mercoledì 14 novembre 2012

Porco Diavolo!


L’imprecazione fa ridere.
Porco di qua, porco di là. E giù sghignazzi.
Si tratta di una particolare forma di esorcismo, un rifiuto verso la religione e, soprattutto, nei confronti del clero. ma lo trovo fastidiosamente infantile.
Quando mio padre spadroneggiava ancora gli eventi della mia famiglia, capitava spesso di trascorrere il fine settimana a Genova presso la famiglia della sua unica sorella, i fratelli maschi sono cinque, la zia Angela. Noi bambini eravamo felici di incontrare i coetanei cugini, a mia madre sembrava non dispiacere la compagnia della cognata, e lui spariva insieme con lo zio Bruno per intere notti a caccia di anguille. Se andava bene, la domenica a cena le mangiavamo cotte alla griglia, prima di ripartire verso casa.

Nel frattempo, ignari e, soprattutto, non interessati a tutto quello che succedeva, io, mia sorella, mio cugino Marco e mia cugina Michela, passavamo le giornate a giocare sul pianerottolo e lungo le scale del palazzo.
E la sera, accampati in brandine da campeggio nella loro camera, ci si addormentava schiamazzando fino a quando qualcuno dei grandi non veniva a sgridarci.
Un particolare ricordo è quello legato a quando, avevamo tutti intorno ai sette anni, mio cugino Marco, nel consueto input alla schiamazzata disse sottovoce: “Scureggia!”.
E giù tutti a ridere.
Non sono cattolico, non credo in Dio e non sopporto la cleraglia.
E tuttavia, non sopporto la bestemmia.
Semplicemente perché non mi fa ridere. Non ho più otto anni, nemmeno “scureggia” mi fa più ridere.
Ora, detta così sembra la protesta del bacchettone di turno, del moralista. No, tutt’altro.
Non mi scandalizza un “porco qua”, sfuggito a chi si pesta un dito sotto un martello. Ma considero fessa provocazione il “porco quello” usato per spaventare le vecchine. E’ come quei personaggi che indossano la maglietta con l’effigie di Che Guevara, quando vanno ad una manifestazione.
Non ho mai sentito pronunciare una parolaccia da mio padre. Era rozzetto e spesso gli si sentiva fare commenti boccacceschi riferendosi a qualche soubrettina scollacciata in tivù.
Di tanto in tanto, una famigliola di suoi compaesani sardi veniva a trovarci. E capitava che dopo cena guardassero la tivù insieme. Ricordo risa sguaiate e versi di giubilo, quella volta in cui Heater Parisi, ballando durante la sigla iniziale di un Fantastico, alzò la gamba fino a tenersi la caviglia ad altezza d’orecchio. Ma mai una parolaccia.
E dopo, quando se ne andò e io e mia sorella eravamo oramai cresciuti, ci fu solo un episodio con ceffone incorporato quando, avevo diciassette anni e durante una accesa discussione, mi scappò un vaffanculo all’indirizzo di mia madre.
Solo un fatto mi aveva scioccato da bambino, sentire lo zio Dino lanciare un “porca puttana!”. Mi sembrava una cosa così grave che la ricordai per anni.
Perciò, può anche darsi che l’abitudine a un certo linguaggio dipenda anche dall’educazione ricevuta, ma con questo non voglio dire che chi impreca debba passare per chissà quale maleducato.
Non so.
Per ora, mi limito a dire che non ci trovo alcunché di divertente. Nemmeno politicamente scorretto.

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