venerdì 12 ottobre 2007

La privazione del sociale


Il modo di produzione capitalistico, per definizione, tende ad atomizzare, a trasformare cioè in privato tutto ciò che dovrebbe essere un bene della comunità. Negli ultimi anni, tuttavia, la tendenza si è invertita perchè il "mercato" ha imposto la via verso la globalizzazione delle produzioni per non morire. Naturalmente la forma economica riguarda anche la sfera del sociale nella quale si è passati da grandi comunità a sempre più piccoli nuclei al punto da costituire addirittura singole realtà, che vivono all'interno di comunità che comunità lo sono solo dal punto di vista giuridico.Senza andare troppo indietro nel tempo basta ricordare l'infanzia di quelli che hanno più o meno la mia età (mi riferisco alla fine degli anni Settanta-inizio Ottanta); si "viveva" il palazzo con gli altri, le nostre mamme si scambiavano oggetti e beni alimentari, si giocava nei cortili, insomma il palazzo era una comunità vivente.Oggi i caseggiati sono veri e propri dormitori, la vita si consuma quasi totalmente all'esterno e quei pochi che cercano di viverli vengono considerati maleducati o peggio dissoluti. Oggi si vive da privati ma nel senso che siamo stati privati della socialità.Il seguente articolo è tratto dal nr. 21 del periodico "N+1"; ho deciso di riportare solo alcuni stralci tagliando le parti più pregne di ideologia semplicemente per non sviare dal tema che mi interessa trattare.
Dalla casa dell'uomo al condominio e oltre.
'Gli Yanomami dell'Alto Orinico (tra Brasile e Venezuela) non hanno "casa".Ogni tribù è composta al massimo di 300-400 unità e vive in una struttura comune chiamata shapuno, una grande tettoia circolare con lo spiovente verso l'esterno disposta attorno a uno spiazzo. In comune è svolto ogni lavoro, e comune è il prodotto degli orti, della caccia, della pesca e della raccolta nella foresta (per una legge rituale nessuno può mangiare il cibo che produce o che caccia, deve darlo agli altri, che faranno altrettanto). Nello shapuno lo spazio è suddiviso per nuclei famigliari, ma la maggior parte di esso è minuziosamente organizzato per la vita sociale: verso l'esterno, cioè verso la parte più bassa del tetto, chiusa verso la foresta da una parete, vi è lo spazio famigliare; verso l'area centrale, piatta e libera da ogni struttura, lo spazio è comune, aperto a tutti, compresi gli elementi di alcune tribù in viaggio o a caccia. Anche nelle parti dedicate alla famiglia non vi sono pareti divisorie. Gli antropologi hanno calcolato che in media gli Yanomami lavorano per il proprio sostentamento circa 2 giorni la settimana. Le decisioni vengono prese collettivamente sulla base dell'esperienza di un consiglio di anziani. [....]
In un grande edificio scolastico abbandonato, costruito un secolo fa in mattoni a vaga somiglianza di un castello, s'è insediata una delle tante comunità di co-housing che stanno sorgendo in tutto l'Occidente e che coinvolgono ormai milioni di persone. Siamo in Olanda, in una zona quasi centrale dell'Aja. L'edificio si chiama Grote Pyr. I membri della comunità abitano come in un qualsiasi condominio, con la differenza che hanno deciso di condividere alcuni aspetti dell'esistenza quotidiana. Le famiglie o gli individui vivono nel "proprio" appartamento, ma hanno in comune la cucina, i servizi, il bar, l'asilo, la sala riunioni, la vecchia palestra della scuola, il pollaio, l'orto, un piccolo museo per i bambini e altri spazi.A differenza delle "comuni" degli anni Sessanta, che avevano vita assolutamente effimera, il modello co-housing è meno ideologico e perciò meno conflittuale(meno anche del condominio tradizionale), quindi più duraturo. Tra l'altro costa meno, perchè evita la moltiplicazione individualistica e dispersiva di oggetti, ambienti e attività. Nel nostro caso - e abbiamo scelto apposta un ibrido fra il condominio tradizionale e la comune - di ideologia ve n'è poca, e anche quella poca risulta del tutto conforme a quella dominante. [....]'.

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