giovedì 5 marzo 2009

INVITO ALLA LETTURA E ALLA RIFLESSIONE, 3.

Terzo e ultimo tratto brano da "Vita liquida" di Zygmunt Bauman (prossimamente la mia opinione).

3. “L'infanzia che consuma”

«Amelia Hill, in un articolo il cui titolo dice già tutto (“Pensavate che i bambini vi rendessero felici? No: solo più poveri”), cita Emma Flack, una donna di trentun anni che lavora come manager presso un'azienda della City londinese: “Non pensavo proprio che un figlio fosse un tale salasso finanziario”. Emma e suo marito devono affrontare un compito insolito e tremendo: come “accettare questo nuovo stile di vita in cui dobbiamo fare attenzione a ogni centesimo che spendiamo”. Quest'obbligo improvviso di spaccare il centesimo, e la necessità di pensarci su due volte prima di concedersi qualche soddisfazione, costituiscono un'esperienza totalmente insolita per Emma e il suo partner. Essi ammettono di avvertire “un certo risentimento per lo stile di vita e il benessere materiale dei loro amici che, non avendo figli, hanno tempo e denaro per socializzare e viaggiare”. Per gli amici, che sono esseri razionali e acuti osservatori, questo risentimento ha l'effetto di un monito: non sorprende che Caroline Harding, 34 anni, che dirige un'azienda della City, si dichiari “fermamente decisa a fare determinate cose prima di avere dei figli, perchè, una volta che questi arrivano, la vita indipendente è bell'e finita”.
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Fare figli costa, e molto. Fare un figlio implica (almeno per la madre) una notevole perdita di reddito e, al tempo stesso, un notevole aumento della spesa familiare (a differenza del passato, infatti, un figlio è un puro e semplice consumatore e non fornirà alcun contributo al reddito familiare).
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Centinaia di migliaia di famiglie sono già condannate a una vita di povertà: altre centinaia di migliaia osservano tutto ciò e ne prendono atto.
Nella nostra società dominata dal mercato, ogni esigenza, desiderio o necessità reca attaccato un cartellino con l'indicazione del prezzo. Le cose non si possono avere se non acquistandole, e acquistarle implica che altri bisogni e desideri debbano attendere. I figli non fanno eccezione (del resto, ci si potrebbe chiedere, perchè dovrebbero?). Al contrario, il loro arrivo costringerebbe altre esigenze e desideri ad attendere, e nessuno può dire quanti e pre quanto tempo. Avere un figlio è come precipitarsi a giocare d'azzardo in una bisca, lasciando che il destino ci prenda in ostaggio o ipotecando il proprio futuro senza avere la minima idea del tempo che ci vorrà per riscattarlo. E' come firmare un assegno in bianco, o prendersi la responsabilità di fare cose che non si conoscono né sono prevedibili. Il prezzo totale non è fissato, gli impegni non sono stati precedentemente descritti, e se il prodotto non ci piace non c'è alcuna garanzia “soddisfatti o rimborsati”.
Nella nostra società di acquirenti e venditori questi ragionamenti suonano come una spiegazione credibile del timore di fare figli. Ma, ancora una volta, se questo è vero, siamo sicuri che la verità sia tutta qui? Ancora una volta vi sono ragioni per dubitarne. Se l'inquadratura si allarga, aumentano le ragioni per sospettare che sotto vi sia qualcos'altro.
Il dottor John Marsden, esperto nei comportamenti prodotti dalla dipendenza, commenta l'ultima scoperta della medicina, secondo cui quello che noi profani di cose scientifiche chiamiamo 'innamoramento' si riduce alla secrezione di ossitocina, una sostanza chimica che “ci fa godere del sesso”. “Il cervello”, spiega, “ha al proprio interno delle fabbriche di farmaci. L'attrazione fisica fa si che vengano rilasciati dei cocktail chimici in grado di attivare a loro volta la dopamina, che ci manda in estasi” quando stiamo insieme alla persona che amiamo. Il guaio è, però, che questo farmaco viene prodotto solo per un tempo limitato – come se la natura l'avesse destinato “a tenere le persone insieme per il tempo necessario a fare un sacco di sesso, avere un bambino e farlo crescere fino a livelli di sicurezza”. Dunque, quanto tempo dura la produzione di questa sostanza? “Circa due anni”... Questa – commenta il giornalista che riporta l'ultima scoperta scientifica e il parere dello specialista - “è stata più o meno la durata di tutte le mie relazioni serie”.
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In questi giorni è praticamente impossibile sfogliare le pagine patinate di una rivista senza trovarvi entusiastici riferimenti a un best seller sul “peccato capitale” della lussuria, il cui autore, Simon Blackburn, viene presentato da più parti come “filosofo di Cambridge”. Come osserva ad esempio Mark Honigsbaum, “riusciamo a comprendere sempre più chiaramente” quello che sulla scorta dell'alta autorità filosofica di Cambridge è stato definito “il desiderio che fa sì che il corpo si appassioni all'attività sessuale e ai suoi piaceri fini a sé stessi”. Ecco il punto: “fini a sé stessi”.
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In un contesto liquido che si muove rapidamente e in modo imprevedibile abbiamo bisogno, mai come prima d'ora, di legami d'amicizia e di fiducia reciproca che siano solidi e affidabili.
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D'altra parte, però, quegli stessi ambienti liquidi e rapidamente mutevoli privilegiano chi riesce a viaggiare leggero: se nuove circostanze dovessero richiedere rapidi spostamenti, e di ripartire da zero, impegni a lungo termine e legami difficili da sciogliere potrebbero rivelarsi uno scomodo fardello, una zavorra da gettare subito in mare. Non esiste, dunque, la scelta migliore. Non si possono avere la botte piena e la moglie ubriaca: ma questa è esattamente l'esigenza posta in modo pressante dall'ambiente in cui si cerca di dare un assetto alla propria vita. Qualsiasi scelta si faccia, i problemi si accumulano.
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E' in questo mondo che nascono e crescono i figli, e in questo mondo che essi dovranno farsi largo una volta cresciuti. I bambini osservano. E apprendono. Come ha sintetizzato Charles Schwarzbeck, “i nostri figli prendono profondamente a cuore ciò che vedono e ascoltano nella relazione con noi. Contrariamente a ciò che potremmo immaginare, essi non accendono e spengono l'interruttore di continuo. Sono sempre accanto a noi, interagendo o semplicemente assistendo al modo in cui conduciamo la nostra esistenza”. I bambini prendono a cuore ciò che facciamo noi adulti. Dopo tutto, siamo noi l'autorità. E rappresentiamo il mondo.
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L'infanzia, come afferma Kiku Adatto, si trasforma in un periodo di “preparazione alla vendita di sè”, poiché i bambini vengono addestrati a “vedere tutti i rapporti in termini di mercato” e a considerare gli altri esseri umani, compresi i propri amici e familiari, attraverso il prisma delle percezioni e valutazioni generate dal mercato.»

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