martedì 13 novembre 2012

Servire, non sempre equivale a esser servi.


Si arriva a un certo punto e si comincia a pensare. Al passato, in molti casi. A quello che si è fatto, a quello che non si è fatto, a quello che si è riusciti a ottenere e a quello che ci si è fatti sfuggire. A quello che si avrebbe voluto e a quello che ci si è accontentati di avere.
La vita è fatta di scelte, continuamente. E, nella maggior parte dei casi, sono scelte di altri a cui si deve sottostare. Volenti o nolenti. Alla fine, addirittura, ce le facciamo piacere. Per paradosso.
E si finisce a pensare.
Non è casuale.
Si inizia a pensare per due motivi, soprattutto. O perché si rimpiange o perché si è raggiunto un livello di serenità interiore che spinge a credere di essere padroni della propria vita.
In molti casi, chi guarda da fuori vede un atteggiamento arrendevole, un accontentarsi fingendo soddisfazione per non tornare ad esser delusi.
Ma che ne sanno costoro? Nulla. Proprio nulla.
La vita di ognuno è solo di quell’uno e nessun altro può immaginarsela.
Può capitare a qualcuno di pensare al tempo perduto. A quello che si è fatto sfuggire o a quello che per scelta d’altri ha dovuto rinunciare.
L’adolescenza, ad esempio.
Un tempo in cui, pensi dopo, ci si sente spensierati. Liberi.
La strizzata di culo al pensiero d’essere interrogati, il primo bacio con la compagna di classe, il semplice stare insieme e vivere ogni giorno con i coetanei. Insieme con tutto quello che è bello e con quello che è brutto.
Ecco, per me, l’adolescenza è questo. Il vivere con i propri coetanei la scoperta del mondo e della vita.
Manca.
Perché capita di crescere più in fretta degli anni che si hanno, di dover essere investiti da responsabilità che non possono appartenere a un quattordicenne. E la vita si fa routine senza più la sorpresa di niente, tranne il salario alla fine del mese.
Non esistono riti. Il primo bacio, lo dimentichi. La prima volta che hai fatto l’amore ti sembra squallida, e rimuovi dalla memoria anche quella.
Gli anni passano e l’unica consolazione è il credere al futuro. “Mi rifarò”, ti dici.
Qualche sacrificio, ancora un po’ di sforzo e poi verrà il momento in cui potrò vivere la mia vita”, pensi. E ti illudi.
Ma la speranza ti da la forza di andare avanti, oltre l’inerzia.
Poi, col tempo, piano piano e senza sconti, si arriva a credere di essere padroni del proprio tempo e della propria vita.
Magari un’altra illusione, ma utile. Necessaria.
Ti senti vaccinato a quasi tutto, o perlomeno pronto.
E l’occasione si presenta.
Arriva dal nulla, come un cazzotto al buio.
Ti stordisce. Provi a riprenderti, ti scuoti. Apri gli occhi, ma sei ancora stordito. Non sai cosa fare. L’istinto ti fa allungare la mano, ma fatichi a vedere. Annaspi e cerchi qualcosa da toccare. “Vieni qui, cazzo!”, pensi.
E non vuoi fartela scappare.
Non perché pensi che sia l’ultima. Ma perché sei sicuro che sia quella giusta, quella che hai aspettato per tutta la vita.
E non ti sembra d’essere più servo. Vuoi servirla, ma per ricavarne piacere.

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