lunedì 10 dicembre 2012

Non c’entra un cazzo, ma piace ai giovani.


Non sono mai stato bravo nel giuoco del pallone.
Me la cavo, cavicchio. Ma bravo, proprio no.
Eppure non ho mai subito lo smacco di essere rifiutato in una scelta.
Mi spiego meglio.
Anzitutto, sono diligente. Dove mi mettono, sto.
In secondo luogo, riesco a “leggere” le azioni con un certo anticipo. E questo mi permette di intervenire al momento giusto.
Ma torniamo un attimo indietro.
Da bambini, perlomeno nel quartiere dove sono cresciuto, erano due le possibilità per poter essere scelti a far parte di una delle due squadrette e poter giocare a pallone: a) essere proprietari del pallone; b) saper giocare bene.
Nel primo caso, nessun problema se avevo il pallone. Ma il secondo, non era decisamente il mio.

Praticamente da subito compresi che dovevo inventarmi qualcosa.
Rinunciai immediatamente alle velleità da palcoscenico che il ruolo di attaccante offriva, e mi dedicai spassionatamente ai ruoli difensivi. Fortunatamente, negli oratori e nei giardinetti il centrocampista, colui che nel calcio si fa un “culo così”, non è contemplato.
E così, a parte qualche isolato episodio in cui venivo costretto in porta, con diligenza mi specializzai nella difesa.
Il trucco, ma in realtà si tratta di tecnica, era scopiazzato dai migliori difensori professionisti dell’epoca: Brio, Scirea, Gentile, Giacomo Ferri, eccetera.
Nomi non scelti a caso, infatti questi non eccellevano in bravura, ma erano dei picchiatori implacabili. Se un attaccante si trovava nel loro raggio d’azione, non aveva scampo: o era un fuoriclasse o le prendeva di santa ragione.
Insomma, date le mie doti atletiche, degne di un bradipo con la scoliosi, mi piazzo in un punto strategico della porzione di campo difensiva, misuro ad occhio un raggio d’azione e, appena un attaccante, o qualche altro malcapitato della squadra avversaria, si avvicina, se senza palla, mi ci incollo a mò di francobollo, se sferadotato, digrigno i denti (la mimica facciale, spesso, funge da deterrente) e mi scaglio come un treno sulla preda. O meglio, sulle sue caviglie.
Mai fatto male a nessuno, però. Sono delicato, ma implacabile. Feroce, ma pulito (come usa dire in gergo).
Vedersi arrivare addosso una valanga con le scarpe chiodate, non è proprio bello. E nella maggior parte dei casi, una spallata o una panciata sono sufficienti a far desistere il temerario.
Così per due o tre azioni, poi gli avversari capiscono di dover cambiare versante e si spostano sull’altra fascia.
E io faccio un figurone.

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