venerdì 6 giugno 2008

Le regole d'ingaggio.

La recente questione nata dal rifiuto, da parte di alcuni Stati, a disarmarsi delle tremende "bombe a grappolo" (cluster bomb) contribuisce a tenere vivo il dibattito sulla sicurezza.
Qualche settimana fa, Paul Kennedy notava che "quella che all'inizio sembra una scelta vantaggiosa, nel giro di qualche anno potrebbe rivelarsi un errore. Le armi miracolose rischiano di produrre dei risultati di cui ci pentiremo" (ma ovviamente, la sua opinione, è dal punto di vista degli Usa "gendarmi" del pianeta).
Dall'alto della loro superiorità, gli Usa, imponevano i criteri di disarmo, ora questo non è più possibile. Oltre alla Russia paesi come Cina e India (ad esempio) non accettano più questo tipo di imposizione per due motivi principali: posseggono il nucleare e il livello tecnologico per competere alla pari (per poco ancora, a breve giungeranno ad un livello più alto) militarmente; ed hanno interessi economici in divesi Stati.
Se fino ad ora il ruolo di "gendarmi" faceva comodo, adesso il mercato impone una scelta anche in questo campo perciò l'esclusività non è più a favore statunitense e, soprattutto, gli interessi delle singole Potenze stabiliscono scelte differenti.
Per capirci meglio.
L'economia cinese, ad esempio, ha influenti tentacoli all'interno di quella statunitense quindi, colpire un Paese dove la prima ha interessi forti significherebbe colpire indirettamente sè stessi. Ed è proprio su queste basi che sorge una domanda: per quale motivo tutti, tranne pochi fedelissimi alleati, dovrebbero completamente disarmarsi?
Senza appoggiarne ottusamente il concetto, è utile ricordare che il fondamento su cui poggia l'ideale di democrazia è il pluralismo perciò (appunto da un punto di vista democratico) è necessaria l'esistenza di diverse forze per garantire un certo equilibrio.
Insomma. Se da un lato si potrebbe sostenere la giustezza dell'imposizione americana al disarmo di Paesi considerati "pericolosi", è altrettanto sostenibile la necessità di non disarmo di questi ultimi.
Deduco perciò che, se il ruolo dell'Onu rischiava di andare a spegnersi, ora ricominciano ad esserci le basi per una sua ricostruzione e rivalutazione in funzione di organismo super partes.
In un sistema che fonda la propria esistenza sulla concorrenza, forse, gli "universalismi socialmente condivisi" di cui oggi necessitiamo per non incorrere nel caos dell' "ultimo uomo" si stabiliscono equiparando i differenti rapporti di forza, non imponendoli unilateralmente.

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