L'aggettivo "estremo" evoca gesta incontrollabili, irrefrenabili, non lievi, non educate, e, solitamente, viene associato ad attività che oltrepassano la normalità (sesso estremo, sport estremi, estremismo politico, eccetera).
Ma chi determina i confini della normalità? E, soprattutto, nel mondo moderno, accertata l'esistenza del postmodernismo, cosa è lecito e cosa no?
La risposta sembrerebbe ovvia: i confini sono determinati dalla morale comune e dalla legge.
Ma è proprio qui che sorgono i problemi.
Facciamo un esempio.
Stabilito, anzitutto, che la cosiddetta morale comune è determinata dalla consuetudine e dagli usi della maggior parte dei soggetti, si scopre che, conseguentemente, la legge altro non è che una fissazione (o cristallizzazione) delle suddette consuetudini. Tuttavia urge la necessità di specificare che la morale comune (e, conseguentemente, la legge) non è universalizzabile, bensì è oggetto di continue modifiche e variazioni in base (e in funzione) alle differenti culture e ai differenti periodi storici. La pederastia, per esempio, esecrata dalla nostra cultura, nella Grecia classica era una pratica comune. Perciò, assolutizzare un tipo di morale non solo è un errore gravissimo, ma può generare equivoci (pericolosi) sulla natura dell'Uomo e sulla genesi di determinate culture.
Detto ciò, non risulta difficile concludere che la nostra morale comune (e, conseguentemente, le leggi) è determinata dal paradigma capitalistico.
Attenzione, si badi alla definizione: paradigma, non modo di produzione.
Ritengo necessaria questa precisazione, in quanto troppo spesso (e in molti casi solo per convenienza ideologica) si tende a suddividere in categorie che, però, riportano la medesima desinenza. Non è possibile parlare di economia capitalista o di cultura capitalista come fossero ambienti scollegati, entrambi, e non solo, fanno parte di un solo "movimento": il capitalismo.
Immaginiamo ora che la presunta maggioranza dei soggetti che in un determinato tempo condivideva determinate consuetudini e usanze, oggi non sia più così "maggioranza", immaginiamo però che quella determinata "maggioranza" (che maggioranza non è più) abbia accesso quasi esclusivo ai gangli del potere. In questo caso, è ancora possibile parlare di morale comune?
Ovviamente, no. Ma qui avviene una modificazione genetica, ossia l'inversione dei fattori: la legge non è più conseguenza della morale comune, ma ne diventa fautrice.
All'apparenza, questa, potrebbe sembrare una tesi di denuncia verso l'inesistenza di una morale comune o di una morale imposta, in realtà questi sono i criteri necessari per l'esistenza del capitalismo.
E' utile ricordare che quando si parla di "sistema concorrenziale", non ci si riferisce (e come già detto, non è possibile, pena la giusta accusa di mistificazione, la creazione di compartimenti stagni) alla sola sfera economica. La concorrenzialità del capitalismo non avviene tra entità astratte, ma tra esseri umani: chi vince vive e cresce, chi perde muore e sparisce o subisce!
A questo punto torniamo all'inizio, per scoprire che ad "estremo" corrisponde tutto quello che non rientra nei parametri appena descritti, perchè il paradigma, in quanto tale, si posiziona "tra", in mezzo, e quindi il rifiuto verso esso è considerato estremità (o estremismo). Come già detto, però, il sistema si nutre di concorrenzialità è quindi necessaria la creazione di un alter ego o opposto. Un ideologia che lo rappresenti (con complicità) escludendo la possibilità di essere additato come eccessivamente rigido.
Il termine è rassicurante, non evoca scontri o dissidi, è al di sopra dei contendenti. Opera in qualità di arbitro e di agente di polizia.
Il "moderato" è la figura che rappresenta la falsa coscienza necessaria del capitalismo.
Aggiusta e reindirizza tutto verso la "giusta" strada, e se la struttura rivela falle le corregge.
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