sabato 21 agosto 2010

History repeating

«Causa la Grande Depressione degli anni 1873-1895, nel cuore della prospera Inghilterra ricompare una miseria che si credeva sparita, quella della Londra dei paria.
Le prime inchieste rivelano tutte la miseria operaia, quella che fu definita pauperismo. Gli operai erano mal nutriti, andavano vestiti di stracci, abitavano in condizioni terribili, i loro quartieri erano focolai malsani di epidemie.
Ciò che colpì fu innanzitutto la durezza e la relativa frequenza delle crisi industriali, che lasciavano senza lavoro e senza risorse, in una stessa città o regione, decine, forse centinaia di migliaia di persone. A Roubaix, nel 1846-1847, il 60 per cento degli operai tessili era disoccupato, e a Rouen lo erano i tre quarti. I grandi stabilimenti di Berlino occupavano, nel 1875, 70.000 operai, tre anni più tardi soltanto 29.000. Il minimo rallentamento dell'attività industriale si abbatteva subito sui lavoratori. Se lavoravano a domicilio per un produttore, questi non era in alcun modo tenuto a fornire loro le materie prime o il lavoro. Coloro che erano salariati potevano essere assunti e licenziati in un'ora: erano ancora rare le imprese sufficientemente moderne da aver bisogno di specialisti che valesse la pena di mantenere qualunque fosse la congiuntura, ai quali garantire una certa sicurezza d'impiego e un pagamento mensile. In queste condizioni, l'operaio viveva alla giornata: la sua situazione fu tremenda nel corso delle crisi della prima metà del secolo e, dal momento che le difficoltà dell'industria erano largamente connesse a quelle dell'agricoltura, esse coincidevano con i periodi di rincaro del prezzo del grano. Tuttavia, se successivamente, al tempo della Grande depressione (1873-1896), il calo dei redditi venne in qualche misura attenuato dal contenimento dei prezzi, specialmente in prodotti agricoli, cominciò ad apparire in Germania e in Gran Bretagna, più che nella Francia maltusiana, una persistente disoccupazione fino ad allora sconosciuta, dissimulata dal sottoimpiego nelle campagne e dall'emigrazione oltre Atlantico.
A ogni modo, i primi osservatori furono unanimi: anche in periodo di piena occupazione, e a prestare fede alle cifre fornite dai padroni e non alle testimonianze dei lavoratori, i salari erano appena sufficienti ai bisogni di un giovane operaio celibe: erano, come noto, troppo scersi per una giovane operaia nubile pressoché condannata alla prostituzione occasionale - essendo la retribuzione delle donne la metà di quelli degli uomini - o per i lavoratori e le lavoratrici in età avanzata, costretti a ricorrere alla pubblica carità. Non erano sufficienti al sostentamento di una famiglia nel caso vi fossero dei bambini. Allora, in tempi normali, la maggior parte delle risorse disponibili - sempre più della metà, più spesso i tre quarti - era destinata all'alimentazione: al pane, soprattutto, chiaramente nero o integrale, ai frutti e alla fecola, ai legumi e ad altri cibi, ma raramente alla carne o al pesce. Un'alimentazione monotona, a base di prodotti di cattiva qualità, quando non volutamente alterati da venditori o commercianti poco scrupolosi. Per una ragione o per l'altra, i tempi erano duri, la fame si faceva sentire, e per sopravvivere si doveva ricorrere agli scarti dei ristoranti e delle mense, delle quali, nella Francia di fine secolo, ancora si faceva commercio. ».
(a cura di U.Frevert e H.G.Haupt: L'uomo dell'Ottocento. Cap. I "L'operaio" di V.Robert, pgg.6-7-8. Laterza, Roma-Bari 2000)

sottofondo consigliato: Kraftwerk, Das Model, 1980

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