mercoledì 15 aprile 2009

ESTREMISMI E MODERATISMI

L'aggettivo "estremo" evoca gesta incontrollabili, irrefrenabili, non lievi, non educate, e, solitamente, viene associato ad attività che oltrepassano la normalità (sesso estremo, sport estremi, estremismo politico, eccetera).
Ma chi determina i confini della normalità? E, soprattutto, nel mondo moderno, accertata l'esistenza del postmodernismo, cosa è lecito e cosa no?
La risposta sembrerebbe ovvia: i confini sono determinati dalla morale comune e dalla legge.
Ma è proprio qui che sorgono i problemi.
Facciamo un esempio.
Stabilito, anzitutto, che la cosiddetta morale comune è determinata dalla consuetudine e dagli usi della maggior parte dei soggetti, si scopre che, conseguentemente, la legge altro non è che una fissazione (o cristallizzazione) delle suddette consuetudini. Tuttavia urge la necessità di specificare che la morale comune (e, conseguentemente, la legge) non è universalizzabile, bensì è oggetto di continue modifiche e variazioni in base (e in funzione) alle differenti culture e ai differenti periodi storici. La pederastia, per esempio, esecrata dalla nostra cultura, nella Grecia classica era una pratica comune. Perciò, assolutizzare un tipo di morale non solo è un errore gravissimo, ma può generare equivoci (pericolosi) sulla natura dell'Uomo e sulla genesi di determinate culture.
Detto ciò, non risulta difficile concludere che la nostra morale comune (e, conseguentemente, le leggi) è determinata dal paradigma capitalistico.
Attenzione, si badi alla definizione: paradigma, non modo di produzione.
Ritengo necessaria questa precisazione, in quanto troppo spesso (e in molti casi solo per convenienza ideologica) si tende a suddividere in categorie che, però, riportano la medesima desinenza. Non è possibile parlare di economia capitalista o di cultura capitalista come fossero ambienti scollegati, entrambi, e non solo, fanno parte di un solo "movimento": il capitalismo.
Immaginiamo ora che la presunta maggioranza dei soggetti che in un determinato tempo condivideva determinate consuetudini e usanze,  oggi non sia più così "maggioranza", immaginiamo però che quella determinata "maggioranza" (che maggioranza non è più) abbia accesso quasi esclusivo ai gangli del potere. In questo caso, è ancora possibile parlare di morale comune?
Ovviamente, no. Ma qui avviene una modificazione genetica, ossia l'inversione dei fattori: la legge non è più conseguenza della morale comune, ma ne diventa fautrice.
All'apparenza, questa, potrebbe sembrare una tesi di denuncia verso l'inesistenza di una morale comune o di una morale imposta, in realtà questi sono i criteri necessari per l'esistenza del capitalismo.
E' utile ricordare che quando si parla di "sistema concorrenziale", non ci si riferisce (e come già detto, non è possibile, pena la giusta accusa di mistificazione, la creazione di compartimenti stagni) alla sola sfera economica. La concorrenzialità del capitalismo non avviene tra entità astratte, ma tra esseri umani: chi vince vive e cresce, chi perde muore e sparisce o subisce!
A questo punto torniamo all'inizio, per scoprire che ad "estremo" corrisponde tutto quello che non rientra nei parametri appena descritti, perchè il paradigma, in quanto tale, si posiziona "tra", in mezzo, e quindi il rifiuto verso esso è considerato estremità (o estremismo). Come già detto, però, il sistema si nutre di concorrenzialità è quindi necessaria la creazione di un alter ego o opposto. Un ideologia che lo rappresenti (con complicità) escludendo la possibilità di essere additato come eccessivamente rigido.
Il termine è rassicurante, non evoca scontri o dissidi, è al di sopra dei contendenti. Opera in qualità di arbitro e di agente di polizia.
Il "moderato" è la figura che rappresenta la falsa coscienza necessaria del capitalismo.
Aggiusta e reindirizza tutto verso la "giusta" strada, e se la struttura rivela falle le corregge.

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