domenica 26 agosto 2012

"Serate fiacche" 1

— Ciclicamente, atavicamente, in ogni generazione italiana, gli inveterati conformismi e le intolleranze inestirpabili si camuffano con etichette aggiornate (secondo i nostri trasformismi classici e cronici) per meglio imporre le faziosità arroganti e sfogare le bili individuali. In nome di Dio, del Papa, del Duce, di Gesù, dei Savoia, della Madonna, di Stalin e Togliatti, dei Dogmi, delle Circolari, delle Contestazioni, di teoremi e assiomi imposti da rivoluzionari e reazionari, militari e reverendi, presidenti di comitati e portavoce di sigle.  Generazioni e battaglioni di legionari, bigotti, militi, militanti, miliziani, bacchettoni, beghine, squadristi, terroristi, attivisti, agitprop, predicatori, leaderini, maestrini, capetti, con invariabili settarismi aggressivi: fino alle intimidazioni e angherie del «politicamente corretto».
Una costante propriamente etnica: i soliti Machiavelli e Guicciardini, nonché Leopardi, Gramsci, D’Annunzio e altri la spiegano benissimo (antropologi formidabili…). E si ripropone e ripete continuamente identica: con una sopraffazione dispotice e tirannica in nome di boss discutibili e slogan fanatici. Una reverenza servile ai “superiori” e alle ovvietà del momento; e un prepotente scarico di livori personali (e gelosie, rivalità, concorrenze, invidie) contro gli avversari privati e i colleghi di mestiere. Sotto l’ombrello generale dell’intolleranza riciclata e incurabile: soprattutto quando i trasformismi «politicamente corretti» impongono di far coincidere il Conformismo con la Trasgressione. Uniformare l’Ottemperanza e l’Osservanza con la Provocazione & Dissacrazione istituzionale. Omologando l’Alternativo ufficiale e il Dissenso rituale nell’optional obbligatorio del Consenso di Regime. Con apparente perdita di coordinate e parametri per gli zombi e i cloni.  E inquadramento immediato nelle nuove normative per i sudditi.
Il Politicamente Corretto, cioè il conformismo pià tipico del nostro tempo (targa: «P.C.» o «pc», dunque da non confondere col vecchio partito comunista nostrano o col personal computer), spunta anni addietro e si sviluppa nelle più intolleranti e pedanti università americane di provincia, come ripresa di bigottismi e tabù intransigenti dopo l’apparente epifania “liberatoria” o “rivoluzionaria” dei meno puritani anni Sessanta. Ne fa proprie talune rigide convenzioni di abbigliamento e linguaggio (come le canottiere e capigliature zozze dei vecchi cantanti di successo, più codificate e immutabili nei decenni che qualunque uniforme militare o paramento ecclesiastico o tailleur di Chanel). E le applica a tutti i codici e protocolli e dispositivi censori della nuova convenzionalità.
Con osservanze devote e totem tassativi. Come quando le zie e prozie Benildi o Clotildi non avrebbero mai detto né scritto piede o prete perché fra i dabbene corretti si può usare soltanto estremità e sacerdote. Non si va, ma ci si reca. Non si sente, bensì si ode o si ascolta. Ci si esprime come nei regolamenti burocratici e nelle circolari delle associazioni, con eufemismi reverenziali, metafore rispettose, schizzinosità permalosissime su aggettivi e avverbi. (Non già ricorrendo a vocaboli impietosi e scomodi per dissacrare interiezioni banali come «cazzo» o «culo»). Non esistevano nemmeno le figlie, ma solo alcune figliuole, da tutelare come sprovvedute in tutto e per sempre: come i gruppi e i comitati d’oggidì. E per le signorine o signore insegnanti, l’abituccio o la canzonetta immodesta potevano costituire infrazioni talmente riprovevoli da imporre immediata denunzia alla direttrice didattica perché convocasse d’urgenza il consiglio scolastico. Onde prender gli opportuni provvedimenti punitivi per tutte le scuole del Regno; e fare intervenire la milizia volontaria per la sicurezza nazionale, le commissioni dei genitori benpensanti, le squadre del buon costume, gli ispettori del “repulisti” anche «negli angolini» e «sotto le lenzuola». —  
(Alberto Arbasino, Paesaggi italiani con zombi, Adelphi Milano 1998)

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