lunedì 10 settembre 2012

Compassione.


{dal latino cum patior, essere con l’altro nel soffrire}; {sentimento di sofferta partecipazione al male altrui}

Alcune persone non riescono proprio a venirne a capo.
Non ne comprendono il significato.
Colpa, dico io, del cinismo che avvolge e corrompe la nostra bella società postmoderna. Un mondo e un luogo in cui il sentimento è qualcosa da evitare come la peste. Perché dimostrare compassione, che, ricordarlo non fa male, è un termine che possiede diverse accezioni e non tutte negative, è da deboli. E dimostrarsi deboli, anche solo per un momento, anche solo per una volta, non è concepibile nè accettabile in una società in cui i cani mangiano i propri simili.
Ma, anche se può apparire eresia pura (in questa società di mostri, non lo ripeterò mai abbastanza!), compassione fa rima con amore.
E, che vogliate crederci o meno, sciocchi cinici della domenica (chi mi conosce, sa che sono un campione in materia), l’amore muove l’universo!
Tiè! Beccatevi questa!
E allora soffro.
Soffro per chi sento vicino e soffre, anche se non lo do a vedere. Anche se faccio finta di fottermene.
Perché questo è (anche) il mio modo di dimostrarti amore, amore mio.

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