lunedì 26 maggio 2008

Lavaggi mentali.

La, del tutto casuale per me, scoperta del passaggio a Torino, con annessi seminari organizzati dalla Scuola di Alta Formazione Filosofica, del filosofo del linguaggio John R.Searle mi offre lo spunto per sciogliere un nodo che mi crea particolari fastidi ossia una delle "nuove" parole d'ordine della Sinistra reazionaria: la meritocrazia.
Dal dizionario, "meritocrazia": concezione per cui ogni riconoscimento è esclusivamente commisurato al merito individuale.
E' necessario premettere che, principalmente, sono due i motivi che mi provocano fastidio: il primo è perchè è una concezione profondamente differenzialista ossia crea una diseguaglianza; e il secondo è perchè viene usato politicamente come mezzo di sedazione verso la classe dei lavoratori.
La questione fondamentale è sempre la stessa cioè il fatto che il capitalismo, nonostante dai suoi stessi "difensori" venga considerato come l'assoluto, incontrastabile e insuperabile modo di produzione esistente, che comprende in sè l'autoriproduzione, necessita continuamente di essere legittimato.
Le forme culturali che nascono al suo interno e che sono esclusivamente atte a difenderlo creano però alcuni scompensi che, se non corretti, causano il rischio di apertura di crepe quasi irrimediabili.
Mi riferisco in particolar modo al postmodernismo.
Molto semplicisticamente si potrebbe riassumere il manifesto di questo movimento culturale (ma attenzione a non farsi trarre in inganno, perchè inevitabilmente, proprio perchè non è possibile considerare e analizzare le questioni come se fossero compartimenti stagni, coinvolge tutte le sfere del vivente e dell'esistente quindi tutti i campi dell'uomo, metafisici e non: l'economia, la politica, la filosofia, l'arte, il linguaggio eccetera) nelle seguenti affermazioni: nulla è possibile, tutto è possibile; nulla è, tutto è; nulla esiste, tutto esiste.
Ridurrendo ulteriormente si potrebbe aggiungere che il postmodernismo esalta la disoggettivazione del reale.
Questo metodo di considerare il mondo, che io reputo il "braccio armato del nichilismo" (cfr. il post "Filo conduttore"), legittima l'esistenza del possibile e del non-possibile e quindi, per restringere il campo all'argomento che ci interessa in questo momento, il riconoscimento di innumerevoli visioni morali del mondo (attenzione a non fare confusione tra morale e moralismo!).
Questa apparente visione libertaria in realtà ha conseguenze terribili in quanto generatrice di caos!
Sì perchè non può essere riservata ad una determinata porzione di uomini, infatti la natura insegna che ogni azione comporta una reazione uguale e contraria.
Faccio un esempio per meglio esplicitare il risultato che si trae da questo movimento: se io dò una botta in testa ad un altro uomo perchè è vestito in un modo che, secondo la mia morale, non rientra nei canoni di "civiltà", egli, a sua volta, e rispettando la sua morale legittimamente diversa dalla mia, mi restituirà il "favore", perciò per ovviare al problema che mi si potrebbe presentare io colpirò con una forza tale da "eliminare" ogni eventuale contromossa. Il risultato sarà l'eliminazione fisica, progressivamente, di tutti colori che non seguono i dettami della mia morale e così via fino alla completa eliminazione degli umani tranne me stesso.
Ora, per limitare il "danno" è necessario agire in maniera precisa ed è per questo che entrano in ballo i pensatori asserviti al sistema con lo scopo di legittimare con strumenti non cruenti le non sostenibili tesi.
A mio parere, una posizione di spicco in questo genere di lavorìo la assumono i filosofi del linguaggio e non meno i semiologi.
Proprio rispettando le leggi del postmodernismo si rende necessario un lavoro di decostruzione profonda che trasformi non solo il senso concreto dei risultati ma soprattutto il concetto; l'etimologia non comporta pericoli in quanto risulta plasmabile concettualmente, è necessario modificare la semantica e l'ontologia.
Secondo alcuni l'11 settembre 2001 è il momento in cui il postmodernismo chiude i battenti in favore del post-postmodernismo. E' invece, a mio modo di vedere, il tentativo del sistema di cercare una soluzione di comodo.
Infatti in questa maniera risulta più semplice trovare la soluzione al problema della disoggettivazione, il sistema così facendo si autoproclama assolutamente oggettivo e perciò non confutabile.
Arriviamo al dunque.
Searle ed Eco, per esempio, sostengono l'importanza dell'ontologia come strumento per rendere l'uomo libero; Preve sostiene l'importanza dell'ontologia per meglio comprendere i meccanismi dell'attuale società e per "facilitare" la ricerca di soluzioni attuabili. I primi però sono sostenitori dell'ontologismo, e in quanto tali sono legati ad una visione del mondo dal punto di vista della religione, mentre il secondo considera l'importanza dell'ontologia dal punto di vista della natura.
Torniamo alla questione "meritocrazia" per porci alcuni quesiti.
A prima vista si potrebbe obiettare che è giusto questo tipo di "selezione" perchè considera meritevoli coloro che si danno effettivamente da fare, l'obiezione che, invece, io pongo è: chi decide i criteri di meritocrazia?
E chi li stabilisce, è meritorio di questo titolo?
E, a sua volta, chi decide sopra di esso?
Il risultato è che non esiste una sorta di organismo super partes che possa arrogarsi tale diritto ma piuttosto è un tipo di valutazione arbitraria e, in quanto tale, non universalizzabile se non dal punto di vista del sistema economico dominante.
Dal suo punto di vista il capitalismo avalla questa posizione perchè il lavoratore deve essere sempre meno considerato in un'ottica di appartentente ad un insieme sociale di individui e sempre più dal punto di vista dell'essere individuo produttore (non basta più solo giuridicamente ma diventa utile ontologicamente).
Ecco perchè la Sinistra che sostiene questo è da considerarsi reazionaria, perchè sostiene con nuovi concetti l'utilità e la necessità di questo sistema anzichè ricercare metodi di emancipazione per l'uomo.

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