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domenica 25 settembre 2011

Karel Kosik, "Dialettica del concreto"

[...] L'atteggiamento primordiale e immediato dell'uomo nei confronti della realtà non è quello di un astratto soggetto conoscente, di una testa pensante che considera la realtà speculativamente, bensì quella di un essere che agisce oggettivamente e praticamente, di un individuo storico, che esercita la sua attività pratica in rapporto con la natura e con gli altri uomini, e persegue l'attuazione dei propri fini e dei propri interessi entro un determinato complesso di rapporti sociali. Pertanto la realtà non si presenta dapprima all'uomo sotto l'aspetto di un oggetto da intuire, da analizzare e da comprendere teoricamente - il cui polo opposto e complementare è appunto l'astratto soggetto conoscente, che esiste fuori del mondo e appartato dal mondo - ma come il campo in cui si esercita la sua attività pratico-sensibile, sul cui fondamento sorgerà l'immediata intuizione pratica della realtà. Nel rapporto pratico-utilitaristico con le cose - in cui la realtà si svela come mondo dei mezzi, dei fini, degli strumenti, delle esigenze e degli sforzi per soddisfarle - l'individuo "in situazione" si crea delle proprie rappresentazioni delle cose ed elabora tutto un sistema correlativo di nozioni che coglie e fissa l'aspetto fenomenico della realtà.
Ma "l'esistenza reale" e le forme fenomeniche della realtà - che si riproducono immediatamente nella testa di coloro che realizzano una prassi storica determinata, come complesso di rappresentazioni o categorie del "pensiero comune" (che soltanto per "barbara abitudine" vengono considerate concetti) - sono diverse e spesso assolutamente contraddittorie con la legge del fenomeno, con la struttura della cosa e cioè col suo nucleo interno essenziale e col concetto corrispondente. Gli uomini usano il denaro e con esso eseguono le transazioni più complicate, senza nemmeno saper nè essere tenuti a saper cos'è il denaro. Quindi la prassi utilitaria immediata e il senso comune ad essa corrispondente mettono gli uomini in condizione di orientarsi nel mondo, di familiarizzarsi con le cose e di maneggiarle, ma non procurano loro la *comprensione* delle cose e della realtà. Per questa ragione Marx può scrivere che coloro i quali determinano effettivamente le condizioni sociali si sentono a loro agio, come un pesce nell'acqua, nel mondo delle forme fenomeniche, estraniatesi ala loro connessione interna e assolutamente incomprensibili in tale isolamento. In ciò che è intimamente contraddittorio essi non vedono nulla di misterioso, e il loro giudizio non si scandalizza minimamente di fronte all'inversione di razionale e irrazionale. La prassi di cui si tratta in questo contesto è storicamente determinata e unilaterale, è la prassi frammentaria degl'individui, fondata sulla divisione del lavoro, sulla ripartizione della socetà in classi e sulla gerarchia di posizioni sociali che su essa s'innalza. In questa prassi si forma tanto l'ambiente materiale determinato dall'individuo storico, quanto l'atmosfera spirituale in cui l'apparenza superficiale della realtà viene fissata come mondo della pretesa intimità, confidenza e familiarità in cui l'uomo si muove "naturalmente" e con la quale ha a che fare nella vita d'ogni giorno.
Il complesso dei fenomeni che affollano l'ambiente quotidiano e la comune atmosfera della vita umana, che con la loro regolarità, immediatezza ed evidenza penetrano nella coscienza degli individui agenti assumendo un aspetto indipendente e naturale, costituisce il mondo della pseudoconcretezza.
Ad esso appartengono:
il mondo dei fenomeni esteriori, che si svolgono alla superficie dei processi realmente essenziali;
il mondo del trafficare e del manipolare, cioè della prassi feticizzata degli uomini (la quale non coincide con la prassi critica rivoluzionaria dell'umanità);
il mondo delle rappresentazioni comuni, che sono proiezioni dei fenomeni esterni nella coscienza degli uomini, prodotto della prassi feticizzata, forme ideologiche del suo movimento;
il mondo degli oggetti fissati, che danno l'impressione di essere condizioni naturali e non sono immediatamente riconoscibili come risultati dell'attività sociale degli uomini.
Il mondo della pseudoconcretezza è un chiaroscuro di verità e inganno. Il suo proprio elemento è il doppio senso. Il fenomeno indica l'essenza e contemporaneamente la nasconde. L'essenza si manifesta nel fenomeno, ma soltanto in modo inadeguato, parzialmente, oppure solo per certi lati e certi aspetti. Il fenomeno rimanda a qualcosa d'altro da se stesso, e vive soltanto grazie al suo contrario. L'essenza non è data immediatamente: è mediata dal fenomeno e pertanto si manifesta in qualcosa d'altro da se stesso. L'essenza si manifesta nel fenomeno. Il suo manifestarsi nel fenomeno rivela il suo movimento e dismostra che l'essenza non è inerte e passiva. ma proprio allo stesso modo il fenomeno rivela l'essenza. La manifestazione dell'essenza è appunto l'attività del fenomeno.

(Karel Kosik, Dialettica del concreto)

mercoledì 18 agosto 2010

L'arnese subumano

Qualche tempo fa, alla radio.
Tema della trasmissione: "Quella volta che vi hanno rotto l'oggetto a cui tenevate tanto".
Sms di un ascoltatore: "La donna delle pulizie mi ha rotto la puntina del giradischi, che io considero un figlio. Licenziata la sera stessa!".
Sembra incredibile, sembra un'esagerazione, sembra una sciocchezza. Sembra.
Si legge e subito la si dimentica, probabilmente perchè è così grave che non ci si bada più. O, probabilmente, perchè sono così tanti quelli che la pensano in modo simile da rendere l'episodio normale.
Chissà quante volte si è sentito dire di gente disposta addirittura ad uccidere chi danneggiasse un vetro o la vernice sulla carrozzeria dell'automobile. O che si vantano di amare e rispettare più il proprio cane piuttosto che il collega di lavoro o il vicino di casa. Ma si dai, cosa vuoi che sia. Sono cose che si dicono, ma non si pensano realmente.
Siamo proprio sicuri?
Chi vuole pensarla in questo modo è, purtroppo, padrone di farlo. Ed è questo il motivo per cui divido gli esseri umani in "persone" e "mostri".
Una delle citazioni che preferisco è di Karl Marx, e recita: "Il risultato di tutte le nostre scoperte e del nostro progresso sembra essere che le forze materiali vengono dotate di vita spirituale e l'esistenza umana avvilita a forza materiale".
In poche parole, ecco il concetto di reificazione ossia la soggettivizzazione dell'oggetto.
La reificazione ha un legame imprenscindibile col capitalismo, al quale interno i rapporti tra esseri umani vengono ridotti a rapporti tra le merci da essi prodotti.
Nel caso in questione, "la donna delle pulizie" non è un essere umano ma è un utensile di lavoro di cui si può disporre a proprio piacere.
Come un chiodo, che quando si piega si getta via e se ne prende un altro.

mercoledì 28 luglio 2010

Nessuna pietà per i nemici del popolo!



Nel blog collettivo a cui partecipo, ho inserito una citazione di Lenin che considero un autentico manifesto della capacità di utilizzare la dialettica.
Essa recita:
"Non siamo pacifisti.
Siamo avversari della guerra imperialista per la spartizione del bottino fra i capitalisti, ma abbiamo sempre affermato che sarebbe assurdo che il proletariato rivoluzionario ripudiasse le guerre rivoluzionarie che possono essere necessarie nell'interesse del socialismo".
Parto da qui perchè sono gravemente infastidito da un certo perbenismo che negli ultimi tempi ha inquinato il pensiero di una consistente fazione nell'ambito comunista rivoluzionario.
L'avviso di Lenin è perentorio. Dichiararsi "non pacifisti", non significa chiudere gli occhi e disinteressarsi o partecipare alle guerre imperialiste, ma significa lanciare alle borghesie mondiali un messaggio inequivocabile, quello cioè di non essere disposti a sottomettersi alle sue vessazioni nei confronti del proletariato.
Essere comunisti e rivoluzionari non significa essere velleitari e lanciarsi a mani nude contro i cannoni, ma significa considerare e valutare i rapporti di forza tra le squadre in campo.
Sempre e comunque. Perché non tenere in considerazione questo punto determina, nella stragrande maggioranza dei casi, la condanna a morte di centinaia di migliaia di proletari.
Proprio in base al contrario di questo principio, l'instancabile e solerte movimento controrivoluzionario, prima, e una determianta corrente cultural-ideologica, oggi, che, lavorando al servizio di una egemonica visione che pretende l'accettazione acritica della società capitalista, vorrebbero mettere sullo stesso piano Hitler e Stalin, considerati raffigurazioni sotto forma umana del Male assoluto, e quindi fascismo e comunismo.
La differenza, per noi sostanziale, è che gli obiettivi del primo erano e sono i medesimi obiettivi della borghesia mondiale e la sua persecuzione da parte di altri Stati borghesi non erano mossi da chissà quale morale se non l'unica riconosciuta come suprema all'interno dell'impianto capitalistico, quella della sottomissione.
Di contro, per quanto mi riguarda, gli obiettivi del secondo erano e sono i medesimo che muovono i comunisti rivoluzionari.
E la parentesi si chiude qui.
Ai perbenisti e ai rivoluzionari da operetta voglio dire che il giudizio morale della società borghese non interessa ai comunisti rivoluzionari. Ai comunisti rivoluzionari l'unica cosa che interessa è l'emancipazione del proletariato dal giogo capitalista. Ai comunisti rivoluzionari interessa la soppressione delle classi sociali.
E scandalizzarsi davanti a determinati comportamenti significa già essere parte di una società corrotta in cui non ci si scandalizza se milioni di esseri umani patiscono la fame e la sete o che milioni di altri per mangiare siano costretti alla schiavitù.

venerdì 10 luglio 2009

L'ARNESE SUBUMANO

Oggi alla radio.
Tema della trasmissione: "Quella volta che vi hanno rotto l'oggetto a cui tenevate tanto".
Sms di un ascoltatore: "La donna delle pulizie mi ha rotto la puntina del giradischi, che io considero un figlio.
Licenziata la sera stessa!".
Sembra incredibile, sembra un'esagerazione, sembra una sciocchezza.
Sembra.
Si legge e subito la si dimentica, probabilmente perchè è così grave che non ci si bada più. O, probabilmente, perchè sono così tanti quelli che la pensano in modo simile da rendere l'episodio normale.
Chissà quante volte si è sentito dire di gente disposta addirittura ad uccidere chi danneggiasse un vetro o la vernice sulla carrozzeria dell'automobile.
O che si vantano di amare e rispettare più il proprio cane piuttosto che il collega di lavoro o il vicino di casa.
Massì dai, cosa vuoi che sia. Sono cose che si dicono, ma non si pensano realmente.
Siamo proprio sicuri?
Chi vuole pensarla in questo modo è, purtroppo, padrone di farlo. Ed è questo il motivo per cui divido gli esseri umani in "persone" e "mostri".
Una delle citazioni che preferisco è di Karl Marx, e recita: "Il risultato di tutte le nostre scoperte e del nostro progresso sembra essere che le forze materiali vengono dotate di vita spirituale e l'esistenza umana avvilita a forza materiale".
In poche parole, ecco il concetto di reificazione ossia la soggettivizzazione dell'oggetto.
La reificazione ha un legame imprenscindibile dal capitalismo, al quale interno i rapporti tra esseri umani vengono ridotti a rapporti tra le merci da essi prodotti.
Nel caso in questione, "la donna delle pulizie" non è un essere umano ma è un utensile di lavoro di cui si può disporre a proprio piacere. Come un chiodo, che quando si piega si getta via e se ne prende un altro.

sabato 20 giugno 2009

IO NON VOGLIO LASCIARMI MORIRE!

Ho letto un articolo di Francesco Sisci, corrispondente da Pechino per "La Stampa", dal titolo "Da samurai a bamboccioni", e il mio umore è passato da curioso a triste a terrorizzato.
La curiosità è soddisfatta nello scoprire che la società giapponese stà subendo cambiamenti drastici; nella terra che fu dei samurai, oggi due terzi della popolazione maschile nella fascia d'età tra i venti e i trentacinque anni hanno scelto di essere "soshouku-kei" (erbivori), vivono con la mamma, non ambisce a carriere professionali e non pensa a farsi una famiglia nè ad avere rapporti di tipo sentimentale con l'altro sesso.
Cresce la tristezza quando scopro che il 40% dei maschi minge in posizione seduta per evitare rimproveri dalle donne o che indossa reggiseni perchè si sentono più tranquilli e sereni.
Passo, infine, al terrore nel realizzare tutto ciò e leggendo la conclusione dell'articolista:" Dopo la fine di queste idee di grandezza, il destino del Giappone e dei giapponesi, sembra incerto. Perchè bisogna lavorare e divorare? Meglio prendersela calma, meglio pascolare tra l'erba, perchè forse, chissà, è proprio l'anima del samurai che si sta estinguendo. E alla fine, forse, potrebbe anche non essere un male".
Ora, aldilà delle inutili considerazioni di carattere folkloristico del signor Sisci e aldilà delle mie preferenze di natura romantica, quel che terrorizza è il telone di nichilismo che avvolge oramai il mondo. E che fa sì che si consideri solamente da un punto di vista statistico il fatto che in Giappone il deficit sul Pil è del 180% o che quello del Sol Levante sia, dopo gli Usa, il secondo paese al mondo con il tasso più alto di povertà tra quelli più sviluppati.
Sicuramente farà piacere a molti sapere che la società nipponica stà cambiando anche dal punto di vista del sesso dominante, senza però rendersi conto dei pericoli che ciò comporta.
La mia critica potrebbe sembrare una difesa della società maschilista, ma in realtà vado oltre.
Si legge continuamente, negli ultimi tempi, che sempre più donne rinunciano (o sarebbero disposte a farlo, tranquillamente...) ad avere figli perchè lo considerano un ostacolo alla carriera professionale. Questo è, per me, terribile!
E' terribile è anche vedere che la società si sposta verso il dominio da parte delle donne, così come terribile è una società in cui dominano gli uomini sottomettendo le donne.
Il nichilismo è così tanto dentro noi che oramai non è così strano sentire affermare che "il genere umano è destinato all'estinzione", ed alcuni, addirittura, auspicano che ciò avvenga in anticipo rispetto alle previsioni.
Bisogna ribellarsi a questo modo di vedere, bisogna agire per la vita non per la morte.

domenica 24 maggio 2009

PARLER DE LA PLUIE ET DU BEAU TEMPS

Tra le innumerevoli inutilità del nostro tempo, merita una citazione particolare il "meteo".
Si badi, non la "metereologia" (che è quella "parte della geofisica che studia i processi che hanno luogo nell'atmosfera e le loro influenze sul clima") ma la sua versione radio-televisiva in stile show.
Ora, senza naturalmente esagerare, riconosco che in particolari periodi sia utile sapere se "domani pioverà" o sarà "nuvoloso", ma non è pasquetta tutti i giorni.
Pur nonostante, per molte più persone di quel che crediamo, il "meteo" ha importanza fondamentale, al pari del suo "cugino" oroscopo.
Ricordo, ad esempio, due film in cui risulta questa importanza: in "Seven" c'è la scena in cui Pitt e Freeman individuano il nascondiglio del serial killer e, leggendone i quaderni, scoprono che vomita addosso ad un passeggero del metrò che gli parla del tempo;

in " The Weather Man" Nicholas Cage, ogni volta che incrocia un telespettatore, diventa bersaglio del lancio di dolci o bevande perchè sbaglia le previsioni.

Il meteo, come appunto il cugino oroscopo, è una necessità nella nostra società, o meglio la nostra società è strutturata in maniera tale che il meteo occupi un posto di rilievo. Perchè permette un'azione fondamentale all'essere umano, la comunicazione.
Basta guardarsi attorno per capirlo.
A nessuno interessa un fico secco della vita altrui, e questo è un portato dell'eccessivo individualismo d'accordo, ma possediamo un istinto naturale a cui dobbiamo rendere conto: la socialità. Per cui socializziamo sulla base di assolute inutilità: "hai visto che pioggia? Speriamo che smetta", "il mio oroscopo diceva che ieri dovevo morire, ma sono fortunato!", "ha fatto bene Anna Piccioni a mollare Stefano Strappetti..." e via dicendo.
Tutto ciò non è il sintomo di una specie di idiozia dilagante ma è il risultato della schiacciante vittoria del nichilismo e del postmodernismo.
Il meteo, l'oroscopo, il gossip e le innumerevoli altre "vaccate" (pardon!) esistenti restituiscono (in parte) quel che è stato scippato: la speranza.
Qualcuno tenta di resistere, infatti scientisti e teologi si schiaffeggiano a vicenda, pur perseguendo un fine simile.
Insomma, l'essere umano ha bisogno di uno scopo, un sogno, un'utopia. E se gli viene a mancare, se la inventa.
Concludendo, la necessità non è dunque "eliminare" meteo, oroscopi e varie, ma ripristinare una delle priorità fondamentali dello spirito umano che, tra l'altro, è anche quella che ci rende differenti da molte specie animali: la speranza nel futuro.

venerdì 8 maggio 2009

DISGUSTARIO 2009

Oramai da qualche settimana, per motivi che non sto qui ad approfondire, ricevo "Il Giornale" a domicilio.
Nelle giornate tiepide primaverili è anche piacevole sfogliarlo, perchè, se fatto con il giusto vigore, questo movimento crea una lieve brezza rinfrescante, sennò salto a piè pari le prime dodici-quindici pagine, ossia, nell'ordine, la guerra contro il trio Santoro-Travaglio-Di Pietro, l'apologia inginocchiata del governo e dei suoi ministri e il gossip politico ("Indiscreto a palazzo"). Tento con risultati discutibili di risolvere il sudoku, e arrivo alle pagine della sezione "Cultura" con la speranza di trovare articoli interessanti su politica (quella autentica, non la amministrativa di cui si sente parlare ogni giorno), filosofia o letteratura. Certo non faccio salti di gioia dato che per lo più sono pezzi dedicati ad un certo tipo di destra reazionaria e liberista, ma risulta utile conoscere anche altri punti di vista.
Mercoledì (6 maggio) sono stato attratto dal titolo "Caro Brunetta, i fannulloni li inventai io. Firmato: Marx".
Lo spazio era dedicato alla presentazione di "Fisimario 2008", libro scritto da Ruggero Guarini edito dalla casa editrice Spirali che, per l'occasione, ha concesso l'autorizzazione a pubblicare tre delle quasi duecento "lettere immaginarie": una di Federico Fellini a Alberto Arbasino, una di Cassandra a Eugenio Scalfari e una di Karl Marx a Renato Brunetta.
Considerando la mia simpatia per Scalfari (simile a quella che nutro per la sabbia nelle mutande...) e l'idiosincrasia per Fellini (da me non amato...si, lo so che molti lo consideravano un genio...ma a me non piace affatto!), ho letto la prima e lì mi son fermato.
Dunque, vediamo.
Anzitutto è necessario premettere che, non casualmente, Il Giornale descrive l'autore come "L'ex comunista dalla penna prolifica". Effettivamente è stato iscritto al Pci nei primi anni Cinquanta e ne è uscito dopo la "rivolta ungherese", ma, probabilmente, la sua militanza è stata un passatempo. E mi sorge il dubbio che l'intento dell'autore non sia politico, bensì ludico-goliardico, ma ogni occasione risulta buona per Il Giornale per esaltare le imprese dei ministri dell'attuale governo.
Ma leggiamo alcuni stralci.
"Gentile ministro Brunetta,
guardi che a scoprire e a rilevare che la sinistra è tendenzialmente fannullona non è stato lei.
[...] A quegli analfabeti della cosiddetta sinistra del suo Paese che pretendono di contestare il suo diritto di affermare che il fannullonismo è una virtù che abita a sinistra, e in particolare ai signori Epifani e Veltroni, deve dunque spiegare che non è con lei ma con me che se la devono prendere.
La prova inoppugnabile che il vero scopritore dell'essenza fannullona della sinistra sono io e non lei si trova in un librone che scrissi a quattro mani col mio amico Engels e che pubblicai centosessant'anni e rotti fa. Si intitola «L'ideologia Tedesca» (1845-1846).
[...] Si tratta dunque dell'unico serio contributo che io abbia dato alla storia della letteratura utopistica.
Comunque [...] glielo ripropongo lo stesso:
«Appena il lavoro comincia ad essere diviso ciascuno ha una sfera di attività determinata ed esclusiva che gli viene imposta e dalla quale non può sfuggire: è cacciatore, pescatore, o pastore o critico, e tale deve restare se non vuol perdere i mezzi di vivere, invece, nella società comunista, in cui ciascuno non ha una sfera di attività esclusiva ma può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere, la società regola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile di fare oggi questa cosa, domani quell'altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare bestiame, dopo pranzo criticare, così come mi vien voglia: senza diventare nè cacciatore, nè pescatore, nè pastore, nè critico».
In questa mia struggente descrizione della giornata tipo che nella società comunista verrà concessa a tutti i futuri mortali, non lo sente, gentile ministro Brunetta, il vago profumo del sogno dilettantesco di tutti i fannulloni?".
.....
Trovo tutta questa tirata di una comicità esilarante. Provate a domandare ad una donna, esasperata dal fidanzato che le fa sorbire continuamente partite di calcio, se ha capito la regola del fuorigioco.
Ecco, sia l'autore del libro in questione che il caporedattore de "Il Giornale" (o comunque il responsabile della scelta di pubblicare una cialtronata simile) non solo non hanno capito un bel niente de "L'ideologia tedesca" (sempre che si siano sforzati di leggerlo), ma sono anche in malafede!
Eppure non è incredibilmente faticoso comprendere che la divisione del lavoro appartiene ad una società suddivisa in classi (se non caste!), una società in cui un battilastra rimarrà battilastra tutta la vita, l'architetto rimarrà sempre architetto, lo schiavo rimarrà sempre schiavo.
Usando il medesimo metro, si rende conto il signor Guarini che sta dando del fannullone al ministro Brunetta?
Dato che egli è stato: professore universitario, sindacalista e ministro!
Cari mistificatori di terza classe, se riuscite, provate ad andare oltre. Provate a riflettere sul fatto che l'essere umano è un ente animale generico, non particolare come vorreste far credere.

martedì 28 aprile 2009

AH, MA ALLORA E' UNA PERSECUZIONE....

Facendo zapping, ieri sera dopo cena, mi sono fermato un paio di minuti su "La7" dove trasmettevano "8 e mezzo"(il link riporta al video, notare dal minuto 27 in poi). In quel mentre Ferrero, segretario di Rifondazione Comunista, e Fava ,segretario di Sinistra e Libertà, sostenevano la necessità di un cambio di rotta prima di tutto a livello culturale.
Allora la conduttrice, Lilli Gruber,  ha incalzato tirando fuori la solita storia delle questioni concrete.
Ho alzato gli occhi al cielo e ho spento la tv.
Basta. Non ne posso più.
Ma che diavolo vuol dire?
Quando la finiremo con questo andazzo?
E' tanto difficile capire che, se prima non si opera un cambiamento a livello culturale, non è possibile agire nel concreto?
L'essere umano moderno non può rivolgersi al mondo con fare preistorico. Le conoscenze (in ogni ambito) che possediamo devono essere sfruttate, quindi se ci troviamo in prossimità del fuoco non abbiamo bisogno di toccarlo per sapere che brucia.
Ho l'impressione che questo modo di affrontare le questioni rientri nell'ambito di quella visione nichilistica con il metodo usato da Severino e Galimberti, ossia il considerare l'esistenza della tecnica come una questione insuperabile e, razionalmente, incontrollabile.

venerdì 20 febbraio 2009

LA PARALISI

Oggi, 20 febbraio, per la trentottesima volta nella mia vita compio gli anni. Ma è un dettaglio, perchè vorrei parlare di tutt'altro.
Vorrei parlare di un pensiero che da qualche giorno mi ronza per la testa, vorrei parlare della paralisi culturale che ci attanaglia. Sì, perchè ho l'impressione che si sia fermi ad un secolo fa.
Credo di poter affermare, senza timore di esser smentito, che l'inizio della fine (anzi, del declino...per non fare la parte del catastrofista) si possa individuare con l'«avvento» del nichilismo.
Può darsi del contrario, ma non credo di essere scemo (ma del resto è pur sempre un'opinione personale!).
Il fatto è che tutti, o quasi, siamo consapevoli della sua esistenza, ma cosa facciamo per contrastarne il dominio?
Poco o nulla.
Perchè il nichilismo è il paradigma culturale che meglio si adatta al sistema economico dominante.
Mi viene in mente la ricetta perfetta del pappone che ci ingurgitiamo tutti i giorni senza fiatare: mezzo chilo di sottomissione, mezzo chilo di educazione religiosa (anche quelli che dicono di non credere in quanto avranno ricevuto sicuramente un'educazione di questo tipo), un pizzico di terrore di perdere qualcosa che non si ha e una spruzzata di ottimismo.
Siamo incastrati!
Vorremmo uscirne ma non abbiamo idea di come riuscirci e quelli che "dovrebbero" non ci forniscono i mezzi, perciò ci assumiamo la colpa.
Ma siamo veramente colpevoli?
Oppure siamo solo vittime?
Non so, di sicuro però siamo pigri. Talmente pigri da divenire automi e convincerci di non esserlo.
La domanda che allora mi pongo è: siamo disposti a darci da fare per uscire da questo pozzo?
"E perchè mai? Si sta bene nel pozzo", risponderebbe la maggior parte di noi.
Probabilmente.

giovedì 19 febbraio 2009

E' IL POSTMODERNO, BABY.

Giunti a questo punto e dopo tutto quello che si è detto, un "nuovo" tabù riempie i nostri scaffali mentali: la questione del testamento biologico.
Ma prima di affrontarla è necessario sciogliere altri nodi.
Il governo, in primis, e poi l'intero parlamento, dopo aver dato dimostrazione della propria incapacità, ha messo da parte il tutto magari con l'intento di tirarlo fuori a ridosso delle prossime elezioni. E intanto le decine di situazioni simili rimangono in bilico.
Questa, se ce ne fosse stato il bisogno, è l'ennesima conferma che coloro che occupano gli scranni dell'emiciclo non svolgono una completa attività politica ma si occupano solo della parte amministrativa, hanno stabilito un "modus operandi" e si muovono al suo interno senza affatto occuparsi della "polis". Governare a "colpi di decreto" è, di fatto, non governare.
Nel caso specifico, che pare aver "scosso" le coscienze degli italiani (anche se è bene specificare che non è esattamente andata come televisioni e giornali hanno voluto descrivere perchè, benchè l'argomento fosse di estrema importanza, il Paese non si è "spaccato in due"), e che non approfondirò nell'ambito personale per rispetto dei diretti interessati, quel che è avvenuto è un ribaltamento delle posizioni dei contendenti rispetto ai differenti campi etici di provenienza. Ciò non deve stupire, ma piuttosto aiutare nella comprensione della realtà.
I contendenti sono: i fondamentalisti cattolici e i fondamentalisti laici.
I primi, questa volta inaspettatamente con fare spavaldo, rivelano quel che realmente la Chiesa rappresenta ossia la sovrastruttura religiosa del sistema economico capitalistico.
Nonostante qualche intellettuale si ostini ad affermare il contrario, l'esistenza della religione è legittima (tanto quanto quella della scienza e, se nutre dubbi, il noto "intellettuale" a cui  mi riferisco farebbe bene ad informarsi circa l'esistenza del postmodernismo) perciò la Chiesa non solo sfrutta il diritto alla sua esistenza ma utilizza con maestria quelle stesse affermazioni che ne determinerebbero la fine, ma proprio così facendo abbandona i vecchi principi adottandone di nuovi.
Paradossalmente, si potrebbe parlare di una Chiesa che opera con metodi progressisti (paradossalmente).
Questa nuova Chiesa, se da un lato attacca il relativismo dall'altro lo usa per meglio districarsi nel supportare il suo nuovo padrone che non è più Dio. E così accade che essa rilevi il pericolo di deviazioni verso l'eugenetica ma contemporaneamente difenda un presunto diritto alla vita anche se questa è dipendente da una macchina.
I secondi (i laici), di contro (?), si confermano sostenitori della filosofia del "due piedi in una sola scarpa". Infatti, se hanno a che fare con la legge si richiamano a Dio e viceversa.
Insomma, in questo scontro gli uni hanno difeso con vigore le posizioni degli altri.
Il risultato che ne consegue è che la Chiesa, richiamandosi ad un presunto "diritto alla vita", ha abbandonato la difesa del diritto divino (che per essa dovrebbe essere naturale...ops) di "consegnarsi" alla volontà del Padre Eterno. 
E lo fa "utilizzando" la tecnica!

lunedì 19 gennaio 2009

RIGUARDO ALLA FATICOSA ALBA

Spero di non passar per superficiale ma, per ora, queste sono le mie conclusioni.
A caldo la mia reazione è stata di rifiuto poi, riflettendoci meglio,ho capito che avevi ragione (attenzione non ho mai pensato il contrario, ma avevo semplicemente alcune riserve).
Meglio. Non ho mai avuto dubbi su "da che parte stare", ma mi infastidisce grandemente il dover ammettere che "essi" vivono meglio (o hanno ragione). Non per "partito preso", ma perchè sono assolutamente convinto che in realtà non hanno per nulla ragione e non vivono meglio. Se ne convincono, probabilmente perchè pensano che così facendo ritarderanno la loro inevitabile fine (e, soprattutto, l'oblìo).
Scusami.
Ma così come non posso accettare che i sacerdoti di mammona vadano dicendo in giro che il loro culto "è stato, è, e sarà!", non mi va di accettare che i cultori del "Secondo Superomismo" siano nel giusto. Anche se (ora) capisco che la tua è semplicemente una constatazione della realtà.
Ed infine un'ultima ammissione (di colpa).
Ossia l'aver sottovalutato la potenza assuefativa del nichilismo che mi ha fatto abbassare la guardia oppure non me l'ha mai fatta alzare.

mercoledì 30 luglio 2008

Mutatis mutandis

Per comprendere meglio l'importanza della questione morale all'interno del dibattito sul postmodernismo non può essere trascurata una figura di spicco, un uomo che viene considerato uno dei più importanti statisti del Ventesimo secolo: Henry Kissinger.
Probabilmente molti hanno già sentito questo nome ma chissà quanti conoscono la portata, a livello internazionale, delle sue azioni?
Quindi, giusto per rendersi conto di chi stiamo parlando invito alla lettura dei seguenti, brevi, articoli:
Ma veniamo al punto.
In un articolo pubblicato dal quotidiano "La Stampa", il 5 maggio 2008, dal titolo "Il politico ha diritto di mentire" il teologo svizzero Hans Kung contesta le tesi di Kissinger contenute nel suo saggio, "Diplomacy".
Leggiamone uno stralcio.
"Una domanda etica cruciale per il successore di Bush e': un Presidente deve mentire? Ci sono circostanze in cui e' costretto a farlo?
L'ex segretario di Stato Kissinger non ha difficolta' a giustificare le menzogne. Ritiene che lo Stato, e percio' lo statista, abbia una morale diversa da quella del cittadino. Ha messo in pratica questa teoria nei suoi anni all'amministrazione Nixon e piu' tardi l'ha energicamente difesa nel suo saggio, citando figure storiche che ammira, come Richelieu, Metternich, Bismarck e Roosevelt.
Quando gli dissi che quel genere di politica del potere mi sembrava inaccettabile, mi rispose, non senza ironia, che i teologi vedono le cose "dall'alto", mentre gli uomini di Stato le osservano "dal basso".
Ho posto la stessa domanda sulla menzogna e l'etica politica a un amico comune, l'ex cancelliere della Germania federale Helmut Schmidt, in occasione della Lezione di Etica Globale che nel 2007 tenne all'Universita' di Tubinga: "Henry Kissinger dice che lo Stato ha una morale diversa da quella di un individuo - la vecchia tradizione dai tempi di Machiavelli. Un politico che si occupi di affari esteri ha davvero diritto a una condotta speciale?".
Schmidt replico': "Sono fermamente convinto che non esiste una morale diversa per l'uomo politico, anche per quello che si occupa di affari esteri. L'idea opposta e' stata sostenuta da molti politici nell'Europa del XIX secolo. Forse Henry vive ancora nell'Ottocento... Non so. Ne' so se oggi difenderebbe ancora quel punto di vista". Apparentemente si'."
E ancora: "All'epoca di Metternich e Talleyrand due diplomatici potevano ancora mentirsi l'un l'altro. Oggi invece una diplomazia segreta efficace richiede franchezza, nonostante le piu' astute tattiche di negoziato. Gli sporchi trucchi e gli inganni alla lunga non pagano. Perche'? Perche' minano la fiducia. E senza fiducia e' impossibile una politica che dia forma al futuro. Cosi' la prima virtu' diplomatica e' l'amore per la verita', secondo quanto scrisse il diplomatico britannico Sir Harold Nicolson nel suo classico del 1993 "Diplomacy" - che, incidentalmente, Kissinger cita solo di malavoglia nella pagina dei copyright del suo "Diplomacy" (e poi ignora).
Questo significa che statisti come Thomas Jefferson avevano ragione: esiste un'unica etica. I politici e gli uomini di Stato non hanno diritto a una morale speciale.
I criteri etici che si applicano agli individui vanno applicati anche agli Stati. Neppure i fini politici giustificano i mezzi immorali.
Cosi' la verita', che dall'Illuminismo e' stata riconosciuta come la precondizione della societa' umana, vale non solo per i comuni cittadini ma anche per i politici - anzi,soprattutto per i politici. Perche'?
Perche' i politici hanno una responsabilita' particolare del bene comune e, ancor piu', godono di un numero considerevole di privilegi."
Il concetto è molto chiaro.
Per ovvie motivazioni opposte, il teologo non riesce a comprendere (o non vuole) ciò che, non solo è chiaro, ma addirittura scontato per lo statista, ossia la morale dell'individuo postmodernista per il quale "tutto è" e "tutto non è".
Il problema che ci urge affrontare, onde evitare di rimanere intrappolati in una condizione del tipo "cane mangia cane", è se questo tipo di morale, diciamo così "volatile", è condivisibile o meno.
La mia risposta è, decisamente, no!

venerdì 25 luglio 2008

Dogma non dogma, questo è il problema...

Ci risiamo!
Nello stralcio d'intervista che segue, pubblicata sul numero 11 della rivista "Diogene", il filosofo Giulio Giorello si dichiara favorevole alla libertà di pensiero.
Peccato che la libertà di cui parla non è la libertà per tutti.
D: «Nel suo saggio “Di nessuna chiesa”, Lei cita l'antropologo Clifford Geertz per il quale la società aperta sarebbe una sorta di "bazar levantino", caotico quanto si vuole, ma in cui ognuno ha il suo posto di vendita. Ritiene che una certa confusione sia un segno salutare di una società libera?»
R: «And from the very beginning there was dissension and confusion, ebbe a scrivere Karl Popper in un celebre intervento poi incluso in “Congetture e confutazioni”. Non stava facendo una qualche esegesi vetero-testamentaria, anche se il suo inglese ricorda quello della Versione Autorizzata di Re Giacomo (VI di Scozia e I di Inghilterra), bensì stava parlando dello "scisma" della fisica novecentesca, in particolare della controversia tra Albert Einstein e Niels Bohr a proposito della struttura e del significato della meccanica quantistica. Basterebbe pensare alle ricadute di quella memorabile battaglia di giganti, in particolare ai dibattiti susseguiti al celebre teorema di John Bell, per capire come una disparità di opinioni e persino un'atmosfera da bazar giovino "sul lungo periodo" alla crescita della conoscenza.
Vale lo stesso per la società civile? Si, almeno se pensiamo che un modello di società aperta sia stato costituito inizialmente da quella che Galileo chiamava "la Republica delle Lettere", cioè la comunità dei "virtuosi" in "filosofia naturale", oggi diremmo scienza, via via strutturatasi in accademie e istituti di ricerca. Si tratta di un elemento fondamentale del processo di modernizzazione; anzi, del tipo di "rete" intellettuale e sociale che ha segnato lo stacco dal "tempo dei maghi", per usare la pregnante caratterizzazione dello storico della scienza Paolo Rossi. Ovviamente, il mondo è anche pieno di persone che temono questo tipo di caos: o si tratta di gente vile, gente cioè che vorrebbe edificare il patto sociale sulle paure, un pessimo materiale da costruzione, o di personaggi molto astuti che deplorano il bazar perché vorrebbero aver loro il controllo della merce esposta. Usurpatori.
»
(...)
D: «Michel Onfray sostiene che nel dibattito fra razionalità scientifica e fede lo Stato non dovrebbe essere neutro, ma sostenere e promuovere la scienza e l'etica laica. Lei condivide tale affermazione?»
R: «Onfray può ovviamente sostenere quello che vuole. Ma i suoi argomenti mi sembrano molto deboli. Per esempio, vedasi il volume collettivo "Atei o credenti. Filosofia, politica, etica, scienza" (Fazi editore, 2007), ove i suoi due partner, Paolo Flores D'Arcais e Gianni Vattimo, non mi sembrano presentare tesi migliori. Io rimango un seguace di Thomas Jefferson, il "risoluto ribelle" della Virginia poi diventato terzo presidente degli Stati Uniti, il quale era cristallino nel sostenere che anche una scienza di Stato sarebbe un'ulteriore versione della tirannide .
(...)
Il filosofo John Stuart Mill fu fautore del diritto dei popoli di dichiararsi indipendenti da altri popoli, e sostenne le rivendicazioni degli Stati Uniti e dell'Irlanda. Ma, al tempo della Guerra Civile americana, non era certo tenero con le dichiarazioni di indipendenza dei vari Stati secessionisti del Sud schiavista, dal momento che in tali Stati uscire dall'Unione significava perpetuare l'oppressione dei neri. Dunque, ogni "principio" va valutato applicazione per applicazione sulla base delle conseguenze che esso potrebbe produrre.»
D: «Maurizio Ferraris sostiene che l'attuale ritorno della religiosità sia un fenomeno superficiale: il credente poco o nulla sa della religione, crede nel Papa, non nei dogmi. Alla domanda "in cosa crede chi crede" Ferraris così risponde:"Al Papa della televisione. Lei come risponderebbe?»
R: «Semplicemente così: sono fatti loro! A me non interessano le credenze dei cattolici italiani, o dei protestanti nordirlandesi o degli islamici sull'altra sponda del Mediterraneo. Mi interessano le loro azioni. Se violano la "mia" libertà, intesa come dispiegamento delle mie preferenze, quelle che Joseph Ratzinger chiama sprezzantemente "voglie", la risposta non può essere che una: lotta senza quartiere.»
(...)
???.....Mi sono perso qualcosa?
Quindi nel "bazar" le sue libertà non sono contemplate?E di cosa si è parlato, allora, finora?

sabato 21 giugno 2008

La forza del pensiero "debole"

Nel suo articolo, dal titolo "Ragione e desiderio così nasce la libertà" (Corriere della Sera, 19 giugno 2008), Giulio Giorello dà prova del fatto che non si possono considerare i diversi ambiti (scientifico, filosofico, artistico, eccetera) scollegati, o in qualche maniera esterni, al sistema in vigore.
Egli mischia, non casualmente, diversi punti e, così facendo, trae la soluzione del dilemma sulla libertà.
A partire dal titolo si notano incongruenze di carattere propagandistico, infatti, secondo lui un carattere naturale umano, la ragione, fondendosi con un carattere storico, il desiderio, darebbero luogo alla libertà, ossia una necessità naturale.
Il lavoro propagandistico procede con la trasformazione, in idealismo nietzscheano (volontà di potenza desiderante), del materialismo di Spinoza: «L'esperienza, non meno che la ragione, insegna che gli esseri umani credono di essere liberi solo perché sono consapevoli delle proprie azioni ma ignari delle cause da cui sono determinate, e inoltre che i decreti della mente non sono altro che gli appetiti stessi, e perciò sono differenti a seconda della diversa disposizione del corpo»; e continua: «Diceva Spinoza:"Quanto più uno è in grado di ricercare il proprio utile, tanto più è dotato di virtù. Al contrario, quanto più uno trascura di conservare il proprio utile, tanto più è impotente". (…), questo tipo di utilitarismo è tutt'altro che egoismo — come vuole uno stereotipo diffuso. Piuttosto, esso è alla radice della stessa vita associata, ove gli esseri umani tramutano situazioni di pura competizione per le risorse in occasioni di cooperazione. Tutto questo avviene attraverso una percezione razionale dei propri interessi, senza nessun appello a valori comuni o ad assoluti religiosi. E' da qui che mi pare opportuno partire per una democrazia pluralistica che tenga conto della differenza delle idee come della diversità dei corpi. C'è chi la bolla sbrigativamente come "relativismo", mentre alcuni temono che questo tipo di approccio riduca i cosiddetti valori a semplici preferenze.»; ecco ricomparire la volontà di potenza, ossia confondendo la necessità della specie con l'utilitarismo capitalistico.Ma proseguiamo.«Mi si obietta: se la libertà stà nel superamento delle costrizioni ai movimenti e alle azioni dei soggetti, perché non dovrebbero lasciare allora spazio a pedofili o a sadici che, dopo tutto, potrebbero invocare a giustificazione le loro voglie o i loro appetiti? La risposta è semplice: come ben sanno i teorici dell'utilitarismo sia i migliori dei loro critici, vanno accettate le preferenze che riguardano noi e non quelle che coinvolgono altri! Ovvero agli altri non dovremmo nemmeno fare quello che vorremmo fosse fatto a noi: potrebbero avere gusti differenti. Questa regola ci mette al riparo non solo da sadici, pedofili, eccetera, ma anche da benefattori inopportuni. Per dirla ancora con Spinoza, "chi per semplice affetto si adopera perché gli altri amino ciò che egli ama e vivano secondo il suo sentimento agisce solo per impulso e perciò è odioso specialmente a quelli che trovano piacere in altre cose". Sotto questo profilo, mi paiono odiosi in egual misura sadici, pedofili e fanatici di ogni risma».
Anzitutto viene da chiedersi quale dovrebbe essere l'impulso che ci fa rifiutare o accettare determinati comportamenti in quanto considerati giusti o sbagliati?
Ed altre domande che si potrebbero porre saranno: chi decide cosa? chi decide di decidere? in base a cosa, colui che decide, decide appunto? eccetera eccetera.
Stabiliamo, una volta per tutte, che nel momento in cui l'uomo, utilizzando la reificazione, ha delegato il proprio potere decisionale al modo di produzione dominante esso, inevitabilmente, ci ha condotti nel tempo dell'«ultimo uomo» nietzscheano.
Questo tipo di visione, che ovviamente terrorizza in quanto portatrice di caos, stabilisce, come soluzione migliore, di confondere il tutto con la visione del tempo del «Superuomo».
La morale, che è anche gestante del concetto di libertà, non si può ricercare o stabilire dal nulla ma è, necessariamente, frutto delle conoscenze empiriche; ecco perché stabilire una morale che non tiene conto delle situazioni reali significa aprire le porte al caos dell'«ultimo uomo».
Anziché stabilirlo sarebbe utile considerare e studiare profondamente il concetto di libertà già esistente in natura, in quella stessa natura che il capitalismo ha derubato all'Uomo.

domenica 8 giugno 2008

Opinioni.

Silvano Agosti sull'industria: " Tutto l'Occidente vive in un'area di beneficio perchè sta rubando... otto decimi dei beni del resto del mondo ...quindi non è che noi siamo il bene in un regime politico capace di darci la televisione...la macchina...no ....è un sistema politico che sa rubare otto decimi a tre quarti di mondo e che da un po' di benessere a un quarto di mondo che siamo noi...quindi signori miei...o ci si sveglia, o si fa finta di dormire, o bisogna accorgersi che siete tutti morti...voglio precisare...l'uso che si fa dell'industria, non l'industria...l'uso che si fa dell'industria è l'uso più sciatto e idiota che si potesse immaginare...non si può immaginare un uso più sciatto, tant'è vero che sta distruggendo il pianeta...sta spargendo ossido di piombo in tutte le città del mondo...sta creando cibi avvelenanti...sta facendo le peggio cose, sta facendo buchi nell'ozono...e tutti dicono...ah...bisogna aiutare l'industria...l'industria...capito?...è così idiota...per esempio dire : che rapporto c'è tra la scelta di trenta marche di dentifricio e l'inquinamento? rapporto cento a cento! E se noi avessimo invece tre dentifrici uno migliore dell'altro...con scritto dentifricio 1, dentifricio 2 e dentifricio 3...gli altri ventisette non inquinerebbero il mondo...e ho parlato del dentifricio...per non parlare di tutte le altre cose...perchè tutto è studiato per il profitto e non per la felicità dell'uomo...perchè per fare quello che fa l'industria bisogna uscire dalla vita...nel senso che la vita è clandestina all'interno dell'attuale cultura." (Tratto da: "Ca'Volo", Mtv 2001)

venerdì 30 maggio 2008

Libertà?

Credo che l'adolescenza sia il momento in cui per la prima volta nella vita prende forma il concetto di libertà.
Si può dire che il concetto di libertà ci interessa solo nel momento in cui sentiamo di averne poca o non averne affatto.
Per me, libertà non vuol dire poter fare ogni tipo di nefandezza possibile e passarla liscia; non vuol dire essere indipendente economicamente; non vuol dire essere libero da doveri; non vuol dire poter fare o pensare quel che mi pare.
Libertà, per me, vuol dire non avere bisogno di libertà.
Libertà vuol dire non avere bisogni, di alcun genere se non quello indispensabile di vivere.
E' per questo motivo che noi tutti sentiamo la necessità di essere liberi, perchè ci manca.
Non si può parlare di libertà in un mondo dove non possiamo godere della natura in ogni sua forma; dove tutto "appartiene"; dove pochi, con prepotenza, dispongono del bene di tutti.
La libertà è un bene naturale!
L'uomo moderno non si è "civilizzato" ma si è de-naturalizzato!

lunedì 26 maggio 2008

Lavaggi mentali.

La, del tutto casuale per me, scoperta del passaggio a Torino, con annessi seminari organizzati dalla Scuola di Alta Formazione Filosofica, del filosofo del linguaggio John R.Searle mi offre lo spunto per sciogliere un nodo che mi crea particolari fastidi ossia una delle "nuove" parole d'ordine della Sinistra reazionaria: la meritocrazia.
Dal dizionario, "meritocrazia": concezione per cui ogni riconoscimento è esclusivamente commisurato al merito individuale.
E' necessario premettere che, principalmente, sono due i motivi che mi provocano fastidio: il primo è perchè è una concezione profondamente differenzialista ossia crea una diseguaglianza; e il secondo è perchè viene usato politicamente come mezzo di sedazione verso la classe dei lavoratori.
La questione fondamentale è sempre la stessa cioè il fatto che il capitalismo, nonostante dai suoi stessi "difensori" venga considerato come l'assoluto, incontrastabile e insuperabile modo di produzione esistente, che comprende in sè l'autoriproduzione, necessita continuamente di essere legittimato.
Le forme culturali che nascono al suo interno e che sono esclusivamente atte a difenderlo creano però alcuni scompensi che, se non corretti, causano il rischio di apertura di crepe quasi irrimediabili.
Mi riferisco in particolar modo al postmodernismo.
Molto semplicisticamente si potrebbe riassumere il manifesto di questo movimento culturale (ma attenzione a non farsi trarre in inganno, perchè inevitabilmente, proprio perchè non è possibile considerare e analizzare le questioni come se fossero compartimenti stagni, coinvolge tutte le sfere del vivente e dell'esistente quindi tutti i campi dell'uomo, metafisici e non: l'economia, la politica, la filosofia, l'arte, il linguaggio eccetera) nelle seguenti affermazioni: nulla è possibile, tutto è possibile; nulla è, tutto è; nulla esiste, tutto esiste.
Ridurrendo ulteriormente si potrebbe aggiungere che il postmodernismo esalta la disoggettivazione del reale.
Questo metodo di considerare il mondo, che io reputo il "braccio armato del nichilismo" (cfr. il post "Filo conduttore"), legittima l'esistenza del possibile e del non-possibile e quindi, per restringere il campo all'argomento che ci interessa in questo momento, il riconoscimento di innumerevoli visioni morali del mondo (attenzione a non fare confusione tra morale e moralismo!).
Questa apparente visione libertaria in realtà ha conseguenze terribili in quanto generatrice di caos!
Sì perchè non può essere riservata ad una determinata porzione di uomini, infatti la natura insegna che ogni azione comporta una reazione uguale e contraria.
Faccio un esempio per meglio esplicitare il risultato che si trae da questo movimento: se io dò una botta in testa ad un altro uomo perchè è vestito in un modo che, secondo la mia morale, non rientra nei canoni di "civiltà", egli, a sua volta, e rispettando la sua morale legittimamente diversa dalla mia, mi restituirà il "favore", perciò per ovviare al problema che mi si potrebbe presentare io colpirò con una forza tale da "eliminare" ogni eventuale contromossa. Il risultato sarà l'eliminazione fisica, progressivamente, di tutti colori che non seguono i dettami della mia morale e così via fino alla completa eliminazione degli umani tranne me stesso.
Ora, per limitare il "danno" è necessario agire in maniera precisa ed è per questo che entrano in ballo i pensatori asserviti al sistema con lo scopo di legittimare con strumenti non cruenti le non sostenibili tesi.
A mio parere, una posizione di spicco in questo genere di lavorìo la assumono i filosofi del linguaggio e non meno i semiologi.
Proprio rispettando le leggi del postmodernismo si rende necessario un lavoro di decostruzione profonda che trasformi non solo il senso concreto dei risultati ma soprattutto il concetto; l'etimologia non comporta pericoli in quanto risulta plasmabile concettualmente, è necessario modificare la semantica e l'ontologia.
Secondo alcuni l'11 settembre 2001 è il momento in cui il postmodernismo chiude i battenti in favore del post-postmodernismo. E' invece, a mio modo di vedere, il tentativo del sistema di cercare una soluzione di comodo.
Infatti in questa maniera risulta più semplice trovare la soluzione al problema della disoggettivazione, il sistema così facendo si autoproclama assolutamente oggettivo e perciò non confutabile.
Arriviamo al dunque.
Searle ed Eco, per esempio, sostengono l'importanza dell'ontologia come strumento per rendere l'uomo libero; Preve sostiene l'importanza dell'ontologia per meglio comprendere i meccanismi dell'attuale società e per "facilitare" la ricerca di soluzioni attuabili. I primi però sono sostenitori dell'ontologismo, e in quanto tali sono legati ad una visione del mondo dal punto di vista della religione, mentre il secondo considera l'importanza dell'ontologia dal punto di vista della natura.
Torniamo alla questione "meritocrazia" per porci alcuni quesiti.
A prima vista si potrebbe obiettare che è giusto questo tipo di "selezione" perchè considera meritevoli coloro che si danno effettivamente da fare, l'obiezione che, invece, io pongo è: chi decide i criteri di meritocrazia?
E chi li stabilisce, è meritorio di questo titolo?
E, a sua volta, chi decide sopra di esso?
Il risultato è che non esiste una sorta di organismo super partes che possa arrogarsi tale diritto ma piuttosto è un tipo di valutazione arbitraria e, in quanto tale, non universalizzabile se non dal punto di vista del sistema economico dominante.
Dal suo punto di vista il capitalismo avalla questa posizione perchè il lavoratore deve essere sempre meno considerato in un'ottica di appartentente ad un insieme sociale di individui e sempre più dal punto di vista dell'essere individuo produttore (non basta più solo giuridicamente ma diventa utile ontologicamente).
Ecco perchè la Sinistra che sostiene questo è da considerarsi reazionaria, perchè sostiene con nuovi concetti l'utilità e la necessità di questo sistema anzichè ricercare metodi di emancipazione per l'uomo.

giovedì 15 maggio 2008

Bentornato Max...*(???)

Era in programma da tempo la conferenza di presentazione dell'ultimo libro di Diego Fusaro, e si è svolta ieri sera nella saletta interna alla libreria Comunardi qui a Torino. Oltre all'autore dovevano essere presenti due filosofi torinesi, Costanzo Preve e Gianni Vattimo, ma il secondo alla fine non si è visto e l'assenza è stata giustificata da motivi di salute.Il libro in questione si intitola "Karl Marx e la schiavitù salariata, uno studio sul lato cattivo della storia."
Come era immaginabile la sala traboccava di gente che è subito stata gelata dall'annuncio di Preve riguardo all'assenza "della star della serata" (parole di Preve).
Non è mia intenzione fare un resoconto dettagliato della serata quanto risaltare la tesi che l'autore sviluppa nel suo scritto ossia, appunto, la schiavitù salariata in Marx.
E' necessario premettere che, come giustamente fa notare Preve, in Italia è assente un dibattito sulla marxologia, tuttavia sono presenti diversi pensatori di alto livello tra cui il Fusaro.Quel che l'autore riesce a fare è rilevare una quasi ossessiva riproposizione del concetto di schiavitù nei vari scritti di Marx.
Mi permetto di dire che non è un caso, ma piuttosto è una grave mancanza, da parte degli studiosi di Marx e degli intellettuali di sinistra, non aver colto questo punto fondamentale del suo pensiero.
L'atteggiamento, a mio parere erroneo, messianico dei marxisti ortodossi, e perciò il reiterato tentativo di riproposizione di uno schema in maniera dogmatica senza tenere conto delle diverse situazioni storiche (quindi una comprensione non esaustiva della dialettica), non ha permesso lo svelamento di un tema di primaria importanza al fine della comprensione dello sviluppo del sistema di produzione capitalistico.
Ma veniamo al punto.
Nel mondo antico lo schiavo era proprietà del padrone il quale, per preservare questo suo bene, proteggeva e manteneva lui e la sua famiglia; nel mondo moderno, formalmente e giuridicamente, il lavoratore dipendente viene considerato libero ma, di fatto, è uno scambiatore di merci tanto quanto un agricoltore o un falegname, l'unica differenza è che egli scambia sè stesso, la sua vita. In sostanza è uno schiavo ma salariato e, per di più, in quanto formalmente libero, il padrone non si sente in obbligo di preservare la di lui vita, in quanto non più una sua proprietà.
Il cosiddetto "progresso" ha prodotto un vero e proprio "regresso".
Secondo Preve, e condivido pienamente questa visione, la fase che inevitabilmente si prospetta (secondo lui è appena l'inizio; secondo me è praticamente già in atto quasi in modo avanzato direi) è la pauperizzazione delle classi medie e la conseguenza, altrettanto inevitabile, sarà un'ipotesi di lotta in senso fascista o socialista.
*:Il titolo volutamente, in questo caso, errato è una provocazione alla probabile provocazione attuata dal quotidiano "La Stampa" il quale, nella pagina dedicata agli eventi del giorno, proponeva questo refuso. Ognuno naturalmente può intendere la cosa nel modo che più gli piace, a mio parere in ogni caso è inaccettabile che uno dei massimi giornali italiani non proceda in un più scrupoloso controllo del suo prodotto o che, malignamente, "sbagli" con accuratezza.

lunedì 5 maggio 2008

Le certezze incerte.

Nel suo discorso di insediamento alla Presidenza della Camera dei Deputati, Gianfranco Fini ha sottolineato che la democrazia, più che dall'utopico richiamo alle ideologie del secolo scorso, è minacciata da "un'eccessivo relativismo culturale".
Questa è la conferma che non viviamo in uno Stato laico!
Da un lato viene accettato il nichilismo con tutte le sue contraddizioni, tra le quali spicca il postmodernismo e il suo assoluto culto della "verità=non-verità=verità", in quanto struttura protettrice del sistema capitalistico; dall'altro viene negata l'utilità del relativismo.
Il vero paradosso è avere una considerazione positiva di un movimento che rifiutà l'oggettività anzi, meglio, che rifiuta e accetta, di volta in volta, a piacere l'oggettività che più aggrada in determinate condizioni.
Questo genere di eclettismo, che riconosce l'universale disoggettività (ma anche riconoscere un'universale disoggettività è un riconoscimento di un'oggettività!), che nega l'importanza ontologica dell'esistente e che, contemporaneamente, però riconosce l'immutabilità della natura e afferma che l'unica ontologia possibile è quella religiosa, è il vero pericolo in una società che si dice, o si propone, come esempio di democrazia.
Ecco come la religione viene usata per controllare le masse.
Tutto sommato, si comprendono i motivi ideologici che spingono verso questo atteggiamento, quel che invece si fatica ad accettare è l'inermità del Partito Democratico.
Il delinearsi di un'unione di intenti, sotto questo punto di vista, rivela la non-democraticità del nascente sistema bipartitico. Questo è inaccettabile.