sabato 1 ottobre 2011

Il "mio" cane è migliore del mio vicino.

Moltissime persone oggi "posseggono" uno (o più) animali domestici.
Perché? Perché è questa un'era di animalisti?
Non credo.
A mio parere, questo fatto è un ulteriore segno della depravazione della società in cui viviamo.
I cosiddetti "amanti degli animali" già storcono il naso e borbottano, ma nonostante sia quasi costretto ad utilizzare la forma dell'opinione personale, quello che affermo è un fatto. E, in attesa che qualcuno lo confuti seriamente, ve lo beccate come (una) verità.
Anzitutto specifichiamo che criticare gli "amanti degli animali" (anzi i loro corrotti comportamenti) non equivale a non amare gli animali, una scoperta sensazionale che molti ignorano è quella dell'esistenza di varie tonalità di grigio.
Le giustificazioni più frequenti che adduce chi ospita in casa un gatto, un cane, un uccellino, eccetera, sono: il bisogno di compagnia, quello d'affetto, la propria bontà nei loro confronti (o del mondo in generale) e simili. Insomma, tutti sentimenti che traspaiono egoismo.
Certo mi si obietterà che però "è un impegno", vero. Chi può essere così fesso da prendere un impegno non contraccambiato in un mondo che esalta l'utilitarismo? Meno vero. Infatti, in cambio si ottiene qualcosa eccome.
Andiamo avanti.
Poniamo una domanda di un certo peso a queste "anime buone": perché non occuparsi di una persona che potrebbe aver bisogno d'attenzione e cure? Esistono moltissimi esseri umani che necessitano di un pasto al giorno, di un posto dove dormire e che in cambio offrirebbero compagnia e, perché no, affetto. Allora perché si preferisce un cane ad una persona?
In genere, i soggetti in questione non nutrono la medesima passione per le persone. Le giustificazioni sono varie, vanno da "l'uomo si comporta male" a "l'uomo è cattivo di natura".
A questo punto si potrebbero già tirare delle somme, ma aggiungiamo ancora un tassello.
Chi ospita un animale si rivolge a questo come fosse una sua proprietà privata, parla del "mio" gatto, non del "gatto che ospito e accudisco". Una semplificazione? Niente affatto!
Il punto è proprio questo, e diversi psicologi lo confermano. L' "amante degli animali" considera il "proprio" cane (...gatto, eccetera) una "sua" proprietà. Ovviamente non una cosa da cui trarre profitto in senso monetario, ma un elemento vivente da sottomettere alla propria volontà.
L'animale non possiede una mente umana, ovvero possiede memoria ma non coscienza; perciò ricorda chi gli ha provocato dolore o chi piacere, ma vive una condizione che si potrebbe definire di "eterno presente" e ignora il concetto di vita e quello di morte. E' come se vivesse nello stato descritto in un paio di noti film (ad esempio, "Ricomincio da capo" con Bill Murray, ma anche un altro con Antonio Albanese protagonista di cui non ricordo il titolo), ma non ne è cosciente a differenza del protagonista.
Accudire un animale è indubbiamente più gratificante rispetto a badare ad un essere umano, per diversi motivi tra cui la necessità antropologica di emancipazione dell'Uomo, di non vivere quindi in una condizione di eterna sottomissione.
E la società incivilmente civile l'ha capito bene. Infatti in molte città fioccano continuamente luoghi adibiti alla cura degli animali, ma quelli dedicati alle persone mancano clamorosamente. E ancora, ci si indigna (giustamente) per i maltrattamenti agli animali, ma si giustificano quelli a scapito delle persone. Un cane abbandonato per strada (pratica che ovviamente considero schifosa), nel caso sopravviva, verrà "salvato" da qualche soggetto di buon cuore; una persona che viene licenziata o sfrattata, viceversa, verrà invitata a "darsi da fare" e se schiatta....bhé pazienza...una bocca in meno da sfamare.
Troppo cinico?
Si, forse. Ma provate a verificare sul campo!
Chiaramente, lo scopo della mia critica non è un utopico invito a liberare gli animali dai loro guinzagli domestici o ad accogliere nelle proprie case i milioni di disperati che popolano il mondo. Non confondiamo i fischi coi fiaschi.
L'invito è, più semplicemente, a farsi un esamino di coscienza. Ad assumere un atteggiamento meno individualistico e più "sociale" nei confronti dei propri simili. A cercare di liberarsi da quei pregiudizi che ci hanno trasformato in umani privi di umanità. E, aldilà delle regole cosiddette "civili" che favoriscono l'atteggiamento del forte e del prepotente (innegabile, basta guardarsi intorno per scoprire che l'atteggiamento dominante richiama all'Übermensch nietzscheano), a pensare al nostro vicino non come un nemico da distruggere perché mette in discussione il nostro fottutissimo ego, ma ad un nostro simili che possiede e tenta di rivendicare i nostri stessi diritti di esistere come persona ed essere umano.

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