domenica 29 agosto 2010

Il declino di una città: da Torino a Chiamparinopoli.

Non so cosa pensa chi arriva da fuori, chi fa il turista. Io che ci vivo penso che sia molto bella, tutto l'anno e a qualsiasi ora del giorno o della notte.
Certo che vive per mezzo dei suoi abitanti, ma personalmente la preferisco quando è quasi deserta, quando si cammina per interi quadrilateri e non si incontra nessuno. Perché, secondo me, si esalta nella sua bellezza. Perché possiede una linfa storica e culturale che le permette di vivere di rendita.
I marciapiedi senza bordo di molte vie del centro che riportano a un tempo in cui le automobili erano una rarità concessa solo ai ricchi; le targhe coi nomi delle strade che illustrano il numero dell'isolato e il quartiere d'appartenenza; i balconi in pietra dei cosiddetti "piani nobili"; le finestre degli abbaini; i cortili con le fontane e, ancora in molti casi, le stalle riadattate a box per auto; i "toret", tipiche fontanelle di strada, ornate con testa di toro e dipinte di verde; i corsi abbondanti di platani e castagni; le tantissime piazze che, alcune grandi e altre piccole, raccontano le vicende dei dintorni e la storia della città; le persiane di legno verdi o grigie che arredano elegantemente le facciate.
Ogni angolo possiede una propria particolarità e, a dispetto della sua ritmica squadrata, difficilmente si ha l'impressione di trovarsi due volte nello stesso posto.
E poi i palazzi che, partendo dal centro, definiscono nettamente la direzione storica di crescita del nucleo urbano: barocco, tardo barocco, liberty, littorio, moderno, postmoderno.
Chi arriva in treno e scende a Porta Nuova, la stazione principale, si guarda intorno e subito si rende conto dell'unicità del paesaggio. La facciata della stazione è in stile Liberty e altrettanto il giardino della piazza che le sta di fronte, poi a destra e a sinistra un viale, corso Vittorio Emanuele II, che si allunga a perdita d'occhio interrotto da un lato, verso nord, dall'imponente statua dedicata al re e dall'altro, verso sud, dal ponte sul po dedicato al re Umberto I, e ancora chilometri e chilometri di portici che quasi nascondono alla vista i portoni dei palazzi a sottolineare la riservatezza che i cittadini ricercano e, in molti casi, ostentano.
E poi ancora, piazza Statuto con la statua dedicata ai caduti durante la costruzione del traforo del Frejus e i palazzi, tutti uguali per dimensioni e colori, un tempo riservati alle sedi diplomatiche molto numerose durante il periodo in cui fu capitale d'Italia. Il quartiere "Cit Turin" dove trionfa lo stile Liberty. La zona degli artisti con la piccola e meravigliosa piazza dedicata a Maria Teresa, principessa di Savoia, e le botteghe dei collezionisti e le gallerie d'arte. La strada principale, via Roma, che con i suoi palazzoni in stile Littorio sembra avvolgere la assolutamente metafisica piazza San Carlo, detta anche il "salotto di Torino", dove un trionfo di Barocco sembra aver fermato l'orologio del tempo all'epoca del Regno di Piemonte. E ancora, il San Paolo uno dei quartieri popolari più antichi che conserva i vecchi stabilimenti Lancia incastrati tra i palazzi abitati dagli operai.
Potrei continuare a descrivere tutti gli scorci che mi affascinano, ma mi fermo per non annoiare chi legge.
Quando sento il bisogno di respirare e assaporare quello che definisco il "vero spirito" di questa città, passeggio per le vie laterali quelle che solo i torinesi frequentano oppure faccio un giro in macchina per la penultima periferia dove il carattere popolare sembra essere rimasto intatto con le sue piole con le sedie impagliate occupate da anziani che giocano a carte o le massaie coi fianchi larghi e le sporte traboccanti di frutta e verdura appena acquistate in uno dei numerosi mercati.
Se poi il grigiore tipico del tardo autunno e una sottile ma tagliente pioggerella copre il tutto, il mio cuore esplode dall'emozione. Perché in queste condizioni si esalta a livelli eccezionali la bellezza e la natura riflessiva della città.
Tutto ciò è quel che amo di Torino, ed è quello che mi ha impedito di trasferirmi altrove, nonostante non mi siano mancate le occasioni.
Ma io voglio continuare a viverci e voglio morire qui.
Esiste però anche una parte fastidiosa, ed è la piega di ultra-progresso che negli ultimi venti anni le è stata imposta dalle amministrazioni che si sono alternate alla sua gestione.
E' importante chiarire che il sottoscritto non è assolutamente contrario al progresso, ma è altresì contrario allo scempio dettato da pelosi interessi economici e spacciato per progresso.
Non sono affatto esperto di urbanistica, ma non credo che sia necessario esserlo per rendersi conto che le recenti costruzioni siano un'offesa al buon gusto. Tanto da chiedersi se qui esista o meno un piano regolatore e uno specifico assessore istruito al suo rispetto.
Può sembrare paradossale affermarlo, ma si rimpiangono i palazzi costruiti negli anni Cinquanta e Sessanta per ospitare i lavoratori emigrati dal Meridione e dal Nord-Est in zone come Mirafiori, Le Vallette o Falchera che, nonostante la loro esagerata uniformità a tratti triste, forse, rendono comunque un'idea e una fotografia di quartieri vivi. Mentre i nuovi insediamenti abitativi che stanno sorgendo al posto dei vecchissimi stabilimenti abbandonati, sono sciatti, inodori, incolori, malgrado siano abbigliati con tinte sgargianti. Facciate di sole finestre, chiese ripiene di guglie improponibili e adorne d'acciaio. Il tutto costruito intorno ad enormi e impersonali capannoni adibiti a centri commerciali dove le insegne delle griffe squarciano la quiete del paesaggio.
Infine lo spreco.
Un nuovo genere di spreco, però, lo spreco a rendere.
Torino, tra alti e bassi, ha una popolazione che oscilla tra i novecentomila e il milione e mezzo di abitanti. E nonostante ciò può tranquillamente competere con le metropoli europee per quanto concerne le strutture sportive o pseudo tali.
Escludendo, ovviamente, le numerose piscine e le palestre di cui ogni quartiere è fornito, si possono contare: un velodromo, mèta di appassionati per la sua facciata e per il monumento dedicato a Fausto Coppi che gli sta di fronte ma che versa in condizioni di semiabbandono; due stadi per il calcio più uno in costruzione (il Comunale o Olimpico, il "Primo Nebiolo" e l'ex "Delle Alpi") e qui è necessario aprire una breve parentesi per illustrare la storia degli stadi a Torino dal Mondiale '90 ad oggi: all'epoca lo stadio Comunale aveva una capienza di circa settantacinquemila spettatori (in piedi), che ben stretti aumentavano a settantottomila circa, e anziché ristrutturarlo modernizzandolo e rendendolo idoneo alle nuove norme sulla sicurezza, si decise di costruirne uno in periferia per, si disse allora, "evitare le interminabili code e ottenere una defluenza più rapida", ma si scoprì in seguito che i motivi erano altri ossia l'ottenimento di fondi supplementari da Stato, Coni e Fifa, la storia del Delle Alpi dura sedici anni fatti di fastidi per i frequentatori della struttura dovuti alle raffiche di vento e alla scarsa visibilità, insomma uno stadio che non è mai piaciuto a nessuno. L'occasione per rivalersi arriva con le Olimpiadi invernali del 2006, quando si decide di ristrutturare il vecchio impianto Comunale, casa delle due principali squadre di calcio per oltre cinquant'anni, e, inspiegabilmente, invece di allargare le tribune e stabilire una capienza sui quaranta-cinquantamila si decide di stringere e rimpicciolire il tutto fino ad ottenere una capienza massima di ventitremila persone e con una a dir poco orribile visibilità del campo da ogni punto, complice soprattutto la presenza di barriere in plexiglass, per non parlare delle difficoltà inerenti il traffico automobilistico intorno alla struttura e quelle suscitate dai commercianti ambulanti del vicinissimo mercato di corso Sebastopoli, sale così il livello di avversione da parte degli stessi frequentatori. La Juventus, ovviamente mossa dai propri interessi commerciali, minaccia l'amministrazione di emigrare in un altra città e in risposta, la stessa amministrazione, cosa fa? Concede al Torino l'usufrutto gratuito dell'impianto per novantanove anni, mantenendo la proprietà e quindi senza la possibilità di apporre modifiche alla capienza e vende alla Juventus per una cifra ridicola l'impianto della Continassa (il Delle Alpi) così che possa ristrutturarselo a piacere.
Continuiamo con l'elenco delle strutture sportive.
La piscina Comunale, ex impianto dotato di vasca olimpica; due palazzetti del ghiaccio, completamente inutilizzati; e quattro palazzetti dello sport: il Palasport del parco Ruffini, un tempo casa della locale squadra di basket; il PalaVela; il PalaOval e il PalaIsozaki.
E, tuttavia, per esempio, uno dei festival estivi di musica per cui giungono in città giovani da tutta Europa, il Traffic Free Festival, si svolge a Venaria Reale, comune dell'hinterland.
Indubbiamente, per questioni economiche, si è dovuto fare buon viso a cattivo gioco. Aldilà infatti di quella attuale, Torino vive una crisi da almeno quindici anni con fabbriche che chiudono e società che traslocano, a Milano per esempio. E' perciò chiaro che si è dovuta reinventare. Ma questa operazione di rinnovamento, è stata guidata da una piega verso il basso.
Se la vecchia Torino operaia degli anni Sessanta-Settanta, pur mantenendo questa impostazione, era riuscita ad evolversi crescendo culturalmente fino a diventare un centro di nteresse turistico, ora il rischio reale è di trasformarsi in città-dormitorio.
Per carità, non dimentichiamo che su Torino incombe la vicinanza di Milano, come accennato, e non si tratta qui di fomentare campanilismi a volte sciocchi. Ma, a chi piace essere satellite?
Concludendo, ritengo che questa città abbia potenzialità poco coltivate e poco sviluppate e il sindaco, anziché pensare esclusivamente alla propria ambizione di amministratore a livello nazionale travestendo la città a sua immagine e somiglianza (tanto che in molti oramai la chiamiamo Chiamparinopoli.....), dovrebbe esaltarle invece che svenderle al peggior offerente.
Ripeto, non voglio fare il campanilista a tutti i costi ma non dimentichiamo che qui sono state battezzate molte eccellenze nazionali: la radio, la televisione, il cinema, le aziende del telefono, dell'energia elettrica, dell'automobile solo per citarne alcune. Senza contare poi che è da sempre una fucina di pensatori, scrittori, musicisti, ingegneri, informatici e chi più ne ha ne metta.

Nessun commento: