domenica 2 agosto 2009

RICERCA DEL PIACERE O RICERCA DELL'APPARIRE?

La mia nonna materna abitava in zona Campidoglio, via Corio.
Una via stretta che a noi bambini sembrava lunghissima, iniziava davanti al cinema Zeta d'Essai, poi diventato a luci rosse, e sfociava in via Nicola Fabrizi davanti a piazza Risorgimento.
La casa di mia nonna era casa nostra. E' lì che a quattro anni ho messo in subbuglio tutto il quartiere facendomi cercare tutto un giorno mentre, invece, mi nascondevo dietro il portoncino. Mi avevano trovato solo a tarda sera e se ci penso, ancora mi duole il fondoschiena. Ma che ci posso fare se mi piace fare "i scherzi"?
Ed è nel cortile di quel piccolo palazzo che ho imparato ad andare in bicicletta, con mia nonna che spingendomi diceva: "Pedala, pedala e guarda avanti...non ti lascio, stai tranquillo...", poi avevo guardato indietro e mi ero schiantato contro il muro.
Dentro casa ci si stava solo per dormire, praticamente si viveva in strada.
Dopo pranzo, la nonna usava fare il pisolino. Io e mia sorella rimanevamo in cucina ad aspettare. Un fischio era il segnale.
"Nonna, andiamo a giocare"; "Non vi allontanate", rispondeva lei.
Io uscivo di corsa e, mentre scendevo i gradini di pietra a due per volta, sentivo mia sorella che pregava di aspettarla.
Se c'erano più femmine si giocava a pallavolo, se c'erano più maschi si giocava a calcio. Tutti.
E se il pallone non c'era, perchè lo si era perso il giorno prima, si giocava a nascondino o a "chi ha paura dello sparviero?". Tanto i portoni erano sempre aperti e si poteva andare ovunque.
Verso le cinque, se la nonna non ci aveva ancora chiamati, si tornava di corsa per farsi preparare un panino con la marmellata e poi di corsa nuovamente in strada per finire di giocare mangiandoselo.
Non c'era lunedì nè giovedì, l'unico giorno che si riconosceva era la domenica perchè la bottega del carbonaio e il panificio Ossom erano chiusi.
La nonna lavorava in Pininfarina e alla fine del mese, quando prendeva lo stipendio, ci portava a mangiare la pizza e il gelato.
"Luca, vai a prendere i posti che noi arriviamo subito", mi diceva. Allora scendevo in strada e andavo a fare la coda davanti al negozio.
La pizzeria Cecchi era in via Nicola Fabrizi all'angolo con via Locana, facevano la pizza al tegamino e il gelato più buono che abbia mai mangiato. Non avevano il menù da tavolo, all'ingresso c'era un grande cartello con la lista delle pizze e delle bibite: io sceglievo sempre la margherita, mia sorella quella con il prosciutto cotto e mia nonna alle acciughe, le bibite le servivano direttamente nel bicchiere. La nonna ci tagliava la pizza e quando avevamo finito timidamente le chiedevamo se potevamo andare a scegliere il gelato, lei rispondeva di si e noi ci alzavamo e andavamo al banco. Il padrone della pizzeria ci conosceva da quando eravamo in fasce, ci guardava e sorrideva. La lista dei gelati recitava: crema, nocciola, gianduja, pistacchio, limone e fragola. Io prendevo sempre crema e nocciola e ancora ricordo il sapore del latte e delle uova, mia sorella limone e fragola.
Per più di trent'anni, Cecchi era un punto di riferimento per chi, nel quartiere ma anche da altrove, voleva mangiare un ottimo gelato o portarsi una pizza a casa. Tutto molto semplice ma genuino.
Poi il vecchio padrone e morto e la gestione è cambiata, ma per qualche tempo la struttura è rimasta invariata tanto che tornandoci da adulto avevo notato che l'unico cambiamento avvenuto erano le facce sconosciute. Ancora a metà anni Novanta, una pizza costava 2500 lire e con poco più di cinquemila lire si mangiava pizza, bibita e un piccolo gelato.
Qui a Torino ci sono molte pizzerie e altrettante gelaterie.
Per i miei gusti, la pizza più buona si mangia da "Cristina" in corso Palermo dove con una decina di euro si mangia una pizza e si beve una birra; e per quanto riguarda il gelato i miei preferiti sono quelli di "Fiorio" in via Po, famoso per i gusti alle creme, o dal "Siculo" in via San Quintino, famoso per le granite siciliane.
Ma non tutti hanno gusti semplici e così non mancano le gelaterie da gourmand.
Quando mi è capitato di visitarle mi sono sempre sentito a disagio. Guardo la lista dei gusti e mi sento fuori posto.
"Pistacchio di Bronte", "Vaniglia Bourbon", "Limone di Amalfi", "Malaga con uvetta di Pantelleria e rum dei Caraibi", eccetera eccetera.
Ovviamente una coppetta mignon costa circa tre euro.
Ma, mi chiedo, quando lo si mangia mischiato con latte, zucchero e uova, si sente la differenza tra un limone di Amalfi e uno di Bagheria?
Ne dubito fortemente.

1 commento:

Maura ha detto...

Mi hai riportato indietro con gli anni....facevo esattamente la stessa cosa, tranne ch mangiare in strada...la merenda era sacra e non mi spostavo mai da tavolo fino a che non avevo finito...anche perchè la maggior parte delle volte un panino non bastava :D