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giovedì 7 ottobre 2010

The show sucks...go further, please!

Da diverso tempo sostengo la mia avversione per la post-modernità, tanto da definirla "braccio armato del nichilismo". Eppure non disdegno di affrontarla, e perché prima di criticare è bene conoscere l'oggetto della critica, e perché, paradossalmente, vi trovo elementi capaci da indurre in me una certa curiosità oltreché un certo interesse.
Ma a tutto deve essere posto un limite.
Pur storcendo il naso riguardo a determinate "eresie" di foggia nietzscheana, riconosco indubbiamente lo sforzo intellettuale del pensatore tedesco. Per esempio.
Al giorno d'oggi, purtroppo, scopriamo che uno dei più utilizzati veicoli di divulgazione culturale è un elettrodomestico parlante (insieme con un altro che offre anche la visione delle figure), ma il vero abominio è che le voci che lo popolano sono quelle di soggetti che stanno alla cultura come il pollo sta alla coltivazione della canna da zucchero nei paesi caraibici: "che c'azzecca?", direbbe un esimio Ministro dell'Incultura.
L'oggetto di quella che, in altri tempi e senza rischiare di passare per bigotti, mi sento di definire "la mia indignazione", è una coppia di bipedi apparentemente umani ("apparentemente", perché al confronto con un semi-analfabeta del XVIII Secolo, probabilmente sfigurerebbero) molto noti nell'ambiente più ambito dall'italiano medio (cre): Simona Ventura e Emanuele Filiberto di Savoia.
L'articolo che segue, firmato da Bruno Gambarotta e uscito su "La Stampa" del 4 ottobre, è una, nello stile tipico dell'autore, divertente cronaca di quello che (probabilmente) centinaia di migliaia di orecchi hanno potuto ascoltare dal canale 1 di Radio Rai, nel primo pomeriggio del sabato precedente ("Emanuele Filiberto, storico all'amatriciana").
Radio Rai trasmette in tutto il territorio nazionale e i personaggi in questione non sono comici per professione. Perciò il demerito di tale scempio è imputabile esclusivamente al direttore del canale, Antonio Preziosi, e ai suoi collaboratori.
Certo è che ne abbiamo viste e sentite di tutti i colori, da un trentennio a questa parte, ma non è questa un'attenuante.
Certo è, anche, direbbe qualcuno, che si può sempre "cambiare canale".
Ma allora, perché indignarsi e disgustarsi nei confronti, per esempio, dei "reality show" e, in generale, di tutto quello che in qualche maniera, volenti o nolenti, tocca sorbirci da tivù e radio?
Tanto vale evitare di denunciare l'assenza di cultura di cui sono affette le nuove generazioni: che crescano pure pensando che Berlusconi è il Presidente della Repubblica o che la gestazione è un insieme di movimenti delle mani.
Tanto tutto è relativo, no?

sabato 6 giugno 2009

"Il cibo del Capitale" ***

« [...] La costruzione delle Halles Centrales, il grande mercato coperto nel centro di Parigi, inizia nel 1854 e si conclude nel 1857. E' una delle grandi opere del Secondo Impero commissionate da Napoleone III al barone Haussmann. Parigi deve diventare "la capitale delle capitali": si aprono boulevard, si operano demolizioni radicali, viene avviata la costruzione di venticinque grandi chiese, è introdotta l'illuminazione a gas nelle strade. E' lo stesso Luigi Napoleone Bonaparte - che a seguito del colpo di Stato del 2 dicembre 1851 si è proclamato imperatore il 2 dicembre 1852 - a dare precise indicazioni all'efficiente barone Haussmann, ai suoi architetti, ai suoi ingegneri. In pochi anni la città si trasforma in un immenso cantiere. L'imperatore dei banchieri, dello sviluppo del grande capitale e delle conquiste coloniali intende inviare due messaggi chiari: il suo sarà un regime forte e stabile, che normalizzerà la Francia "repubblicana" e quarantottarda; il Secondo Impero porterà la Francia nel mondo, imponendo la sua potenza sui mercati internazionali.
La costruzione delle Halles Centrales rientra in questo disegno. Gli architetti Victor Baltard e Félix-Emmanuel Callet sono incaricati di erigere, in uno spazio di otto ettari tradizionalmente usato per seppellire i parigini, una sorta di tempio delle merci, una grandiosa struttura in acciaio e vetro, organizzata in padiglioni giganteschi, depositi, uffici, infrastrutture. Un mondo a parte, dotato di una propria organizzazione, dove confluiscono alimenti di ogni genere, montagne di cibo, per poi distribuirsi nelle vene e nelle arterie della metropoli. Le Halles Centrales dovranno essere il simbolo dell'abbondanza e della ricchezza del Secondo Impero, il segno di una nuova era di sviluppo e di benessere.
Venti anni dopo la loro costruzione, quando Zola scrive "Le ventre de Paris", le Halles continuano a svolgere la loro funzione di grandioso apparato digerente della capitale. Ma è mutato il contesto. La guerra franco-prussiana del 1870 ha determinato la caduta del secondo Impero; l'esperienza rivoluzionaria della Comune di Parigi del 1871 è stata repressa nel sangue; il regime autoritario del nuovo "ordine morale", il governo di Thiers e poi del maresciallo Mac-Mahon, attua una politica di vendetta anticomunarda e di controllo poliziesco su ogni aspetto della vita sociale. La florida abbondanza delle Halles degli anni Cinquanta, che aveva saputo stupire i parigini e il mondo, ha assunto nuovi significati; quell'abbondanza porta ora il segno della contraddizione, del conflitto di classe, dell'opulenza per i borghesi e della miseria per i proletari. I parigini del 1872 sono più che mai divisi in "grassi" e "magri", in ricchi e poveri. [...]»
(*** Tratto dall'introduzione de "Le ventre de Paris", a cura di Lanfranco Binni per Newton & Compton, Roma 1997)


« [...] Rimasero in piedi, salutandosi, nel coro finale dei formaggi, che, in quel momento, ci davano dentro tutti insieme. Era una cacofonia di fiati infetti, dalla molle gravezza di quelli a pasta cotta, il groviera e l'olandese, fino agli acuti alcalini dell'olivet. Si sentiva il cupo borbottìo del cantal, del chester, dei caprini, simile a un disteso canto basso, su cui si distaccavano, in note acute, gli improvvisi tanfi dei neufchâtel, dei troyes e dei mont-d'or. Poi i puzzi accelleravano, rotolavano gli uni sugli altri, si ispessivano delle zaffate del port-salut, del limbourg, del géromé, del marolle, del livarot, del pont-l'evêque, e un po' alla volta si fondevano, prorompendo in un'unica esplosione di fetori. Quella fusione si spandeva, rimaneva viva, in mezzo a un vibrato generale, in cui non c'erano più odori distinti, in una continua e nauseante vertigine, una tremenda puzza asfissiante. Tuttavia, sembrava che, a puzzare così forte, fossero soprattutto le malignità di Mademoiselle Saget e di Madame Lecœur.
"Vi ringrazio molto", disse la burraia. "Se un giorno sarò ricca, vi ricompenserò".
Ma la vecchia non se ne andava. Prese una piccola forma di formaggio, la rigirò tra le dita, la rimise sul tavolo di marmo. Poi ne chiese il prezzo.
"E quanto costa, per me?", aggiunse sorridendo.
"Per voi niente!", rispose Madame Lecœur. "Ve lo regalo".
E ripetè: "Ah, se fossi ricca!".
Mademoiselle Saget le disse che un bel giorno lo sarebbe diventata.
Il piccolo formaggio era già scomparso nella sporta. La burraia ridiscese nel sotterraneo, e la vecchia zitella accompagnò la Sarriette fino alla sua bottega, dove parlarono un po' di Monsieur Jules. Intorno a loro, la frutta odorava di primavera.
"C'è un'aria migliore qui che da vostra zia", disse la vecchia. "Mi era venuta la nausea, poco fa. Come fa a vivere là dentro? Qui, almeno, c'è un buon profumo, ci si sta bene. La frutta vi fa venire un magnifico colorito, bella mia".
La Sarriette si mise a ridere. Amava i complimenti. Poi vendette una libbra di mirabelle a una signora, assicurandole che erano dolci come lo zucchero.
"Anch'io le comprerei volentieri, le mirabelle...", mormorò Mademoiselle Saget, quando la signora se ne fu andata. "Però me ne bastano così poche... Sapete: per una donna sola!".
"Prendetene pure una manciata!", esclamò la graziosa ragazza bruna.
"Non sarà quello che mi manderà in rovina... Dite a Jules di venire qui, per favore, se lo vedete. Starà fumando un sigaro, seduto sulla prima panchina, uscendo dalla strada grande, a destra".
Mademoiselle Saget aveva allargato bene le dita per prendere la manciata di mirabelle, che andarono a raggiungere il formaggio, nella sporta. Finse di uscire dalle Halles, ma voltò in una delle strade coperte, camminando lentamente, e pensando che le mirabelle e il formaggio costituivano una cena un po' troppo magra. Di solito, dopo il suo giro pomeridiano, quando non era riuscita a farsi riempire la sporta dalle varie bottegaie, che colmava di complimenti e di pettegolezzi, era costretta ad accontentarsi di avanzi. Tornò nascostamente verso il padiglione del burro. Lì, verso rue Berger, dietro gli uffici dei grossisti di ostriche, c'erano i banchi dei cibi cotti. Ogni mattina, alcuni carrellini chiusi, a forma di cassa, rivestiti di zinco e muniti di feritoie, si fermavano davanti alla porta delle grandi cucine, raccogliendo alla rinfusa gli avanzi dei ristoranti, delle ambasciate, dei ministeri. La cernita si svolgeva nel sotterraneo. Dalle nove in poi, venivano esposti in bella mostra i piatti, a tre soldi e a cinque soldi l'uno: pezzi di carne, filetti di selvaggina, teste e code di pesci, verdure, salumi, e perfino dolci appena cominciati e pasticcini quasi interi. I morti di fame, i modesti impiegati, le donne tremanti di febbre, facevano la fila, e a volte i bambini prendevano in giro certi avidi spilorci, che compravano con sguardi circospetti, badando che nessuno li vedesse. Mademoiselle Saget sgusciò davanti a una bottega, la cui proprietaria sosteneva di vendere soltanto avanzi provenienti dalle Tuileries. Un giorno, le aveva perfino fatto comprare un pezzo di cosciotto arrosto, assicurandole che veniva direttamente dal piatto dell'imperatore. Quel pezzo di cosciotto, mangiato con un certo orgoglio, fu una consolazione per la vanità della vecchia zitella. Del resto, se in quelle occasioni si nascondeva, lo faceva soltanto per garantirsi l'accesso nei negozi del quartiere, dove gironzolava senza mai comprare nulla. La sua tattica era bisticciare con i fornitori, appena veniva a conoscenza di un pettegolezzo che li riguardava, poi andava da altri, lasciava anche loro, quindi si riappacificava, facendo il giro delle Halles. Con quella tattica metteva lo zampino in tutte le botteghe. Si sarebbe detto che facesse formidabili provviste, mentre, in realtà, viveva di piccoli regali, o, come ultima risorsa, di avanzi comprati con i suoi soldi.
Quella sera davanti alla bottega c'era soltanto un vecchio. Fiutava un piatto di carne e pesce mischiati. Da parte sua, Mademoiselle Saget fiutò una porzione di fritto freddo. Costava tre soldi. Tirò sul prezzo, e la ebbe a due soldi. Il fritto freddo sprofondò nella sporta. Intanto arrivavano altri acquirenti, che avvicinavano il naso ai piatti, tutti con gli stessi movimenti uniformi. L'odore del banco era nauseabondo: un tanfo di stoviglie unte e di acquaio lavato male.
" Tornate domani", disse la venditrice alla vecchia.
" Vi metterò da parte qualcosa di buono...Stasera ci sarà un gran pranzo alle Tuileries".
Mademoiselle Saget stava promettendo che sarebbe senz'altro venuta, quando, voltandosi, vide Gavard, che aveva sentito tutto, e la guardava. Diventò rossa come un pomodoro, si strinse nelle spalle, e se ne andò in gran fretta, fingendo di non averlo riconosciuto.
L'uomo, invece, la seguì un istante con lo sguardo, alzando le spalle, e borbottando che la malignità di quell'arpia non lo stupiva più, "dato che si avvelenava con tutte le porcherie su cui avevano ruttato alle Tuileries". [...]».
("Le ventre de Paris", Emile Zola 1873; capitolo V, pgg. 204-206. Newton & Compton, Roma 1997)

mercoledì 6 maggio 2009

PACIFICAZIONI

Basta con le falsificazioni! E' giunto il momento di rendersi conto che alcune cose sono cambiate, non ce ne siamo accorti, ma è così!
Anzitutto, vediamo cosa è cambiato geograficamente:
1. il Molise non esiste; 2. la Sicilia fa ora parte della Kamchakta; 3. Perugia è a destra di Viale dei Giardini.
In secondo luogo, la questione storica. Così risolviamo una volta per tutte i dubbi che ancora ci trascinano in discussioni interminabili:
1. il fascismo non è un movimento politico di tipo reazionario, ma è una struttura interna alla Croce Rossa (Uncinata), nota organizzazione umanitaria, il suo nome deriva dall'uso di fasce per medicazione, al suo interno operano gruppi di fascisti (o barellieri), inizialmente, questi gruppi, divisi in squadre, erano denominati squadre di fasciamento rapido, poi, per comodità, sono diventati semplicemente squadristi; 2. i partigiani non sono mai esistiti! in realtà si tratta di un refuso; infatti quelli a cui ci si riferisce erano i lavoratori di un'azienda emiliana che produceva il tipico formaggio di latte di vacca, il Parmigiano appunto.
Altri dubbi da sciogliere definitivamente, riguardano il campo scientifico.
La Terra non è sferica, ma tonda e bidimensionale. Si spiega così quel senso di smarrimento e spossamento che si avverte quando ci si sposta da un capo all'altro del pianeta. Quel fastidio non è dovuto al fuso orario, ma al fatto che il nostro corpo si abitua a camminare a testa in giù.
Secondo dubbio fondamentale da sciogliere è quello legato all'origine dell'Uomo.
L'umanità non è un risultato dell'evoluzione di alcunchè. Un personaggio gigantesco, che alcuni hanno conosciuto e riferiscono chiamarsi Settete Bubù, ci utilizza come statuine del suo plastico di gioco. Il problema, pare essere che la mamma gli abbia ordinato di smettere di giocare e smontare il plastico entro l'ora di cena, ossia il nostro 2012.
Ora scappo.
Mi scuso per non aver approfondito adeguatamente, ma la pausa mensile di mezz'ora mi scade tra quattro minuti e volevo anche dormire, altrimenti il mio buon padrone e signore, a cui devo la vita, si adira e mi frusta! 

martedì 31 marzo 2009

MA STAI A VEDERE CHE.....

Sull' "Avvenire" del 27 marzo l'editoriale, della sezione Cultura, a firma di Antonio Airò e intitolato "Via Rasella, la storia oltre le leggende", pone l'accento su questioni irrisolte e fa riflettere sulle visioni distorte che alcuni possono avere riguardo ai fatti storici.
Qui non si tratta di stare da una parte o dall'altra, ma piuttosto di riconoscere onestamente e oggettivamente la realtà dei fatti.
Tutti sanno cosa successe quel maledetto 24 marzo del 1944 alle Fosse Ardeatine, ma il motivo di quella feroce rappresaglia è messo in discussione dall'autore dell'articolo. Egli rivela gravi carenze mnemoniche, infatti non ricorda affatto che in quel periodo si stava combattendo una guerra e che l'Italia era sotto occupazione da parte dell'esercito nazista.
Stabilito questo risulterebbe superfluo sottolineare che definire "attentato" una leggittima azione di guerriglia operata da forze che combattevano per scacciare l'invasore. Ma il signor Airò non si ferma qui.
Quel che gli preme sottolineare è l'assenza di scuse che hanno seguito tutto ciò. Egli rivendica, ovviamente, la posizione (pilatesca!) che assunse la Chiesa all'epoca ovvero la condanna di entrambi gli episodi, ma lamenta la mancanza di risposta positiva all'invito a costituirsi degli autori dell' "attentato", invito fatto da "autorevoli" esponenti.
Insomma, nella mente (malata!) di alcuni personaggi abita l'idea che i gappisti che combattevano contro l'occupazione nazista dopo le azioni di guerra, avrebbero dovuto costituirsi (e farsi giustiziare, ovviamente)!
Questo tipo di posizione è gravissimo e non dovrebbe passare sotto silenzio!
Il giornalista in questione, mediante la voce della Conferenza Episcopale, non solo tenta di deleggittimare il movimento partigiano riducendolo a terrorismo, ma riconosce come lecita l'occupazione militare del suolo italiano da parte di un esercito nemico (nazista, in questo caso).
Indirettamente (fino a un certo punto, però!), questa si chiama apologia del nazismo.
Ci sarebbe da chiedersi in cosa si differenzia la Cei dai lefebvriani.

martedì 30 dicembre 2008

"CANCELLIAMO HAMAS"

I "buoni propositi" del governo israeliano si stanno concretizzando. 
Un'immagine vale più di mille parole.


domenica 13 aprile 2008

"Derubricare il fascismo".

Qualche settimana fa in un articolo apparso su "La Stampa", Giovanni De Luna, docente di storia presso l'Università degli Studi di Torino, ci avvertiva di un pericolo più che imminente: la derubricazione del fascismo.
Nel pezzo, trattando la ristrutturazione del Memorial di Auschwitz dedicato all'Italia, egli coglieva l'occasione per criticare l'atteggiamento del governo che invece di assegnare la sovrintendenza all'Aned (l'associazione degli ex deportati politici) come sarebbe stato giusto in quanto proprietaria del "blocco 21", si è rivolto direttamente ad organizzazioni ebraiche come il CDEC e l'UCEI.
Questo è un fatto grave.
Fermo restando che la Shoah non deve assolutamente essere dimenticata, qui si cerca di convogliare tutto nella Shoah cancellando di fatto i crimini del fascismo, precedenti alle famigerate leggi razziali, come le persecuzioni e gli omicidi politici.
Oggi il senatore Dell'Utri propone di cancellare la "retorica della Resistenza" dai libri di storia e passa come una sciocca provocazione.
Poi ci si mette anche Beppe Grillo che celebrerà il suo secondo "V-day" a Torino il 25 aprile.
Citerò De Luna:" Quella che si definisce memoria collettiva non è affatto il risultato di un ricordo ma di un patto per cui ci si accorda su ciò che è importante trasmettere alle generazioni future."
Negli anni la solennità delle celebrazioni per il 25 aprile è andata via via scemando trasformandosi sempre più in un'occasione di ritrovo per pochi e anziani reduci. A Torino, per esempio, due sere prima si svolge una fiaccolata.
Un paio di anni fa la camminata per le vie del centro si è conclusa con il discorso di Scalfaro sulla Costituzione davanti a poco più di duecento persone.
Memoria collettiva in una città come Torino, ad esempio, che è tra l'altro decorata con la medaglia d'oro al Valor militare nella guerra di liberazione, dovrebbe voler dire celebrare il 25 aprile con migliaia di cittadini che "ricordano" per non "dimenticare".
E non svilire tutto con un "V-day".