mercoledì 19 dicembre 2012

Del mercoledì.


E parliamo di regali, che un certo percorso doveva pur essere concluso.
M’è venuto da pensarci, perché qualche minuto fa, da una utilitaria sono scese tre persone, un uomo, una donna e una bambina di poco più di dieci anni. La classica famigliola proletaria, insomma. Il papà era serio, la mamma dava l’impressione di non poterne già più, la figlia era euforica al limite dell’isteria.
La prima cosa che ho pensato, è stata: bye bye tredicesima. Poi, con un pizzico di rabbia, ho pensato a quanto era triste quella fotografia. Non l’intenzione dei tre, ma l’obbligo a cui erano costretti.
Pensavo a quanto sarebbe bello se i doni del Natale fossero il risultato di un lavoro che, magari, dura mesi e costa fatica, ma che costa poco denaro e al cui interno vi è più sentimento di quanto se ne può trovare in qualsiasi oggetto anonimo acquistato all’ultimo momento e solo perché ci si sente obbligati.
Una roba tipo libro Cuore.
Una bambola di pezza o una locomotiva di legno, una sciarpa cucita a mano o un bacio.
E che ci devo fare? Sono romantico.
Che stupido.
Invece no.
Guardiamole, le frotte di umani che si accalcano per negozi. E’ una finzione continuata.
I genitori, soprattutto i padri, assomigliano a ministri dell’economia che si rivolgono al parlamento: cercate di capire, piccoli onorevoli colleghi, sembrano dire ai figli che, quasi completamente disumanizzati anche loro, hanno individuato l’oggetto a cui più tengono tra quelli meno costosi. Le madri che, sfiorando tessuti, magari sognano una cena in un ristorantino e un improvvisato dopo cena erotico, col marito che le bacia in macchina.
Questa è una società di merda.
E dopo averlo ripetuto anche cento volte, non lo si è sottolineato abbastanza.
E’ una società fondata sul debito e sul desiderio, ovvero entrambe cose non realizzabili. E se non c’è realizzazione, non può esserci soddisfazione o felicità.
Ma non potrebbe essere altrimenti, perché se il desiderio si realizzasse e il debito estinto, da cosa potrebbe svilupparsi la propulsione che ci fa ingoiare cucchiaiate di ingiustizie con lo spirito di chi adempie il proprio dovere?
Chiusa questa parentesi di “sociale”, che mi faceva girare i coglioni e dovevo quindi espellere, torniamo al tema: il dono.
Si, perché l’intenzione era quella di raccontare la mia idea. Vabbè, mi sono fatto prendere la mano.
Ho perso il conto delle volte in cui ho detto che non sono capace di ricevere.
Quando ricevo, quando mi viene regalato qualcosa, vengo assalito da un senso di imbarazzo così forte da sentirmi quasi paralizzato. Non so cosa dire e non so cosa fare. Allora, come la stragrande maggioranza dei nostri simili, assumo un atteggiamento classico: ringrazio e sorrido.
Poi mi sento falso, sporco. Non perché lo sia veramente, ma perché ho l’impressione che non sia abbastanza. Magari che ha regalato, si è scapicollato per trovare quell’oggetto. E io risolvo con un semplice grazie.
Allora ho scelto di stare dall’altra parte, preferisco dare.
Che strana sensazione mi ha preso in questo momento, è la prima volta che penso che questo mio atteggiamento sia, in qualche modo, coercitivo. Una prepotenza. Come se quel che faccio io sia migliore di quello che fanno gli altri.
Bah. Meglio fermarsi qui, che sento sintomi di schizofrenia.

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