sabato 29 ottobre 2011

Un pensierino sull'individualismo.

Chissà quante volte ci è capitato di pensare "io mi conosco" o "io so come sono fatto", riferendoci al nostro carattere e al nostro modo di essere.
Poche volte però, ci capita di pensare che, anzitutto questa affermazione utilizza sempre un verbo al presente e, in secondo luogo, non rispecchia una realtà oggettiva, bensì un momento relativo.
Ciò accade perché noi non ci conosciamo.
Certo, fisicamente sappiamo di cosa e in che modo siamo composti. Ma le nostre peculiarità caratteriali non sono fisse e immutabili e sono determinate dal nostro rapporto con la realtà che ci circonda.
Non vuol dire che siamo come banderuole che si muovono in base al vento, certo, ma che i nostri comportamenti variano in base alla situazione che ci troviamo ad affrontare.
Dobbiamo sopravvivere e perciò ci adattiamo. Semplicemente.
Se viviamo in un ambiente popolato da individui aggressivi, inevitabilmente assumeremo un comportamento aggressivo per non farci sopraffare. E così via per ogni differente ambiente.
Insomma, non siamo quello che siamo perché decidiamo di esserlo. Ma decidiamo di essere quello che siamo, perché le interazioni con la realtà esterna ci spingono in quella direzione. Si tratti di bene o di male.
Ovviamente, questo non vuol dire che se un individuo compie gesti criminali, deve essere giustificato dal fatto che "qualcuno" gli ha trasmesso "informazioni" poco urbane. Egli può, e deve, compiere la scelta di seguirle o meno.
Non si può negare tuttavia, che ogni singolo individuo venga influenzato dal gruppo del quale fa parte. Questa influenza, ovvero la serie di informazioni che vengono scambiate reciprocamente tra individui all'interno di una comunità o gruppo, è l'insieme delle "regole" che determinano la Morale e questa, la morale, varia in funzione delle necessità di ogni comunità o gruppo. Da questo punto di vista, possiamo affermare che non esiste una Morale universale. E non c'è nulla di scandaloso in questo.
Come dicevo, il nostro essere è stabilito (determinato) dal rapporto con gli altri. Questo fatto mi fa pensare che "io, da solo, non esisto", ossia "mi riconosco (e questo processo è reciproco tra individui) solo nell'altro".
Certo, fisicamente, sono oggettivamente determinato. Ma "noi" non siamo "solo" strutture fisiche, corpi.
Quel che viene riconosciuto reciprocamente, è il nostro essere "enti animali particolari".
Di me stesso posso dire quanto sono alto, quanto peso, di che colore sono i miei capelli, se possiedo cicatrici o se preferisco la pizza con i peperoni o gli spaghetti alla Carbonara. Ma questo non sono io, o meglio è solo una parte di me. La parte che mi rende simile agli altri esseri umani.
Quello che però mi rende "particolare" (e lo sottolineo, per distinguerlo dall'altro tipo di ente animale ossia l'ente animale generico, l'animale) e quindi "individuo", è tutta quella serie di informazioni che gli altri ci trasmettono.
Se siamo simpatici lo dobbiamo al riflesso che riceviamo, e così vale per ogni singola caratteristica che contraddistingue "uno" dall' "altro".
Ora, se "io, da solo, non esisto", "io, da solo, non posso vivere".
Non casualmente, infatti, una delle punizioni più dolorose per un carcerato (ad esempio) è il regime di isolamento.
L'Uomo è un essere sociale, nel senso più profondo del termine.
E quindi, ecco comparire uno dei problemi che attanagliano il nostro tempo. Ovvero: come è possibile, per un essere sociale, vivere in una condizione ultra-individualistica?
Credo che la risposta non sia così ardua da dare, ma proprio per questo è, a mio parere, accantonata.
La società che viviamo è di tipo capitalistico e, in un sistema economico e sociale di questo genere, il tratto fondamentale è il riconoscere come utili solo i produttori e i consumatori di merci. Si sviluppano quindi, gruppi umani che sostengono l'inevitabilità e che negano la storicità di questo modo economico, e nasce una conseguente morale per giustificare tutto ciò.
Gli uomini trasformano così una delle proprie peculiarità. Essi non sono più "esseri sociali" in quanto Esseri Umani, ma sono "esseri sociali" in quanto "merce di scambio". Ecco l'individualismo. Ossia la necessità di portare e vendere al mercato, al miglior offerente, se stessi.
Dato che non ci interessa fare discorsi di tipo moralistico, non giudicheremo questo fatto. L'invito tuttavia è a non travisare.
Perché qui non si tratta di condannare il genere umano o di affermare che siamo diventati tutti delle prostitute o degli scalatori sociali senza scrupoli.
Gli scrupoli ci sono, eccome!
Se qualcuno pensa che l'umanità vive bene e serenamente questa condizione, ebbene si sbaglia di grosso.
Che lo si voglia ammettere o meno, è inevitabile comportarsi in questa maniera.
Perché le "regole" sono queste. O le si accetta o si muore.
Insomma, quello che voglio dire è che senza dubbio critico questo genere di comportamento perché lo ritengo depravato e aberrante. Ma allo stesso tempo credo sia un errore grave salire sulla cattedra e fare i maestrini benpensanti e moralisti.
Certo che non ho soluzioni, però non sarebbe male iniziare a capire cosa è e come è fatta la società in cui viviamo.

2 commenti:

cooksappe ha detto...

non ho soluzioni nemmeno io :S

Lurtz S. ha detto...

Grazie per l'attenzione. ;)