la tentata violenza carnale su una donna per dare corda ai sostenitori della castrazione chimica e per far gioire quelle femministe che lottano contro "quei porci degli uomini"; infine, il cane-eroe, pastore tedesco perchè "è la razza più fedele", e che scaccia momentaneamente il pensiero dei randagi killer.
Tutto secondo copione.
Se non fosse che un paio di giorni dopo, i vicini di casa della vittima (presunta) raccontino una storia diversa. Completamente diversa.
"Quel tizio era ubriaco, ha suonato a tutti e quando siamo usciti sul pianerottolo abbiamo visto lei che lo insultava e minacciava di aizzargli contro il cane.....lui non è nemmeno entrato in casa", raccontano.
Poi vengono fuori altri particolari.
Pare, infatti, che alcuni anni prima il (presunto) malvivente vivesse nello stesso palazzo e che, insieme ad altri inquilini avesse partecipato ad una raccolta firme contro la ragazza che, a loro dire, disturbava la tranquillità comune.
Poi, ancora, sul corpo della ragazza sono stati trovati segni di bruciatura di sigaretta, provocati, secondo lei, dall'aggressore. Ma, anche qui, spuntano fuori grossi dubbi. Infatti sono in molti a testimoniare il passato difficile della ragazza, costituito da qualche episodio di microcriminalità e diversi di autolesionismo.
Quanti colpi di scena. Pari solo agli altrettanti luoghi comuni.
Intanto, il "mostro" rumeno si è fatto un paio di giorni rinchiuso alla Vallette con l'unica colpa di essersi presi una sbronza che, a meno non compaia tra i nuovi comma del codice penale, non è reato.
Questa storia, banalizzata, quasi, dai media che sguazzano nel dilagare di fenomeni violenti simili, è tremenda. Non per la cronaca in sè, quanto per il fatto che fa riflettere su quale tipo di società è oggi quella italiana: un meta-luogo popolato di paure, pregiudizi e realtà costruite ma non reali.
Viviamo in un film dove il cattivo è: straniero; uomo.
Non è che stiamo esagerando?
Vogliamo cambiare registro o aspettiamo di arrivare ad un punto in cui si organizzano vere e proprie battute di caccia?
Personalmente, in quanto uomo, incomincio anch'io a soffrire alcuni pregiudizi. Infatti ho il timore di guardare i bambini per non passare da pedofilo e di guardare le donne per non passare da maniaco.
Esagero?
Può darsi, ma provate a guardarvi intorno.

lunedì 20 luglio 2009

PENTITI.....UNA BRUTTA RAZZA.

Da qualche tempo, tra Il Giornale e La Repubblica è in corso un duello all'ultima penna e si sa che in guerra (e in amore) tutto è permesso.
Non ho preferenze nè per gli uni nè, tantomeno, per gli altri perciò non giudico. Mi limito a ossevare.
Trovo, però, curioso oltrechè esilarante la posizione che il direttore del berlusquotidiano ha assunto in un recente editoriale dal titolo: "Giornali morbosi. Ci mancava solo la scrittrice hard".
Il buon Giordano, questa volta, mi trova assolutamente d'accordo!
Sarebbe infatti ora di smetterla col voyerismo da osteria e tentare di occuparsi seriamente dei problemi politici e sociali che affliggono il nostro Paese. "(...) L'Istruzione varava la riforma dell'Università? «E va bé, ma hai sentito i capezzoli?». Il governo presentava il Dpef? «E va bé, ma hai sentito i capezzoli?». La Camera approva la legge sulla violenza sessuale? «Si, però, i capezzoli.....». (...)" scrive il megadirettore.
Ma.
Tralasciando che egli stesso ha trasformato Il Giornale nell'organo ufficiale di palazzo Grazioli, la sua protesta ricorda quella dell'ex tabagista che prima è così assuefatto da usare persino abiti in tinta con la sigaretta (tipo panta bianchi e camicia giallognola stile filtro...) e poi è così incazzato da appostarsi armato di ascia bipenne da dare in testa a quegli zozzoni che avvelenano il prossimo.
Sciur Giordano, orsù!
Ha già dimenticato il suo passato da direttore del TC di ItaliaUno?
Ah....."TC" non è un errore di battitura, è l'acronimo di TetteCuli!

venerdì 10 luglio 2009

L'ARNESE SUBUMANO

Oggi alla radio.
Tema della trasmissione: "Quella volta che vi hanno rotto l'oggetto a cui tenevate tanto".
Sms di un ascoltatore: "La donna delle pulizie mi ha rotto la puntina del giradischi, che io considero un figlio.
Licenziata la sera stessa!".
Sembra incredibile, sembra un'esagerazione, sembra una sciocchezza.
Sembra.
Si legge e subito la si dimentica, probabilmente perchè è così grave che non ci si bada più. O, probabilmente, perchè sono così tanti quelli che la pensano in modo simile da rendere l'episodio normale.
Chissà quante volte si è sentito dire di gente disposta addirittura ad uccidere chi danneggiasse un vetro o la vernice sulla carrozzeria dell'automobile.
O che si vantano di amare e rispettare più il proprio cane piuttosto che il collega di lavoro o il vicino di casa.
Massì dai, cosa vuoi che sia. Sono cose che si dicono, ma non si pensano realmente.
Siamo proprio sicuri?
Chi vuole pensarla in questo modo è, purtroppo, padrone di farlo. Ed è questo il motivo per cui divido gli esseri umani in "persone" e "mostri".
Una delle citazioni che preferisco è di Karl Marx, e recita: "Il risultato di tutte le nostre scoperte e del nostro progresso sembra essere che le forze materiali vengono dotate di vita spirituale e l'esistenza umana avvilita a forza materiale".
In poche parole, ecco il concetto di reificazione ossia la soggettivizzazione dell'oggetto.
La reificazione ha un legame imprenscindibile dal capitalismo, al quale interno i rapporti tra esseri umani vengono ridotti a rapporti tra le merci da essi prodotti.
Nel caso in questione, "la donna delle pulizie" non è un essere umano ma è un utensile di lavoro di cui si può disporre a proprio piacere. Come un chiodo, che quando si piega si getta via e se ne prende un altro.

mercoledì 15 aprile 2009

ESTREMISMI E MODERATISMI

L'aggettivo "estremo" evoca gesta incontrollabili, irrefrenabili, non lievi, non educate, e, solitamente, viene associato ad attività che oltrepassano la normalità (sesso estremo, sport estremi, estremismo politico, eccetera).
Ma chi determina i confini della normalità? E, soprattutto, nel mondo moderno, accertata l'esistenza del postmodernismo, cosa è lecito e cosa no?
La risposta sembrerebbe ovvia: i confini sono determinati dalla morale comune e dalla legge.
Ma è proprio qui che sorgono i problemi.
Facciamo un esempio.
Stabilito, anzitutto, che la cosiddetta morale comune è determinata dalla consuetudine e dagli usi della maggior parte dei soggetti, si scopre che, conseguentemente, la legge altro non è che una fissazione (o cristallizzazione) delle suddette consuetudini. Tuttavia urge la necessità di specificare che la morale comune (e, conseguentemente, la legge) non è universalizzabile, bensì è oggetto di continue modifiche e variazioni in base (e in funzione) alle differenti culture e ai differenti periodi storici. La pederastia, per esempio, esecrata dalla nostra cultura, nella Grecia classica era una pratica comune. Perciò, assolutizzare un tipo di morale non solo è un errore gravissimo, ma può generare equivoci (pericolosi) sulla natura dell'Uomo e sulla genesi di determinate culture.
Detto ciò, non risulta difficile concludere che la nostra morale comune (e, conseguentemente, le leggi) è determinata dal paradigma capitalistico.
Attenzione, si badi alla definizione: paradigma, non modo di produzione.
Ritengo necessaria questa precisazione, in quanto troppo spesso (e in molti casi solo per convenienza ideologica) si tende a suddividere in categorie che, però, riportano la medesima desinenza. Non è possibile parlare di economia capitalista o di cultura capitalista come fossero ambienti scollegati, entrambi, e non solo, fanno parte di un solo "movimento": il capitalismo.
Immaginiamo ora che la presunta maggioranza dei soggetti che in un determinato tempo condivideva determinate consuetudini e usanze,  oggi non sia più così "maggioranza", immaginiamo però che quella determinata "maggioranza" (che maggioranza non è più) abbia accesso quasi esclusivo ai gangli del potere. In questo caso, è ancora possibile parlare di morale comune?
Ovviamente, no. Ma qui avviene una modificazione genetica, ossia l'inversione dei fattori: la legge non è più conseguenza della morale comune, ma ne diventa fautrice.
All'apparenza, questa, potrebbe sembrare una tesi di denuncia verso l'inesistenza di una morale comune o di una morale imposta, in realtà questi sono i criteri necessari per l'esistenza del capitalismo.
E' utile ricordare che quando si parla di "sistema concorrenziale", non ci si riferisce (e come già detto, non è possibile, pena la giusta accusa di mistificazione, la creazione di compartimenti stagni) alla sola sfera economica. La concorrenzialità del capitalismo non avviene tra entità astratte, ma tra esseri umani: chi vince vive e cresce, chi perde muore e sparisce o subisce!
A questo punto torniamo all'inizio, per scoprire che ad "estremo" corrisponde tutto quello che non rientra nei parametri appena descritti, perchè il paradigma, in quanto tale, si posiziona "tra", in mezzo, e quindi il rifiuto verso esso è considerato estremità (o estremismo). Come già detto, però, il sistema si nutre di concorrenzialità è quindi necessaria la creazione di un alter ego o opposto. Un ideologia che lo rappresenti (con complicità) escludendo la possibilità di essere additato come eccessivamente rigido.
Il termine è rassicurante, non evoca scontri o dissidi, è al di sopra dei contendenti. Opera in qualità di arbitro e di agente di polizia.
Il "moderato" è la figura che rappresenta la falsa coscienza necessaria del capitalismo.
Aggiusta e reindirizza tutto verso la "giusta" strada, e se la struttura rivela falle le corregge.

giovedì 18 dicembre 2008

IO SO PERCHE' IL COCCIGE VIENE ANCHE CHIAMATO OSSO SACRO.

Nella blogosfera si legge di tutto.
C'è chi è preoccupato, chi se ne sbatte, chi cerca di capire, chi sembra aver capito, chi giudica, chi difende, di tutto insomma.
A me viene da ridere.
Amaramente, però.
Non perchè abbia la convinzione di conoscere chissà quale verità, ma perchè credo che una verità la conosciamo tutti ma ostinatamente continuiamo a rifiutarla: non abbiamo niente a che fare con la politica del Palazzo, la cosiddetta "politica del Palazzo" è oramai affidata a burocrati senza scrupoli e, soprattutto, a loro non interessa di "noi".
Siamo fottuti e non da adesso!
E mi viene da ridere.
Sproloquiavano tutti sulla questione morale, anche e soprattutto chi avrebbe dovuto stare zitto! Poi la macchia si è allargata sporcando anche le "vergini", et voilà!
Giustizialisti che si trasformano in garantisti, garantisti che si infilano il cappuccio da boia, tutti d'accordo però: i giudici stanno esagerando!
Dal fondo della sala si sente una voce: tangentopoli non è mai finita!
Applausi.
E il capotavola, già noto per aver sputato addosso a chi gli ha servito la mensa per anni, invita alla riforma della giustizia.
Tripudio di applausi.
Così va il reality della politica italiana.
E "noi"?
Non ci resta da sperare che scenda il prezzo della vaselina...

mercoledì 30 luglio 2008

Mutatis mutandis

Per comprendere meglio l'importanza della questione morale all'interno del dibattito sul postmodernismo non può essere trascurata una figura di spicco, un uomo che viene considerato uno dei più importanti statisti del Ventesimo secolo: Henry Kissinger.
Probabilmente molti hanno già sentito questo nome ma chissà quanti conoscono la portata, a livello internazionale, delle sue azioni?
Quindi, giusto per rendersi conto di chi stiamo parlando invito alla lettura dei seguenti, brevi, articoli:
Ma veniamo al punto.
In un articolo pubblicato dal quotidiano "La Stampa", il 5 maggio 2008, dal titolo "Il politico ha diritto di mentire" il teologo svizzero Hans Kung contesta le tesi di Kissinger contenute nel suo saggio, "Diplomacy".
Leggiamone uno stralcio.
"Una domanda etica cruciale per il successore di Bush e': un Presidente deve mentire? Ci sono circostanze in cui e' costretto a farlo?
L'ex segretario di Stato Kissinger non ha difficolta' a giustificare le menzogne. Ritiene che lo Stato, e percio' lo statista, abbia una morale diversa da quella del cittadino. Ha messo in pratica questa teoria nei suoi anni all'amministrazione Nixon e piu' tardi l'ha energicamente difesa nel suo saggio, citando figure storiche che ammira, come Richelieu, Metternich, Bismarck e Roosevelt.
Quando gli dissi che quel genere di politica del potere mi sembrava inaccettabile, mi rispose, non senza ironia, che i teologi vedono le cose "dall'alto", mentre gli uomini di Stato le osservano "dal basso".
Ho posto la stessa domanda sulla menzogna e l'etica politica a un amico comune, l'ex cancelliere della Germania federale Helmut Schmidt, in occasione della Lezione di Etica Globale che nel 2007 tenne all'Universita' di Tubinga: "Henry Kissinger dice che lo Stato ha una morale diversa da quella di un individuo - la vecchia tradizione dai tempi di Machiavelli. Un politico che si occupi di affari esteri ha davvero diritto a una condotta speciale?".
Schmidt replico': "Sono fermamente convinto che non esiste una morale diversa per l'uomo politico, anche per quello che si occupa di affari esteri. L'idea opposta e' stata sostenuta da molti politici nell'Europa del XIX secolo. Forse Henry vive ancora nell'Ottocento... Non so. Ne' so se oggi difenderebbe ancora quel punto di vista". Apparentemente si'."
E ancora: "All'epoca di Metternich e Talleyrand due diplomatici potevano ancora mentirsi l'un l'altro. Oggi invece una diplomazia segreta efficace richiede franchezza, nonostante le piu' astute tattiche di negoziato. Gli sporchi trucchi e gli inganni alla lunga non pagano. Perche'? Perche' minano la fiducia. E senza fiducia e' impossibile una politica che dia forma al futuro. Cosi' la prima virtu' diplomatica e' l'amore per la verita', secondo quanto scrisse il diplomatico britannico Sir Harold Nicolson nel suo classico del 1993 "Diplomacy" - che, incidentalmente, Kissinger cita solo di malavoglia nella pagina dei copyright del suo "Diplomacy" (e poi ignora).
Questo significa che statisti come Thomas Jefferson avevano ragione: esiste un'unica etica. I politici e gli uomini di Stato non hanno diritto a una morale speciale.
I criteri etici che si applicano agli individui vanno applicati anche agli Stati. Neppure i fini politici giustificano i mezzi immorali.
Cosi' la verita', che dall'Illuminismo e' stata riconosciuta come la precondizione della societa' umana, vale non solo per i comuni cittadini ma anche per i politici - anzi,soprattutto per i politici. Perche'?
Perche' i politici hanno una responsabilita' particolare del bene comune e, ancor piu', godono di un numero considerevole di privilegi."
Il concetto è molto chiaro.
Per ovvie motivazioni opposte, il teologo non riesce a comprendere (o non vuole) ciò che, non solo è chiaro, ma addirittura scontato per lo statista, ossia la morale dell'individuo postmodernista per il quale "tutto è" e "tutto non è".
Il problema che ci urge affrontare, onde evitare di rimanere intrappolati in una condizione del tipo "cane mangia cane", è se questo tipo di morale, diciamo così "volatile", è condivisibile o meno.
La mia risposta è, decisamente, no!

venerdì 25 luglio 2008

Dogma non dogma, questo è il problema...

Ci risiamo!
Nello stralcio d'intervista che segue, pubblicata sul numero 11 della rivista "Diogene", il filosofo Giulio Giorello si dichiara favorevole alla libertà di pensiero.
Peccato che la libertà di cui parla non è la libertà per tutti.
D: «Nel suo saggio “Di nessuna chiesa”, Lei cita l'antropologo Clifford Geertz per il quale la società aperta sarebbe una sorta di "bazar levantino", caotico quanto si vuole, ma in cui ognuno ha il suo posto di vendita. Ritiene che una certa confusione sia un segno salutare di una società libera?»
R: «And from the very beginning there was dissension and confusion, ebbe a scrivere Karl Popper in un celebre intervento poi incluso in “Congetture e confutazioni”. Non stava facendo una qualche esegesi vetero-testamentaria, anche se il suo inglese ricorda quello della Versione Autorizzata di Re Giacomo (VI di Scozia e I di Inghilterra), bensì stava parlando dello "scisma" della fisica novecentesca, in particolare della controversia tra Albert Einstein e Niels Bohr a proposito della struttura e del significato della meccanica quantistica. Basterebbe pensare alle ricadute di quella memorabile battaglia di giganti, in particolare ai dibattiti susseguiti al celebre teorema di John Bell, per capire come una disparità di opinioni e persino un'atmosfera da bazar giovino "sul lungo periodo" alla crescita della conoscenza.
Vale lo stesso per la società civile? Si, almeno se pensiamo che un modello di società aperta sia stato costituito inizialmente da quella che Galileo chiamava "la Republica delle Lettere", cioè la comunità dei "virtuosi" in "filosofia naturale", oggi diremmo scienza, via via strutturatasi in accademie e istituti di ricerca. Si tratta di un elemento fondamentale del processo di modernizzazione; anzi, del tipo di "rete" intellettuale e sociale che ha segnato lo stacco dal "tempo dei maghi", per usare la pregnante caratterizzazione dello storico della scienza Paolo Rossi. Ovviamente, il mondo è anche pieno di persone che temono questo tipo di caos: o si tratta di gente vile, gente cioè che vorrebbe edificare il patto sociale sulle paure, un pessimo materiale da costruzione, o di personaggi molto astuti che deplorano il bazar perché vorrebbero aver loro il controllo della merce esposta. Usurpatori.
»
(...)
D: «Michel Onfray sostiene che nel dibattito fra razionalità scientifica e fede lo Stato non dovrebbe essere neutro, ma sostenere e promuovere la scienza e l'etica laica. Lei condivide tale affermazione?»
R: «Onfray può ovviamente sostenere quello che vuole. Ma i suoi argomenti mi sembrano molto deboli. Per esempio, vedasi il volume collettivo "Atei o credenti. Filosofia, politica, etica, scienza" (Fazi editore, 2007), ove i suoi due partner, Paolo Flores D'Arcais e Gianni Vattimo, non mi sembrano presentare tesi migliori. Io rimango un seguace di Thomas Jefferson, il "risoluto ribelle" della Virginia poi diventato terzo presidente degli Stati Uniti, il quale era cristallino nel sostenere che anche una scienza di Stato sarebbe un'ulteriore versione della tirannide .
(...)
Il filosofo John Stuart Mill fu fautore del diritto dei popoli di dichiararsi indipendenti da altri popoli, e sostenne le rivendicazioni degli Stati Uniti e dell'Irlanda. Ma, al tempo della Guerra Civile americana, non era certo tenero con le dichiarazioni di indipendenza dei vari Stati secessionisti del Sud schiavista, dal momento che in tali Stati uscire dall'Unione significava perpetuare l'oppressione dei neri. Dunque, ogni "principio" va valutato applicazione per applicazione sulla base delle conseguenze che esso potrebbe produrre.»
D: «Maurizio Ferraris sostiene che l'attuale ritorno della religiosità sia un fenomeno superficiale: il credente poco o nulla sa della religione, crede nel Papa, non nei dogmi. Alla domanda "in cosa crede chi crede" Ferraris così risponde:"Al Papa della televisione. Lei come risponderebbe?»
R: «Semplicemente così: sono fatti loro! A me non interessano le credenze dei cattolici italiani, o dei protestanti nordirlandesi o degli islamici sull'altra sponda del Mediterraneo. Mi interessano le loro azioni. Se violano la "mia" libertà, intesa come dispiegamento delle mie preferenze, quelle che Joseph Ratzinger chiama sprezzantemente "voglie", la risposta non può essere che una: lotta senza quartiere.»
(...)
???.....Mi sono perso qualcosa?
Quindi nel "bazar" le sue libertà non sono contemplate?E di cosa si è parlato, allora, finora?

giovedì 24 aprile 2008

Inciviltà.....civili però!

In Arabia Saudita la legge prevede che le donne, senza la supervisione di un "guardiano" di sesso maschile, non possano prendere nessun tipo di decisione.
Che incivili!
.....Ma.....un momento.....Arabia Saudita?
Ah, vabbè!
Allora ritiro tutto.....non è mica l'Iran.....