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sabato 29 ottobre 2011

Un pensierino sull'individualismo.

Chissà quante volte ci è capitato di pensare "io mi conosco" o "io so come sono fatto", riferendoci al nostro carattere e al nostro modo di essere.
Poche volte però, ci capita di pensare che, anzitutto questa affermazione utilizza sempre un verbo al presente e, in secondo luogo, non rispecchia una realtà oggettiva, bensì un momento relativo.
Ciò accade perché noi non ci conosciamo.
Certo, fisicamente sappiamo di cosa e in che modo siamo composti. Ma le nostre peculiarità caratteriali non sono fisse e immutabili e sono determinate dal nostro rapporto con la realtà che ci circonda.
Non vuol dire che siamo come banderuole che si muovono in base al vento, certo, ma che i nostri comportamenti variano in base alla situazione che ci troviamo ad affrontare.
Dobbiamo sopravvivere e perciò ci adattiamo. Semplicemente.
Se viviamo in un ambiente popolato da individui aggressivi, inevitabilmente assumeremo un comportamento aggressivo per non farci sopraffare. E così via per ogni differente ambiente.
Insomma, non siamo quello che siamo perché decidiamo di esserlo. Ma decidiamo di essere quello che siamo, perché le interazioni con la realtà esterna ci spingono in quella direzione. Si tratti di bene o di male.
Ovviamente, questo non vuol dire che se un individuo compie gesti criminali, deve essere giustificato dal fatto che "qualcuno" gli ha trasmesso "informazioni" poco urbane. Egli può, e deve, compiere la scelta di seguirle o meno.
Non si può negare tuttavia, che ogni singolo individuo venga influenzato dal gruppo del quale fa parte. Questa influenza, ovvero la serie di informazioni che vengono scambiate reciprocamente tra individui all'interno di una comunità o gruppo, è l'insieme delle "regole" che determinano la Morale e questa, la morale, varia in funzione delle necessità di ogni comunità o gruppo. Da questo punto di vista, possiamo affermare che non esiste una Morale universale. E non c'è nulla di scandaloso in questo.
Come dicevo, il nostro essere è stabilito (determinato) dal rapporto con gli altri. Questo fatto mi fa pensare che "io, da solo, non esisto", ossia "mi riconosco (e questo processo è reciproco tra individui) solo nell'altro".
Certo, fisicamente, sono oggettivamente determinato. Ma "noi" non siamo "solo" strutture fisiche, corpi.
Quel che viene riconosciuto reciprocamente, è il nostro essere "enti animali particolari".
Di me stesso posso dire quanto sono alto, quanto peso, di che colore sono i miei capelli, se possiedo cicatrici o se preferisco la pizza con i peperoni o gli spaghetti alla Carbonara. Ma questo non sono io, o meglio è solo una parte di me. La parte che mi rende simile agli altri esseri umani.
Quello che però mi rende "particolare" (e lo sottolineo, per distinguerlo dall'altro tipo di ente animale ossia l'ente animale generico, l'animale) e quindi "individuo", è tutta quella serie di informazioni che gli altri ci trasmettono.
Se siamo simpatici lo dobbiamo al riflesso che riceviamo, e così vale per ogni singola caratteristica che contraddistingue "uno" dall' "altro".
Ora, se "io, da solo, non esisto", "io, da solo, non posso vivere".
Non casualmente, infatti, una delle punizioni più dolorose per un carcerato (ad esempio) è il regime di isolamento.
L'Uomo è un essere sociale, nel senso più profondo del termine.
E quindi, ecco comparire uno dei problemi che attanagliano il nostro tempo. Ovvero: come è possibile, per un essere sociale, vivere in una condizione ultra-individualistica?
Credo che la risposta non sia così ardua da dare, ma proprio per questo è, a mio parere, accantonata.
La società che viviamo è di tipo capitalistico e, in un sistema economico e sociale di questo genere, il tratto fondamentale è il riconoscere come utili solo i produttori e i consumatori di merci. Si sviluppano quindi, gruppi umani che sostengono l'inevitabilità e che negano la storicità di questo modo economico, e nasce una conseguente morale per giustificare tutto ciò.
Gli uomini trasformano così una delle proprie peculiarità. Essi non sono più "esseri sociali" in quanto Esseri Umani, ma sono "esseri sociali" in quanto "merce di scambio". Ecco l'individualismo. Ossia la necessità di portare e vendere al mercato, al miglior offerente, se stessi.
Dato che non ci interessa fare discorsi di tipo moralistico, non giudicheremo questo fatto. L'invito tuttavia è a non travisare.
Perché qui non si tratta di condannare il genere umano o di affermare che siamo diventati tutti delle prostitute o degli scalatori sociali senza scrupoli.
Gli scrupoli ci sono, eccome!
Se qualcuno pensa che l'umanità vive bene e serenamente questa condizione, ebbene si sbaglia di grosso.
Che lo si voglia ammettere o meno, è inevitabile comportarsi in questa maniera.
Perché le "regole" sono queste. O le si accetta o si muore.
Insomma, quello che voglio dire è che senza dubbio critico questo genere di comportamento perché lo ritengo depravato e aberrante. Ma allo stesso tempo credo sia un errore grave salire sulla cattedra e fare i maestrini benpensanti e moralisti.
Certo che non ho soluzioni, però non sarebbe male iniziare a capire cosa è e come è fatta la società in cui viviamo.

domenica 23 ottobre 2011

No esperienza = No lavoro; No lavoro = No esperienza (per la serie: prendiamoci per il culo!)


Letto su LaStampa, Specchio dei Tempi, il 22 ottobre 2011.
La firma la metto, non per violare la privacy ma perché è ora di finirla con gli anonimi e gli invisibili che, proprio in quanto tali, nessuno degna di attenzione.
Probabilmente, sarebbe il caso di riflettere su questi casi. Ma da quando "questi" casi sono diventati la "normalità", è un po' scemata la voglia di riflettere e di ridurre il tutto a sociologia da strapazzo.
Lasciamo da parte demagogia e inutilità politico-amministrative, quello di cui abbiamo bisogno, giovani e vecchi, è lavoro e dignità. Cazzo!

«Buongiorno, anzi, solo "...giorno", perché qualcuno si è portato via il "buon".
Ho 27 anni, laurea in Economia Aziendale, curriculum di tutto rispetto...ah, dimenticavo...sono disoccupata.
Già, perché non basta avere un curriculum di tutto rispetto, ora bisogna aggiungervi e sottolineare la frase: "Ho esperienza".
in cosa, chiederete...in niente, la frase finisce lì, perché è la prima cosa che chiede o cerca sul curriculum un datore di lavoro.
"Lei non ha esperienza, mmm...le faremo sapere".
- "Cosa? Cosa mi farà sapere?" - .
Probabilmente, dall'alto della sua di esperienza, non avrà preso in considerazione che l'esperienza si fa lavorando! Insomma da qualche parte si deve pur cominciare...e allora date spazio ai giovani che a forza di lasciare curriculum, hanno speso un patrimonio in cartucce per stamparli...abbiate fiducia nei giovani, perché i "vecchi" hanno combinato un disastro e non hanno la più pallida idea di come uscirne...il futuro è nelle nostre mani, scommettiamo che siamo in grado di far meglio? Peggio non si può...».
Valentina Gallo

mercoledì 12 ottobre 2011

Storie di ordinaria disperazione (vaffanculo!)


Leggo sul giornale, LaStampa, che ieri mattina all'alba un nucleo di agenti della Polizia Municipale di Moncalieri, in provincia di Torino, ha effettuato un blitz all'interno di una fabbrica abbandonata.
Le forze dell'Ordine erano state allertate da diverse segnalazioni fatte dagli abitanti della zona infastiditi dal viavai notturno.
Messa così, vien da pensare che i capannoni dismessi fossero oggetto di "attenzione" da parte di qualche ladruncolo o che ci fosse uno spaccio di droghe.
Niente di tutto questo.
Pare infatti, che l'unico "spettacolo" che si è presentato davanti agli agenti fosse quello della disperazione.
Non distante da mucchi di immondizia e da topi, si è scoperto che dormivano diverse persone di diverse nazionalità. Tra cui quattro italiani.
Un settantenne senza famiglia, un cinquantacinquenne e una coppia, padre e figlio, scoperti all'interno di un'autovettura parcheggiata nei pressi, che, sfrattati da qualche giorno, non sapevano dove andare.
Storie di ordinaria disperazione, insomma.
Ma, nonostante la sempre più frequente terribile consuetudine, non si può non dedicare un pensiero a questi e alle migliaia e più che non da ora si arrangiano in modi simili.
Intiepidita la rabbia che inevitabilmente provoca, senza retorica di circostanza, lo "scoprire" determinate situazioni, credo che sia il caso riflettere su alcune questioni.
1) Che la Legge sia fatta dagli uomini e che, nel momento in cui viene esibita, assuma un carattere sovrannaturale da cui pare impossibile (o almeno difficile) esimersi è vero tanto quanto il fatto che può (e deve!) essere interpretata da chi ha l'incarico di farla rispettare. Si assiste quotidianamente ad interpretazioni dotate di medio-alta elasticità, o quantomeno flessibili. Perciò il buon senso vorrebbe che, davanti a situazioni cosiddette "limite", oltre al Codice venga presa in considerazione la pietà.
2) Moncalieri, per chi non vive da queste parti, è provincia di Torino quanto lo può essere Primavalle a Roma o Quarto Oggiaro a Milano, quindi mi chiedo (ma ovviamente la domanda ha ben altro destinatario), nel 2006, per le Olimpiadi, sono stati costruiti palazzi per ospitare atleti, giornalisti e tifosi, è possibile che non se ne possano costruire (o almeno ri-destinare, tra quelli esistenti e non utilizzati) per ospitare chi non ha un tetto sulla testa e fatica a mettere insieme 6 pasti a settimana?
3) Premettendo che in questo caso la Tav c'entra relativamente, che cazzo di società depravata è quella che predilige la spesa per la costruzione di una ferrovia che servirà soprattutto al trasporto merci e non si preoccupa di chi è costretto a vivere per strada?
E basta così, per ora.
Vorrei dire tante cose, a partire dalla questione "dignità", ma ci sarà tempo adatto.

venerdì 30 settembre 2011

Una breve riflessione sulla società "civile".

Diciamolo sinceramente, la cosiddetta "società civile" è una merda totale!
Più che società civile dovrebbe chiamarsi società incivile, società della depravazione.
Oggi, dopo diverso tempo, ho comprato e letto un quotidiano (LaStampa, per la precisione) e, tra le varie, ho letto un articolo che mi ha provocato il disgusto che sto tentando di esternare.
Si parla, apparentemente, di sport.
Ma in realtà lo sport non c'entra nulla. Perché ogni occasione diventa buona per lanciare messaggi incivilmente civili.
A quanto pare (mi scusino gli eventuali appassionati, ma ignoravo questo fatto) venerdì prossimo a Belgrado, in Serbia, la nazionale italiana di calcio sfiderà quella serba.
Il discorso è semplice.
Dopo un'infame guerra in cui il popolo serbo ne ha subite di ogni, e in cui i bombardamenti tricolore hanno avuto un ruolo tutt'altro che secondario, e, come non bastasse, la Serbia è stata fatta passare da vittima a carnefice solo perché ha tentato di difendersi e, ciliegina sulla torta di merda, a cui è stata scippata la sovranità sulla regione Kosovo (poi riconosciuta come indipendente da una masnada di pirati che si fanno chiamare Onu e dai suoi stati lacché).
Ecco, in una società (presunta) civile si dovrebbe riconoscere, quanto meno, l'orgoglio e la dignità di un popolo che vuole difendere il proprio diritto all'autodeterminazione.
Invece, nella nostra società incivilmente civile e depravata fino al midollo il messaggio che deve passare è che il popolo serbo deve farsene una ragione. Del resto, cosa volete che sia.
Si inorridisce infatti che durante un incontro di volley (il secondo caso citato nella pagina), l'inno di Mameli venga fischiato. "Roba strana in un mondo all'insegna del fair-play, com'è la pallavolo", scrive il cronista.
Ma il "mondo" dello sport, in generale, non è una dimensione a comparti stagni astratta dal mondo reale. Lo sport, comprese bellezze e brutture, fa parte della società, caro cronista.
Ma voi, cari perbenisti con le unghie sporche di sangue, vorreste che lo sport non si invischi con rivendicazioni umane e di civiltà. Ed è proprio questa la depravazione.

giovedì 17 febbraio 2011

Il trionfo del brutto.

Quando le telecamere erano fisse e potevano essere mosse da destra a sinistra e dall'alto in basso o al massimo correvano su un binario lungo tutto il palco, insomma quando non esistevano steadycam o simili, aveva ancora un senso chiamarlo "Festival della Canzone italiana".
Poi, gradualmente, tutto è cambiato così come è cambiata l'intera società, italiana e non. Può sembrare oramai retorico dirlo, ma oggi il Festival di San Remo è il festival di tutto e poi, come contorno, della Canzone italiana.
Parto da qui per notare quel che mi piace e quel che non mi piace, perché il primo grande fastidio è causato dagli sghiribizzi del regista. Per carità, di tanto in tanto, qualche escursione sul pubblico ci può anche stare, ma se è un continuo passare dalla battuta o dalla frase di canzone alla reazione in primo piano di qualcuno in dodicesima fila o all'inquadratura insistita dell'intero parterre ganzo con il blocco dirigenziale Rai e la giunta cittadina o ancora la galleria con la giuria demoscopica, e il dettaglio delle dita del violoncellista, e la signora impellicciata in fondo a destra, e l'attrice in terza fila, eccetera eccetera eccetera.
E basta! Viene da esclamare.
La tecnologia dovrebbe servire a vedere meglio non a vedere il peggio.
Quindi fateci vedere meglio le immagini, ma si evitino anche orribili primi piani in cui si distinguono nettamente i punti neri o addirittura i pori della pelle del soggetto.
Ed in tutto questo, ovviamente, la musica è solo un contorno.
Tanto vale spegnere la tivù e ascoltare la radio, no?
Che Sanremo fosse un carrozzone da marketing è arcinoto e non voglio criticare questo, perché il discorso sarebbe lungo e perché in questo ambito non mi interessa, ma sono le priorità che appaiono insopportabili. L'ordine di importanza dovrebbe essere: canzone, interprete, moda, minchiate varie. Invece abbiamo: moda, minchiate varie, interprete, canzone.
E anche qui la musica è solo contorno.
Sono d'accordo con chi ha detto che Pippo Baudo è stato colui che meglio ha inteso lo spirito del festival. Perché guidava tutto verso un risultato per tutti, nel senso che i cantanti non erano costretti ad una gara. Ed infatti un festival dovrebbe essere una rassegna, una passerella, non una competizione.
Ma del resto oramai anche la letteratura viene considerata in base al volume di vendita invece che al contenuto.
E tutti facciamo finta di niente.
Non saprei dire, in sessantanni di manifestazione, chi sia stato il miglior presentatore di sicuro non Gianni Morandi.
Non mi si fraintenda, Morandi è un monumento della musica italiana ma non è un presentatore.
Per me, chi presenta il Festival dovrebbe essere legante ma senza sfarzo, cortese ma non "amicone" e avere ottimo tempi televisivi. Andare in giro per il palco senza la cravatta dello smoking non è granchè elegante e Mike Bongiorno insegna che conoscere profondamente la musica è un dettaglio trascurabile.
Poi c'è il discorso vallette-valletti.
A prima vista verrebbe da chiedersi come si pongono determinati partiti politici al riguardo, mi riferisco a chi crea leggi per respingere stranieri alla frontiera ma ammutoliscono dinnanzi ad un michelangiolesco culo made in Argentina.
Invece quello che non mi spiego è come sia possibile che le "orde" di femministe non organizzino proteste o atti di disturbo eclatanti durante la kermesse. Non mi riferisco alla solita storia delle vallette mute e belle, ma al fatto che trovo squallida la questione in sè. Mi spiego meglio.
Un tempo c'era la valletta che, nomen omen, non parlava e serviva appunto il presentatore, poi, subentrando un'egemonia culturale di Sinistra, si è sentito l'obbligo di dare un ruolo meno servile a questa figura così si è sviluppata prima la figura della valletta bisillabica per finire con un miscuglio non ben definito di vallette-valletti co-presentatori.
Il risultato è indecente!
Ci troviamo con due, tre o quattro individui, maschi e/o femmine, che per compiacere al, per me, odiatissimo politically correct recitano la lista di titolo, autore, interprete, eccetera come i bimbi di quattro anni alla recita dell'asilo: una frase per ciascuno. Che tristezza.
Poi, un altro punto fastidioso è il fasullo atteggiamento di denuncia morale che il maschietto di turno (nel caso specifico, Luca Bizzarri) impone alla valletta-presentatrice con battute del tipo: ah, ma parli anche?, oppure: non sei capace a far nulla oltre che mostrar le grazie. E, conseguentemente, da parte della valletta-presentatrice il dovere di dimostrare qualche peculiare capacità nel canto o di ballo.
E' questo lo squallido risultato che nasce in parlamento con le odiose "quote rosa" e si trascina nella società. Ed è una ulteriore conferma della volontà di riprodurre in televisione le storture della società.
Tutto questo polpettone è, in un certo senso, il mio personale grido di dolore verso il diffuso imbarbarimento che da qualche anno è in atto nel nostro Paese.
Si dica pure che è tutta retorica, non importa, ma ogni tanto farebbe bene ricordarsi che l'Italia ha ospitato natali importantissimi dal punto di vista culturale: grandi musicisti, letterati, scienziati, cantanti, attori.
Oggi l'Italia è la patria del truzzo, del buzzurro, del cafone, del boccaccesco (e, in questo caso, il grande poeta fiorentino non c'entra per nulla!).
E il Festival di San Remo, che si è trasformato da anni in arrogante, spocchioso, guardone, parvenù e ogni altro aggettivo sinonimo di inelegante calza a pennello, ne è uno specchio esemplare.
Tentare di preservare un oasi di bellezza in un oceano di oscenità, è chiedere troppo?

giovedì 7 ottobre 2010

The show sucks...go further, please!

Da diverso tempo sostengo la mia avversione per la post-modernità, tanto da definirla "braccio armato del nichilismo". Eppure non disdegno di affrontarla, e perché prima di criticare è bene conoscere l'oggetto della critica, e perché, paradossalmente, vi trovo elementi capaci da indurre in me una certa curiosità oltreché un certo interesse.
Ma a tutto deve essere posto un limite.
Pur storcendo il naso riguardo a determinate "eresie" di foggia nietzscheana, riconosco indubbiamente lo sforzo intellettuale del pensatore tedesco. Per esempio.
Al giorno d'oggi, purtroppo, scopriamo che uno dei più utilizzati veicoli di divulgazione culturale è un elettrodomestico parlante (insieme con un altro che offre anche la visione delle figure), ma il vero abominio è che le voci che lo popolano sono quelle di soggetti che stanno alla cultura come il pollo sta alla coltivazione della canna da zucchero nei paesi caraibici: "che c'azzecca?", direbbe un esimio Ministro dell'Incultura.
L'oggetto di quella che, in altri tempi e senza rischiare di passare per bigotti, mi sento di definire "la mia indignazione", è una coppia di bipedi apparentemente umani ("apparentemente", perché al confronto con un semi-analfabeta del XVIII Secolo, probabilmente sfigurerebbero) molto noti nell'ambiente più ambito dall'italiano medio (cre): Simona Ventura e Emanuele Filiberto di Savoia.
L'articolo che segue, firmato da Bruno Gambarotta e uscito su "La Stampa" del 4 ottobre, è una, nello stile tipico dell'autore, divertente cronaca di quello che (probabilmente) centinaia di migliaia di orecchi hanno potuto ascoltare dal canale 1 di Radio Rai, nel primo pomeriggio del sabato precedente ("Emanuele Filiberto, storico all'amatriciana").
Radio Rai trasmette in tutto il territorio nazionale e i personaggi in questione non sono comici per professione. Perciò il demerito di tale scempio è imputabile esclusivamente al direttore del canale, Antonio Preziosi, e ai suoi collaboratori.
Certo è che ne abbiamo viste e sentite di tutti i colori, da un trentennio a questa parte, ma non è questa un'attenuante.
Certo è, anche, direbbe qualcuno, che si può sempre "cambiare canale".
Ma allora, perché indignarsi e disgustarsi nei confronti, per esempio, dei "reality show" e, in generale, di tutto quello che in qualche maniera, volenti o nolenti, tocca sorbirci da tivù e radio?
Tanto vale evitare di denunciare l'assenza di cultura di cui sono affette le nuove generazioni: che crescano pure pensando che Berlusconi è il Presidente della Repubblica o che la gestazione è un insieme di movimenti delle mani.
Tanto tutto è relativo, no?

domenica 29 agosto 2010

Il declino di una città: da Torino a Chiamparinopoli.

Non so cosa pensa chi arriva da fuori, chi fa il turista. Io che ci vivo penso che sia molto bella, tutto l'anno e a qualsiasi ora del giorno o della notte.
Certo che vive per mezzo dei suoi abitanti, ma personalmente la preferisco quando è quasi deserta, quando si cammina per interi quadrilateri e non si incontra nessuno. Perché, secondo me, si esalta nella sua bellezza. Perché possiede una linfa storica e culturale che le permette di vivere di rendita.
I marciapiedi senza bordo di molte vie del centro che riportano a un tempo in cui le automobili erano una rarità concessa solo ai ricchi; le targhe coi nomi delle strade che illustrano il numero dell'isolato e il quartiere d'appartenenza; i balconi in pietra dei cosiddetti "piani nobili"; le finestre degli abbaini; i cortili con le fontane e, ancora in molti casi, le stalle riadattate a box per auto; i "toret", tipiche fontanelle di strada, ornate con testa di toro e dipinte di verde; i corsi abbondanti di platani e castagni; le tantissime piazze che, alcune grandi e altre piccole, raccontano le vicende dei dintorni e la storia della città; le persiane di legno verdi o grigie che arredano elegantemente le facciate.
Ogni angolo possiede una propria particolarità e, a dispetto della sua ritmica squadrata, difficilmente si ha l'impressione di trovarsi due volte nello stesso posto.
E poi i palazzi che, partendo dal centro, definiscono nettamente la direzione storica di crescita del nucleo urbano: barocco, tardo barocco, liberty, littorio, moderno, postmoderno.
Chi arriva in treno e scende a Porta Nuova, la stazione principale, si guarda intorno e subito si rende conto dell'unicità del paesaggio. La facciata della stazione è in stile Liberty e altrettanto il giardino della piazza che le sta di fronte, poi a destra e a sinistra un viale, corso Vittorio Emanuele II, che si allunga a perdita d'occhio interrotto da un lato, verso nord, dall'imponente statua dedicata al re e dall'altro, verso sud, dal ponte sul po dedicato al re Umberto I, e ancora chilometri e chilometri di portici che quasi nascondono alla vista i portoni dei palazzi a sottolineare la riservatezza che i cittadini ricercano e, in molti casi, ostentano.
E poi ancora, piazza Statuto con la statua dedicata ai caduti durante la costruzione del traforo del Frejus e i palazzi, tutti uguali per dimensioni e colori, un tempo riservati alle sedi diplomatiche molto numerose durante il periodo in cui fu capitale d'Italia. Il quartiere "Cit Turin" dove trionfa lo stile Liberty. La zona degli artisti con la piccola e meravigliosa piazza dedicata a Maria Teresa, principessa di Savoia, e le botteghe dei collezionisti e le gallerie d'arte. La strada principale, via Roma, che con i suoi palazzoni in stile Littorio sembra avvolgere la assolutamente metafisica piazza San Carlo, detta anche il "salotto di Torino", dove un trionfo di Barocco sembra aver fermato l'orologio del tempo all'epoca del Regno di Piemonte. E ancora, il San Paolo uno dei quartieri popolari più antichi che conserva i vecchi stabilimenti Lancia incastrati tra i palazzi abitati dagli operai.
Potrei continuare a descrivere tutti gli scorci che mi affascinano, ma mi fermo per non annoiare chi legge.
Quando sento il bisogno di respirare e assaporare quello che definisco il "vero spirito" di questa città, passeggio per le vie laterali quelle che solo i torinesi frequentano oppure faccio un giro in macchina per la penultima periferia dove il carattere popolare sembra essere rimasto intatto con le sue piole con le sedie impagliate occupate da anziani che giocano a carte o le massaie coi fianchi larghi e le sporte traboccanti di frutta e verdura appena acquistate in uno dei numerosi mercati.
Se poi il grigiore tipico del tardo autunno e una sottile ma tagliente pioggerella copre il tutto, il mio cuore esplode dall'emozione. Perché in queste condizioni si esalta a livelli eccezionali la bellezza e la natura riflessiva della città.
Tutto ciò è quel che amo di Torino, ed è quello che mi ha impedito di trasferirmi altrove, nonostante non mi siano mancate le occasioni.
Ma io voglio continuare a viverci e voglio morire qui.
Esiste però anche una parte fastidiosa, ed è la piega di ultra-progresso che negli ultimi venti anni le è stata imposta dalle amministrazioni che si sono alternate alla sua gestione.
E' importante chiarire che il sottoscritto non è assolutamente contrario al progresso, ma è altresì contrario allo scempio dettato da pelosi interessi economici e spacciato per progresso.
Non sono affatto esperto di urbanistica, ma non credo che sia necessario esserlo per rendersi conto che le recenti costruzioni siano un'offesa al buon gusto. Tanto da chiedersi se qui esista o meno un piano regolatore e uno specifico assessore istruito al suo rispetto.
Può sembrare paradossale affermarlo, ma si rimpiangono i palazzi costruiti negli anni Cinquanta e Sessanta per ospitare i lavoratori emigrati dal Meridione e dal Nord-Est in zone come Mirafiori, Le Vallette o Falchera che, nonostante la loro esagerata uniformità a tratti triste, forse, rendono comunque un'idea e una fotografia di quartieri vivi. Mentre i nuovi insediamenti abitativi che stanno sorgendo al posto dei vecchissimi stabilimenti abbandonati, sono sciatti, inodori, incolori, malgrado siano abbigliati con tinte sgargianti. Facciate di sole finestre, chiese ripiene di guglie improponibili e adorne d'acciaio. Il tutto costruito intorno ad enormi e impersonali capannoni adibiti a centri commerciali dove le insegne delle griffe squarciano la quiete del paesaggio.
Infine lo spreco.
Un nuovo genere di spreco, però, lo spreco a rendere.
Torino, tra alti e bassi, ha una popolazione che oscilla tra i novecentomila e il milione e mezzo di abitanti. E nonostante ciò può tranquillamente competere con le metropoli europee per quanto concerne le strutture sportive o pseudo tali.
Escludendo, ovviamente, le numerose piscine e le palestre di cui ogni quartiere è fornito, si possono contare: un velodromo, mèta di appassionati per la sua facciata e per il monumento dedicato a Fausto Coppi che gli sta di fronte ma che versa in condizioni di semiabbandono; due stadi per il calcio più uno in costruzione (il Comunale o Olimpico, il "Primo Nebiolo" e l'ex "Delle Alpi") e qui è necessario aprire una breve parentesi per illustrare la storia degli stadi a Torino dal Mondiale '90 ad oggi: all'epoca lo stadio Comunale aveva una capienza di circa settantacinquemila spettatori (in piedi), che ben stretti aumentavano a settantottomila circa, e anziché ristrutturarlo modernizzandolo e rendendolo idoneo alle nuove norme sulla sicurezza, si decise di costruirne uno in periferia per, si disse allora, "evitare le interminabili code e ottenere una defluenza più rapida", ma si scoprì in seguito che i motivi erano altri ossia l'ottenimento di fondi supplementari da Stato, Coni e Fifa, la storia del Delle Alpi dura sedici anni fatti di fastidi per i frequentatori della struttura dovuti alle raffiche di vento e alla scarsa visibilità, insomma uno stadio che non è mai piaciuto a nessuno. L'occasione per rivalersi arriva con le Olimpiadi invernali del 2006, quando si decide di ristrutturare il vecchio impianto Comunale, casa delle due principali squadre di calcio per oltre cinquant'anni, e, inspiegabilmente, invece di allargare le tribune e stabilire una capienza sui quaranta-cinquantamila si decide di stringere e rimpicciolire il tutto fino ad ottenere una capienza massima di ventitremila persone e con una a dir poco orribile visibilità del campo da ogni punto, complice soprattutto la presenza di barriere in plexiglass, per non parlare delle difficoltà inerenti il traffico automobilistico intorno alla struttura e quelle suscitate dai commercianti ambulanti del vicinissimo mercato di corso Sebastopoli, sale così il livello di avversione da parte degli stessi frequentatori. La Juventus, ovviamente mossa dai propri interessi commerciali, minaccia l'amministrazione di emigrare in un altra città e in risposta, la stessa amministrazione, cosa fa? Concede al Torino l'usufrutto gratuito dell'impianto per novantanove anni, mantenendo la proprietà e quindi senza la possibilità di apporre modifiche alla capienza e vende alla Juventus per una cifra ridicola l'impianto della Continassa (il Delle Alpi) così che possa ristrutturarselo a piacere.
Continuiamo con l'elenco delle strutture sportive.
La piscina Comunale, ex impianto dotato di vasca olimpica; due palazzetti del ghiaccio, completamente inutilizzati; e quattro palazzetti dello sport: il Palasport del parco Ruffini, un tempo casa della locale squadra di basket; il PalaVela; il PalaOval e il PalaIsozaki.
E, tuttavia, per esempio, uno dei festival estivi di musica per cui giungono in città giovani da tutta Europa, il Traffic Free Festival, si svolge a Venaria Reale, comune dell'hinterland.
Indubbiamente, per questioni economiche, si è dovuto fare buon viso a cattivo gioco. Aldilà infatti di quella attuale, Torino vive una crisi da almeno quindici anni con fabbriche che chiudono e società che traslocano, a Milano per esempio. E' perciò chiaro che si è dovuta reinventare. Ma questa operazione di rinnovamento, è stata guidata da una piega verso il basso.
Se la vecchia Torino operaia degli anni Sessanta-Settanta, pur mantenendo questa impostazione, era riuscita ad evolversi crescendo culturalmente fino a diventare un centro di nteresse turistico, ora il rischio reale è di trasformarsi in città-dormitorio.
Per carità, non dimentichiamo che su Torino incombe la vicinanza di Milano, come accennato, e non si tratta qui di fomentare campanilismi a volte sciocchi. Ma, a chi piace essere satellite?
Concludendo, ritengo che questa città abbia potenzialità poco coltivate e poco sviluppate e il sindaco, anziché pensare esclusivamente alla propria ambizione di amministratore a livello nazionale travestendo la città a sua immagine e somiglianza (tanto che in molti oramai la chiamiamo Chiamparinopoli.....), dovrebbe esaltarle invece che svenderle al peggior offerente.
Ripeto, non voglio fare il campanilista a tutti i costi ma non dimentichiamo che qui sono state battezzate molte eccellenze nazionali: la radio, la televisione, il cinema, le aziende del telefono, dell'energia elettrica, dell'automobile solo per citarne alcune. Senza contare poi che è da sempre una fucina di pensatori, scrittori, musicisti, ingegneri, informatici e chi più ne ha ne metta.

mercoledì 18 agosto 2010

L'arnese subumano

Qualche tempo fa, alla radio.
Tema della trasmissione: "Quella volta che vi hanno rotto l'oggetto a cui tenevate tanto".
Sms di un ascoltatore: "La donna delle pulizie mi ha rotto la puntina del giradischi, che io considero un figlio. Licenziata la sera stessa!".
Sembra incredibile, sembra un'esagerazione, sembra una sciocchezza. Sembra.
Si legge e subito la si dimentica, probabilmente perchè è così grave che non ci si bada più. O, probabilmente, perchè sono così tanti quelli che la pensano in modo simile da rendere l'episodio normale.
Chissà quante volte si è sentito dire di gente disposta addirittura ad uccidere chi danneggiasse un vetro o la vernice sulla carrozzeria dell'automobile. O che si vantano di amare e rispettare più il proprio cane piuttosto che il collega di lavoro o il vicino di casa. Ma si dai, cosa vuoi che sia. Sono cose che si dicono, ma non si pensano realmente.
Siamo proprio sicuri?
Chi vuole pensarla in questo modo è, purtroppo, padrone di farlo. Ed è questo il motivo per cui divido gli esseri umani in "persone" e "mostri".
Una delle citazioni che preferisco è di Karl Marx, e recita: "Il risultato di tutte le nostre scoperte e del nostro progresso sembra essere che le forze materiali vengono dotate di vita spirituale e l'esistenza umana avvilita a forza materiale".
In poche parole, ecco il concetto di reificazione ossia la soggettivizzazione dell'oggetto.
La reificazione ha un legame imprenscindibile col capitalismo, al quale interno i rapporti tra esseri umani vengono ridotti a rapporti tra le merci da essi prodotti.
Nel caso in questione, "la donna delle pulizie" non è un essere umano ma è un utensile di lavoro di cui si può disporre a proprio piacere.
Come un chiodo, che quando si piega si getta via e se ne prende un altro.

sabato 14 agosto 2010

Superman, the return.


«Cronista, capocronista, inviato, caporedattore, vicedirettore: al Corriere Di Bella percorre tutti i gradini della professione. L'ultimo, la direzione, lo sale nel marzo '77 a Bologna, al Resto del Carlino di Attilio Monti, il "cavaliere nero"(per il petrolio e le simpatie politiche), e Giuseppe De Andrè, il padre del cantautore Fabrizio. Il tempo di appendere il soprabito, conoscere la redazione, prendere contatti con il sindaco Zangheri e i vari notabili, ed ecco gli scontri in cui muore Francesco Lorusso, i blindati nelle strade mandati dal ministro degli Interni Cossiga, le cariche della celere, gli indiani metropolitani, Bifo e Radio Alice, la torrida estate che porta al convegno sulla repressione di Guattari & C. in settembre. E' proprio in quei giorni, ricorda Di Bella nelle sue memorie, riprendono le trattative per il cambio della direzione in via Solferino. Il suo nome compare in tutte le ipotesi dei Rizzoli (patron Andrea e i figli Angelo jr. e Alberto), variamente abbinato a quelli di Ronchey, Sensini, Afeltra e Bettiza per la condirezione. Ma Di Bella tentenna, l'idea di tornare negli uffici di via Solferino in cui spadroneggia il comitato di redazione guidato dal durissimo Raffaele Fiengo non lo attira. A convincerlo, e c'è da credergli visto il fascino da incantatore di serpenti che l'uomo sprigiona già allora, è nientemeno che Silvio Berlusconi. Che all'amico e di lì a poco compagno di loggia P2 fa più o meno questo discorso: guarda, da azionista del Giornale mi farebbe più comodo che tu rifiutassi, perchè un Corriere spostato a sinistra lascerebbe ancora più spazio a Montanelli, ma se il Corriere fosse riportato su una linea meno radicale, beh, questo mi preme più dei miei personali interessi.
Detto, fatto. E Di Bella si decide al grande passo. Il primo giornale che firma è quello del 31 ottobre '77, dopo un voto di gradimento in cui la redazione si spacca: 95 a favore, 63 astenuti, 20 contro. Con la conquista del "soglio" che fu di Albertini, l'amicizia tra i due si rafforza, con Di Bella stregato dalla «profonda cultura» del futuro fratello massone Silvio («un suo splendido prologo all'Utopia di Tommaso Moro dell'editore Neri Pozza fu per me una rivelazione»). E così del Corriere Berlusconi diventa addirittura editorialista. Debutta nei giorni del sequestro Moro, con un dotto fondo economico intitolato "Un piano per l'industria che darà pochi frutti", piazzato in apertura di seconda pagina: non nella consueta forma della "tribuna aperta" utilizzata dal Corriere quando ospita interventi esterni, ma con i caratteri tipografici riservati agli editoriali particolarmente autorevoli. Ma altri articoli di Berlusconi escono nei mesi seguenti: "Pregiudizi e leggi inadatte frenano ancora l'edilizia" (25 giugno), "L'autarchia è un boomerang" (5 luglio), "Chi guida la politica creditizia?" (4 agosto). Nei mesi successivi il Cavaliere gode di un crescendo di considerazione, fino all'apoteosi del 14 settembre 1980, quando un altro fratello massone, Roberto Gervaso, lo intervista in terza pagina, un sublime faccia a faccia intitolato "Cosa farei se fossi senza casa... A colloquio con l'imprenditore Silvio Berlusconi". Sempre quell'anno, già in marzo, la Domenica del Corriere pensa bene di aprire proprio con un ritratto del futuro tycoon una serie di articoli dedicati ai numeri uno dell'Italia del nuovo decennio. E a fine 1980 arriveranno i giorni caldi del Mundialito, il torneo di calcio tra le nazionali vincitrici della Coppa del Mondo, organizzato dalla Fifa nell'Uruguay dei generali amici di Licio Gelli: quando Canale 5 a sorpresa ne acquisterà i diritti televisivi, Di Bella schiererà il suo giornale senza tentennamenti dalla parte dell'eversore del monopolio Rai.
L'amicizia, come l'amore, cresce se temprata dalle avversità comuni. Sentite questa dell'aprile dell'80, sempre dal libro di Di Bella:
Il mio amico Silvio Berlusconi con la sua mania di risparmiare sui minuti secondi ha voluto che salissi a Bologna non sulla mia auto ma sul suo jet. Sopra Linate al jet non è uscito bene il carrello, la ruota sinistra non scattava nella posizione giusta e rischiava di piegarsi all'atterraggio. Per tre ore abbiamo cercato invano un aeroporto che ci assicurasse trecento metri di schiumogeni per atterrare con qualche probabilità di non incendiarci. Ci hanno respinto Fiumicino, Ciampino, Linate e Malpensa. In centoventi minuti ho fatto in tempo a ricapitolare tutte le vicende della mia vita e a compiere qualche esame di coscienza. Berlusconi si è trasformato in hostess, assistente sociale, confessore e curatore d'anime. Inzuppa d'acqua i plaid di bordo per avvolgerli attorno al corpo al momento dell'impatto: rassicura passeggeri ed equipaggio, si rammarica solo che gli sta saltando tutto il programma serale di appuntamenti per Canale 5. Implacabile e sicuro com'è, se avesse gli occhi azzurri, sembrerebbe Gei Ar. Quando stiamo per far rotta su Ginevra, l'aeroporto militare di Cameri, impietosito da questi pellegrinaggi del cielo, derelitti e abbandonati da tutti, ci offre una pista con gli schiumogeni e ci consente di atterrare. Va tutto bene e il comandante Pagani ci porta bravamente in salvo: davanti alla scaletta troviamo pompieri in tuta di amianto, ufficiali efficientissimi e il cappellano militare con la stola officiante, già pronto per l'estrema unzione. Invidio Berlusconi per la sua glaciale imperturbabilità, anche se era piuttosto consistente il rischio di andare arrosto.
[...] ».
(Paolo Morando: "Dancing Days. 1978-1979, i due anni che hanno cambiato l'Italia", pgg. da 8 a 10. Laterza, Roma-Bari 2009)

sottofondo consigliato: Royal Scottish National Orchestra, Superman Themes



venerdì 13 agosto 2010

Human disposable.

«Seba è una giovane donna di ventidue anni, bella e piena di vita, ma mentre mi racconta la sua storia si ritira in se stessa, fuma nervosamente, trema, finchè non scoppia a piangere.

"Sono stata allevata da mia nonna in Mali. Quando ero ancora una ragazzina, venne da noi una donna che la mia famiglia conosceva e le chiese se poteva portarmi con sè a Parigi per badare ai suoi bambini. Disse a mia nonna che mi avrebbe mandata a scuola e che avrei imparato il francese. Quando arrivai a Parigi, però, non venni mandata a scuola, mi misero a lavorare tutto il giorno.
Da loro facevo tutto io: pulivo la casa, cucinavo, badavo ai bambini, lavavo e nutrivo il bebè. Ogni giorno cominciavo a lavorare prima delle sette del mattino e finivo verso le undici di sera; non avevo mai un giorno libero. La mia padrona non faceva nulla; dormiva fino a tardi, poi guardava la televisione o usciva.
Un giorno le dissi che volevo andare a scuola. Mi rispose che non mi aveva portata in Francia per mandarmi a scuola, ma perchè mi occupassi dei suoi bambini. Ero così stanca e demoralizzata. Avevo problemi ai denti; certe volte la guancia mi si gonfiava e sentivo un male terribile. Certe volte avevo mal di stomaco, ma dovevo lavorare anche quando ero malata. Certe volte, quando stavo male piangevo, ma la padrona mi sgridava.
Dormivo per terra in una delle camere da letto dei bambini; mangiavo quello che loro avanzavano. Non mi era permesso prendere cibo dal frigorifero come i bambini. Se lo facevo, lei mi picchiava. Mi picchiava spesso. Mi prendeva continuamente a botte. Mi batteva con la scopa, con gli strumenti di cucina, o mi frustava con i fili elettrici. certe volte sanguinavo; ho ancora i segni sul corpo.
Una volta nel 1992 arrivai in ritardo a prendere i bambini a scuola; la padrona e suo marito erano furiosi e mi cacciarono di casa. Non sapevo dove andare; non capivo niente e camminavo senza mèta. Dopo un po' il marito mi trovò e mi riportò a casa. Lì mi spogliarono nuda, mi legarono le mani dietro la schiena e cominciarono a frustarmi con un filo attaccato al bastone della scopa. Mi picchiavano tutti e due insieme. Sanguinavo molto e urlavo, ma loro continuavano a battermi. Poi lei mi strofinò del peperoncino sulle ferite e me ne infilò nella vagina. Persi conoscenza.
Più tardi uno dei bambini venne a slegarmi. Per parecchi giorni rimasi sdraiata sul pavimento dove loro mi avevano lasciata. Il dolore era terribile, ma nessuno si prese cura delle mie ferite. Quando fui in grado di stare in piedi, dovetti ricominciare a lavorare, ma da quella volta venni sempre chiusa a chiave nell'appartamento. Continuarono a picchiarmi."

Seba fu infine liberata quando una vicina, udito il rumore dei maltrattamenti e delle percosse, trovò il modo di parlarle. Vedendo le cicatrici e le ferite, la vicina chiamò la polizia e il Comitato francese contro la schiavitù moderna (Ccem), che portò il fatto in tribunale e prese Seba sotto la sua tutela. Gli esami medici confermarono che era stata torturata.
Oggi Seba è ben accudita e vive con una famiglia di volontari.
E' in terapia e sta imparando a leggere e a scrivere. Le ci vorranno anni prima di guarire completamente, ma è una giovane donna dotata di una forza straordinaria. Ciò che più mi ha sorpreso è stato vedere quanta strada debba ancora fare. Parlando con lei, mi sono accorto che sebbene abbia ventidue anni e sia dotata di una buona intelligenza, la sua comprensione del mondo è meno sviluppata di quella di un bambino di cinque anni.
Per esempio, finchè è rimasta in schiavitù, ha avuto una scarsa cognizione del tempo - per lei non esistevano nè le settimane, nè i mesi, nè gli anni. Per Seba esisteva solo l'eterno ciclo lavoro/sonno. Sapeva che c'erano giornate calde e giornate fredde, ma ignorava che le stagioni si succedessero secondo un ordine. Se mai aveva saputo la sua data di nascita, se l'era dimenticata e non sapeva quanti anni avesse. L'idea di "scegliere" la disorienta.
La sua nuova famiglia cerca di aiutarla a prendere delle decisioni, ma lei ancora non ci si raccapezza.
[...]
Anche se il suo fosse un caso isolato, sarebbe comunque scioccante, ma Seba non è che una delle forse tremila schiave domestiche che risiedono a Parigi. E questo tipo di schiavitù non si limita certo alla capitale francese. A Londra, New York, Zurigo, Los Angeles e ovunque nel mondo, ci sono bambini sottoposti alle brutalità della schiavitù domestica. E non sono che un piccolo contingente della schiavitù mondiale.»

(Kevin Bales: I nuovi schiavi, la merce umana nell'economia globale. Cap.1. La nuova schiavitù, pgg. 7-8-9. Feltrinelli, Milano 2000)


sottofondo consigliato: U2, In God's country, 1987




mercoledì 4 agosto 2010

"Proibito, ma possibile"

Fonte: La Stampa

Continua la campagna "Disemo le cassate ché tanto i boccaloni se magneno tuto!" di GeneracionY il blogghe della donna a forma di spazzolino da water, Yoani Sanchèz.
Questa volta il post tocca argomenti veramente duri, quelle problematiche che affliggono solitamente i professionisti del Girapollici: la norma antitabacco che vige dal 2005.
Allora, dato che il tema trattato mi suscitava un interesse sproporzionato ma, ignorante come sono, non riuscivo a comprenderlo, ho deciso di dare un'occhiata ai commenti.
E qui ho scoperto che si discute per ore di argomenti ben più interessanti, state a vedere:
"brava yoani meno male che ci sei tu che ci illumini da cuba.
scritto da Pecore ";
"Spiegatemi cosa c'entrano Agnelli e la Fiat con i problemi di Cuba. Commenti a tono, per favore, o sono costretto a cancellare. scritto da Lupi";
"ma di quale reddito parli, pappagallo di mm, che a momenti a Cuba non hanno più nemmeno gli occhi per piangere, a Cuba funzionano bene le squadracce che picchiano ed intimidiscono quelli che criticano il regime, donne comprese, queste cose da noi ci sono già state e si chiamavano " camice nere del fascismo e della rivoluzione" (fascista!) A marià, te sei ridotto come la naftalina, a conservazione de li stracci vecchi. Pussa via, rientra nel cassonetto, o vuoi che te rimannamo a carci'colo? scritto da anonimo";
"Non sapevo che la libertà di questo blog è limitata.La famiglia non si tocca. Ma io non sono un servo. Non posso scrivere comparando l'Italia. Meglio che me ne sia zitto.Non voglio fare come quelli che dicono parolacce e pòi si nascondono. Se non mi è permesso di parlare,in questo Blog,cercherò altri blog più liberi! Pòi diter che a Cuba non esiste la libertà! HaHaHa! scritto da mariani maurizio";
"Abbiamo capito,Mariani è stato epurato,perche ha parlato della famiglia imperiale.Ma non erano i Castro i dittatori? scritto da anonimo ";
"All'anima della democrazia. scritto da bo!";
"Mariani è stato censurato dal democratico e civilissimo Lupi. Ma non erano i Castro che facevano i censori? Cuba deve far parlare la Sanchez e l'Italia? Fate parlare Mariani. Questa è solo ipocrisia!
scritto da un discepolo del Mariani".

Mi fermo qui per pudore.....
Ah, infine, annota l'eroina (leggi diacetilmorfina o alcaloide morfina...) di essere preoccupata per Juan Juan Almeida che si sta recando a pretendere il suo permesso di uscita.
Ovviamente di Gerardo Hernandez, incarcerato ingiustamente da 11 anni negli Usa, nemmeno una parola.

martedì 27 luglio 2010

Car-e/i/u/w/f/x/y compagn-e/i/u/w/f/x/y, "lonzianamente" sputiamo sull'uguaglianza!



Sottotitolo: cachiamo su Marxe!



Leggendo la bozza per il Documento Congressuale della Federazione della Sinistra siamo giunti alle seguenti conclusioni: è giusto preservare e lottare per la differenza!
Viva la differenza!
Basta con il patriarcato!
Viva la differenza di genere!
Inoltre, non esiste solo l'eteroessualità: pensiamo ai LGBQT!
Secondo una sessuologa ingese, i sessi sarebbero milioni!
E perchè non miliardi?
Dovremmo, giustamente, adeguare anche la grammatica!
Pertanto, compagna/b/c/d/e/f/g/h/i/j/k/l/m/n/o/p/q/r/s/t/u/v/x/w/y/z/@/#/§, lottiamo per la differenza, per ogni differenza!
Per i LGBQT e per i miliardi (infiniti) di sessi esistenti, per i borghesi, differenti dai proletari e per ogni soggettività economicamente differente!
Viva il comunismo! Viva l'Arcobaleno... e Goldrake dove lo mettiamo... Allora, viva Goldrake!

martedì 15 giugno 2010

Finché c'è vaselina, c'è speranza?

La questione in ballo in questi giorni che riguarda, nel particolare, i lavoratori della Fiat di Pomigliano, riguarda in generale tutti i lavoratori di tutte le categorie.
Non esistono "se" e "ma" che tengano, bisogna muoversi in fretta e in maniera massiccia perché i diritti messi in dubbio sono i diritti di tutti!
Certo che dopo parecchi mesi di cassa integrazione e di cattivi segnali di inesistente futuro, in una certa maniera, non si possono biasimare quelli che sono disposti a rimetterci il culo (per usare un eufemismo...neanche troppo eufemico), perché quando arriva sera e non c'è molto da mettere sotto i denti la paura prende il sopravvento. E', tuttavua, proprio in questi momenti che bisogna stringere i denti e non mollare la presa.
Non dimentichiamo che è merito di chi non ha mollato il colpo se oggi possiamo godere di determinati diritti.
Ma è qui che sorgono ulteriori difficoltà.
Perché chi dovrebbe dare l'esempio, latita. Chi dovrebbe presentarsi "armato" agli incontri col padrone è invece senpre pronto a porgere l'altra guancia, che però non è la sua.
Mi si obietterà, giustamente, che in questo caso Fiom e Cgil hanno puntato i piedi, ma si può nutrire anche un solo briciolo di soddisfazione nello scoprire (...) che la protesta legittima si svolgerà il 25 giugno, ossia tra 10 (!) giorni? Tra 10 giorni, tolti quelli che la vivono quotidianamente, quanti si ricorderanno di tutto ciò?
E ancora (non mi stancherò mai di sottolineare questo! che per alcuni è un dettaglio), che livello di utilità (e fastidio) può avere uno sciopero di venerdì, oltretutto quando precede un fine settimana di tardo giugno in cui, presumibilmente, molti lo trascorreranno in spiaggia?
Ma tutto questo finirà per risultare un discorso al vento. Parole inutili e soprattutto inascoltate.
Perché si ha il culo al caldo, perché si crede che quello acquisito finora sia intoccabile. O forse perché si pensa che, dato che ci dicono che la crisi è passeggera, anche tirare la cinghia sarà temporaneo.
Ebbene, chi crede a queste favole si sbaglia di grosso.
Da che mi ricordo, da quando cioè ho memoria da adulto, la cosiddetta "crisi" c'è sempre stata, per un motivo o per un altro. ma so anche che per "crisi" si intende un determinato periodo che culmina con un tempo di benessere o guarigione oppure, in alcuni casi di particolare gravità, addirittura con la morte.
Solo per i lavoratori c'è sempre crisi!
Chi perde oggi, perde per sempre e perde per tutti.
Ed è perciò che mai come ora è il caso di pensare seriamente alla formazione di un sindacato di classe!
E mai come ora è il caso di ripensare di modificare i vecchi e ammuffiti (ahinoi!) schemi di lotta, ad esempio manifestando contemporaneamente in diverse città. Quello che pensano padroni e governi ci deve interessare relativamente. Il segnale deve arrivare anzitutto agli occhi e agli orecchi dei lavoratori.
Cinquemila lavoratori che marciano (e sottolineo, marciano, non passeggiano!) a Milano, Torino, Genova, Firenze, Bari, Bologna, Palermo, Napoli, magari numericamente non equivalgono i duecentomila in piazza nella sola Roma, ma trasmettono un segnale ben più allarmante, ai padroni, e ben più "concreto" alle migliaia di lavoratori di tutto il Paese.
Queste devono essere le nostre, nel senso di comunisti, priorità.
Poi possiamo anche accompagnare, annuire, condividere le passeggiate viola, verdi o turchesi, ma dobbiamo scatenarci per il diritto al lavoro che è il diritto alla vita!
E mi fermo qui senza entrare nel particolare, eviterò di dire, per esempio, che personalmente non me ne può fottere di meno delle scaramucce tra padroni ammantate dal nobile proposito della libertà di stampa.
Chiaro il concetto?

venerdì 16 ottobre 2009

Giovedì gnocchi, venerdì pesce, sabato sciopero.....




La parola di oggi, ma più che una semplice parola è una sensazione, è, tanto per cambiare, disgusto.
Ammetto di essere un po' rompicoglioni, ma nemmeno tanto. E' che quando penso a certe cose mi si rivolta lo stomaco e non riesco a stare zitto, il boccone non va giù, non basta un tozzo di mollica. La spina rimane incastrata.

Non sapevo che stamattina ci sarebbe stata, qui a Torino, una manifestazione degli studenti contro la Riforma Gelmini e l'ho scoperto quando, poco dopo le dieci, ho sentito musica ad alto volume e il vociare tipico dei cortei. Poi sul giornale cittadino (La Busiarda, detta anche La Stampa), ho letto che sul camion-sound ci sarebbe stato anche "Zulù" dei 99Posse.
Tutto ciò è stato il pretesto per il nervoso che mi è montato.
Anzitutto vorrei dire che non mi dispiace il folklore, le feste paesane, le sfilate carnevalesche, le sagre della salsiccia, i concerti e i festival canori estivi. Ma qui, c'è qualcosa che non va.
Perchè una manifestazione con annesso corteo che si prefigge di protestare con una motivazione politica, deve (non dovrebbe!) essere seria.
Non funebre, si badi. Ma seria.
Viceversa i destinatari dell'agitazione non potranno dare una risposta seria e tutto, allegramente, verrà ricordato come un semplice giorno di festa.
"E sò ragazzi...", penserà qualcuno.
Conseguentemente, il mio pensiero inviperito è andato ad altri momenti.
Al Primo Maggio, per esempio. Che qui a Torino è storicamente considerato come "il" Corteo, con la "c" maiuscola, ma che, purtroppo, negli ultimi anni si è trasformato più in una passerella pubblicitaria per il leader di turno.
Oppure, ad un qualsiasi corteo che sostiene uno sciopero.

Il benessere economico degli ultimi vent'anni e l'atteggiamento fin troppo servile dei sindacati nei confronti del Padrone, hanno fatto sì che le manifestazioni di protesta si trasformassero in "passeggiate prefestive".
Altri tempi quelli in cui i segretari sindacali dovevano badare attentamente alle parole usate nei comizi per evitare che dai gruppi di operai partisse il lancio dei bulloni (e Sergio D'Antoni ricorderà sicuramente cosa intendo...); e altri luoghi quelli in cui il corteo del Primo Maggio marcia compatto incutendo rispetto e timore, mi riferisco alla Grecia e al KKE.
Senza dubbio.
Però i tempi cambiano.
Oggi la crisi è feroce, checchè se ne dica.
I lavoratori, tutti, vedono sempre più messo a rischio il proprio diritto all'esistenza a seguito della precarizzazione, della cassa integrazione e dei licenziamenti sempre più frequenti.
Ma cosa si fa per protestare? In che modo si tenta di alzare la voce per gridare "Non siamo disposti a mollare"?
Praticamente nulla!
Ci si limita a scendere in piazza il sabato, di pomeriggio. Confondendosi, quasi mimetizzandosi, nello "struscio" dello shopping prefestivo.
Cosicchè l'unico reale fastidio che si provoca, lo si genera in qualche automobilista e in molti poliziotti che, è bene non dimenticarlo (ma che non diventi un alibi...), sono anch'essi lavoratori e per niente privilegiati.
Nel frattempo, i destinatari della protesta, i governi e i padroni, trascorrono il week-end a chiappe nude in villeggiatura e se ne battono grandemente.
Che disgusto, che squallore!

lunedì 17 agosto 2009

CONTRADDIZIONI

Il mondo è veramente uno strano luogo dove possono accadere cose particolari.
Negli Usa, ad esempio, può capitare che un agente di polizia fermi un anziano signore, si presume, malvestito e senza documenti e lo classifichi come "barbone". Salvo poi scoprire che si tratta di un certo Robert Zimmerman, alias Bob Dylan.
Qui da noi, in Italia, invece, non esiste, purtroppo, una "Sezione malattie mentali gravi" che impedisca ad un anziano signore padano di dire cazzate riguardo all'inno e all'Unità d'Italia durante un barbecue in riva al Po.
Ecco, queste, io le chiamo contraddizioni.
Nel Paese dove, dicono, regni la libertà tutto è sotto controllo e un rocker in "pensione" non può farsi una passeggiata liberamente sotto la pioggia.
Nel nostro Paese, invece, dove il Presidente del Consiglio dei Ministri si lamenta continuamente della mancanza di libertà, i suoi "scagnozzi" possono fare quel che gli pare senza problemi.


venerdì 31 luglio 2009

DONNA YOANI E PEPPONE.

Yoani Sanchez è la blogger cubana che gestisce "Generacion Y", il blog che si occupa di denunciare le "malefatte" del regime dei cattivoni rossi e trinariciuti della bella isola caraibica.
Alcuni mesi fa, la paladina della democrazia e della libertà, piagnucolava di non poter presenziare al Salone del Libro di Torino perchè il regime dei cattivoni rossi e trinariciuti non le aveva concesso il permesso all'espatrio. Perciò, da allora, La Stampa tutti i giorni le pubblica i post.
Dato che alla gentile signora non è bastato lo sputtanamento (chiedo scusa per il francesismo) da parte del giornalista Salim Lamrani, che non riesce a spiegarsi il motivo delle lamentele sulla impossibilità di pubblicare i post sul web dato che quest'ultimi erano presenti tutti i giorni. Mah? Misteri. Ma del resto si sa che i trinariciuti sono dei veri e propri marrani.
Oggi scrive riguardo alle 138 bandiere esposte all'Avana nello spiazzo davanti al palazzo della "Sezione di Interessi" Usa.
La poverina si lamenta del fatto che il loro sventolìo disturba i suoi sonni e, dato che, secondo lei, queste bandiere sono state messe apposta per "oscurare" il pannello luminoso che "lancia" messaggi "democratici", vista la recente decisione di disattivare lo schermo, vorrebbe che anche le bandiere siano rimosse. Per tornare al "giorno in cui potrò passeggiare lungo il viale costiero della mia città e niente interromperà la perfetta unione di azzurro composta da cielo e mare".
A questo punto vorrei porgere una domandina semplice semplice alla signora Sanchez.
Secondo la sua opinione, utilizzare uno schermo posto sulla facciata di un palazzo di proprietà dell'ambasciata imperiale (...ops...) che continuamente manda messaggi "democratici" con il fine di destabilizzare il governo di uno Stato sovrano, in una scala di valori compresa tra 1 e 10, è da considerarsi un atto democratico?
E, infine, le risulta che avvenga la stessa cosa sulle facciate delle sedi diplomatiche del regime dei cattivoni rossi e trinariciuti site, per esempio, a Washington, Londra o Calcutta?
Accetti un consiglio, per questa volta: smetterla di dire cazzate, no?

sabato 25 luglio 2009

UNA SOCIETA' DI PAURE.

I protagonisti della seguente storia sembrano scelti apposta per confermare alcune paure e determinati pregiudizi, in realtà non è altro che la conferma che nella nostra società oramai non è il fatto a determinare la cronaca giornalistica ma viceversa.
Prima vediamo il resoconto giornalistico.
Qualche sera fa, in un condominio di case popolaro della prima cintura torinese, Venaria Reale per la precisione, Claudiu, un rumeno di 33 anni, completamente ubriaco con una scusa si è introdotto nell'appartamento di Deborah, una ragazza di 22 anni, e ha tentato di violentarla. A questo punto, il cane della donna, un pastore tedesco, ha assalito l'aggressore per difendere la padrona sventando così la violenza. La storia si è conclusa con l'arresto e l'incarcerazione del malvivente e con la celebrazione del cane-eroe con tanto di servizio nei tg regionale e nazionale.
Fin qui, tutto da manuale.
Abbiamo uno straniero ubriaco ad avvalorare le tesi leghiste-razziste sulla "bestialità" di questi "semiumani" che invadono la nostra terra di persone perbene; la tentata violenza carnale su una donna per dare corda ai sostenitori della castrazione chimica e per far gioire quelle femministe che lottano contro "quei porci degli uomini"; infine, il cane-eroe, pastore tedesco perchè "è la razza più fedele", e che scaccia momentaneamente il pensiero dei randagi killer.
Tutto secondo copione.
Se non fosse che un paio di giorni dopo, i vicini di casa della vittima (presunta) raccontino una storia diversa. Completamente diversa.
"Quel tizio era ubriaco, ha suonato a tutti e quando siamo usciti sul pianerottolo abbiamo visto lei che lo insultava e minacciava di aizzargli contro il cane.....lui non è nemmeno entrato in casa", raccontano.
Poi vengono fuori altri particolari.
Pare, infatti, che alcuni anni prima il (presunto) malvivente vivesse nello stesso palazzo e che, insieme ad altri inquilini avesse partecipato ad una raccolta firme contro la ragazza che, a loro dire, disturbava la tranquillità comune.
Poi, ancora, sul corpo della ragazza sono stati trovati segni di bruciatura di sigaretta, provocati, secondo lei, dall'aggressore. Ma, anche qui, spuntano fuori grossi dubbi. Infatti sono in molti a testimoniare il passato difficile della ragazza, costituito da qualche episodio di microcriminalità e diversi di autolesionismo.
Quanti colpi di scena. Pari solo agli altrettanti luoghi comuni.
Intanto, il "mostro" rumeno si è fatto un paio di giorni rinchiuso alla Vallette con l'unica colpa di essersi presi una sbronza che, a meno non compaia tra i nuovi comma del codice penale, non è reato.
Questa storia, banalizzata, quasi, dai media che sguazzano nel dilagare di fenomeni violenti simili, è tremenda. Non per la cronaca in sè, quanto per il fatto che fa riflettere su quale tipo di società è oggi quella italiana: un meta-luogo popolato di paure, pregiudizi e realtà costruite ma non reali.
Viviamo in un film dove il cattivo è: straniero; uomo.
Non è che stiamo esagerando?
Vogliamo cambiare registro o aspettiamo di arrivare ad un punto in cui si organizzano vere e proprie battute di caccia?
Personalmente, in quanto uomo, incomincio anch'io a soffrire alcuni pregiudizi. Infatti ho il timore di guardare i bambini per non passare da pedofilo e di guardare le donne per non passare da maniaco.
Esagero?
Può darsi, ma provate a guardarvi intorno.

mercoledì 22 luglio 2009

ANCHE QUESTO E' POSTMODERNO!

Attenzione!
Chi è particolarmente sensibile è pregato di fermarsi qui e non continuare nella lettura, il seguente post contiene la descrizione di un evento che io stesso considero raccapricciante.

Vagavo, un po' scazzato, nella mia home su Feisbuk, quando mi sono imbattuto in un "richiamo" quasi d'obbligo.
Qualcuno, di cui ovviamente non svelo il nome per tutelarne la privacy, postava il link ad un blog invitando tutti a segnalarlo alla polizia postale per la denuncia.
In quel blog, di cui evito di riproporre il link per evidenti ragioni, vi sono foto che ritraggono una ragazza che posa sorridente a fianco di un animale (un cane, probabilmente) morto, dalla sequenza si intuisce che essa stessa lo scuoia e termina con l'immagine della testa dell'animale in una pentola.
Immagini raccapriccianti, terribili. Ho provato orrore e schifo e chiedo scusa se altri nel leggere la mia descrizione avranno la stessa sensazione.
E lo schifo è rimasto nonostante dai commenti in inglese (che io capisco in modo elementare) si evinca che la ragazza è (potrebbe) una studentessa di veterinaria che vuole scherzare (scherzi del cazzo!).
Poi ho letto i commenti su Feisbuk.
Ovviamente, si passava dall'essere schifati a proporre di far subire il medesimo trattamento alla ragazza in foto.
Ora però voglio lanciare una provocazione.
Perchè la rabbia e la voglia di vendetta che, giustamente, si percepisce in casi come questi è praticamente inesistente quando si assiste allo sfruttamento di esseri umani?
Perchè quando un padrone succhia il sangue ad un lavoratore ci si appella ai diritti umani e quando si assiste a "spettacoli" come questo si accende una furia quasi cieca e si è praticamente disposti ad uccidere?
La vita umana è meno importante?
Oppure il fatto che oramai faccia parte della consuetudine, non stupisce più?

lunedì 20 luglio 2009

PENTITI.....UNA BRUTTA RAZZA.

Da qualche tempo, tra Il Giornale e La Repubblica è in corso un duello all'ultima penna e si sa che in guerra (e in amore) tutto è permesso.
Non ho preferenze nè per gli uni nè, tantomeno, per gli altri perciò non giudico. Mi limito a ossevare.
Trovo, però, curioso oltrechè esilarante la posizione che il direttore del berlusquotidiano ha assunto in un recente editoriale dal titolo: "Giornali morbosi. Ci mancava solo la scrittrice hard".
Il buon Giordano, questa volta, mi trova assolutamente d'accordo!
Sarebbe infatti ora di smetterla col voyerismo da osteria e tentare di occuparsi seriamente dei problemi politici e sociali che affliggono il nostro Paese. "(...) L'Istruzione varava la riforma dell'Università? «E va bé, ma hai sentito i capezzoli?». Il governo presentava il Dpef? «E va bé, ma hai sentito i capezzoli?». La Camera approva la legge sulla violenza sessuale? «Si, però, i capezzoli.....». (...)" scrive il megadirettore.
Ma.
Tralasciando che egli stesso ha trasformato Il Giornale nell'organo ufficiale di palazzo Grazioli, la sua protesta ricorda quella dell'ex tabagista che prima è così assuefatto da usare persino abiti in tinta con la sigaretta (tipo panta bianchi e camicia giallognola stile filtro...) e poi è così incazzato da appostarsi armato di ascia bipenne da dare in testa a quegli zozzoni che avvelenano il prossimo.
Sciur Giordano, orsù!
Ha già dimenticato il suo passato da direttore del TC di ItaliaUno?
Ah....."TC" non è un errore di battitura, è l'acronimo di TetteCuli!

sabato 18 luglio 2009

ANCHE LORO ASPETTANO TELEGRAMMI.....

Giovanni Garetrinz di Tarvisio si è svegliato con un lieve giramento di testa e, dopo essersi misurato la temperatura, ha ingerito una compressa di Aspirina insieme con mezzo bicchiere di acqua minerale San Pellegrino.
Ora le sue condizioni sono stabili.

Teresa Granziert di Pieve di Cadore uscendo dalla doccia è scivolata e ha urtato il mobiletto posto sotto la finestra ammaccandosi lievemente l'anca sinistra.
E' stata dichiarata guaribile in poche ore dal marito Hubert.

Claudio Zarrignet di Trescore Balneario a seguito della ricca colazione a base di fette biscottate imburrate, marmellata di pesche, succo di frutta e caffè, mentre dosava il dentifricio sullo spazzolino ha emesso un rumoroso rutto. In quel mentre la mamma, che percorreva il corridoio verso il secondo bagno, gli ha espresso il proprio biasimo.

Mariangela Tergnariz di Sondrio, ma attualmente in vacanza a casa della zia Iside a Caorle, terrorizzata dal pensiero di dover giustificare la presenza nel proprio letto di Calogero, il siciliano conosciuto ieri sera sul lungomare, ha deciso di farlo uscire dal balconcino che dà sul cortile.
Fortunatamente la zia abita al primo piano di una villetta bifamiliare.

.....No perchè.....è ancora valida la "regola" che gli ultimi saranno i primi, vero?