domenica 22 luglio 2007

Presenze.....usuranti!

La coerenza ha imposto una revisione del sistema pensionistico che era necessaria.
Mediante la discussione sull'accordo, il Governo si è reso finalmente conto delle potenzialità che faceva fatica ad esplicare. E' stato come dare un colpo al cerchio ed uno alla botte, dove per cerchio si intende il popolo dei lavoratori e per botte l'opposizione.
Non era facile trovare un accordo su come far "dimenticare", ai lavoratori tra i 25 e i 35 anni, il sogno di andare in pensione ma con un ricamo di fino degno del miglior boia torturatore ci sono riusciti; il vero colpo da maestro è stata la "clausola" sui lavori usuranti, un altro tassello che rinforza la guerra tra poveri e che fà sì che, dopo aver diviso i lavoratori in categorie per "difenderli" meglio, coloro che non lavorano in fabbrica o non svolgono mansioni usuranti fisicamente, ma "solo" mentalmente si sentano "inferiori".
Il secondo piccione preso è la probabile confluenza di voti che dall'opposizione finirà nell'urna della fiducia al Senato.
Ma torniamo al tema iniziale, la coerenza.
Sull'argomento il Governo si è sicuramente domandato:"In Italia oramai la precarietà è ovunque, persino all'interno della nostra stessa maggioranza, perchè non diffonderla ampiamente anche alle pensioni?". E come tralasciare l'esempio di coerenza del Ministro Damiano che qualche tempo fa, all'interno di una trasmissione che fa della cultura il proprio vessillo (Domenica In... ,N.d.R.), dichiarava :"Non voglio alzare l'età, nè far cassa. Non voglio mettere le mani nelle tasche degli italiani....ma vorrei che l'età scendesse per che fa lavori usuranti.....".
In conclusione vorrei dire che, secondo me, criminale non è solo che uccide, stupra, rapisce, ruba eccetera, ma è anche chi scrive porcate sui giornali.
Dopo aver letto ciò che segue mi è un po' passata la voglia persino di ironizzare sui calci nelle parti basse che quotidianamente ci becchiamo, e perciò lascio ad altri il commento.
Un ultima precisazione.
Chi legge questo post e il seguente articolo e si sente infastidito pensando che io sia il "solito estremista di sinistra", chieda ai propri genitori, che magari andranno in pensione tra una decina di anni, se sono contenti.
Da "La Repubblica" (http://repubblica.it)del 21 luglio 2007
Il riformismo possibile di un governo di coalizione
di MASSIMO GIANNINI
"Tra scaloni che scendono e scalini che salgono, finestre che si aprono e finestre che si chiudono, Romano Prodi attraversa il "cantiere delle pensioni" portando a casa un compromesso dignitoso. La sopravvivenza è garantita, almeno fino all'autunno.
Il passaggio era insidiosissimo.
Per la prima volta dopo la Finanziaria, il governo di centrosinistra era chiamato a rimettere in discussione vantaggi e privilegi della sua costituency politico-culturale. Non più solo una lenzuolata di liberalizzazioni a scapito di chi probabilmente simpatizza per l'opposizione, ma un fazzoletto di limitazioni a danno di chi notoriamente vota per la maggioranza. Non più solo un sacrificio richiesto ai tassisti o ai commercianti, ma un beneficio sottratto a Cgil Cisl e Uil. E quindi per la strana "proprietà transitiva" della sinistra italiana, un maleficio imposto a Rifondazione e al Pdci.
Forse è esagerato parlare di una "svolta storica per il Paese", come fa il premier. Ma sia pure con un ritardo di quattro mesi sulla tabella di marcia, e in un clima di diffuso scetticismo (se non addirittura di palese disfattismo), il governo esce tutto sommato indenne da un test politico importantissimo. E se la parziale riscrittura del patto previdenziale firmata nella lunga notte di Palazzo Chigi non si può festeggiare come un trionfo dei "riformisti", non si può neanche giudicare come una vittoria dei "massimalisti".
Qualunque giudizio di merito si dia di questa riforma, a sentire dalle reazioni che ha innescato segna senz'altro un punto a favore di chi (dalla Bonino a Rutelli) insisteva per un atto di coraggio da parte del governo. E un punto a sfavore di chi (da Giordano a Diliberto) si considerava impropriamente la "guardia rossa" dell'esecutivo.
Se si giudicasse con i criteri dell'idealismo, senza conoscere niente del passato e del presente dell'Italia, senza sapere nulla delle sue prassi consociative e delle sue incrostazioni corporative, senza alcuna consapevolezza della disomogeneità culturale delle sue maggioranze e della fragilità istituzionale della sua democrazia, questo accordo andrebbe bocciato.
In tutta Europa, dalla Gran Bretagna all'Olanda, si va in pensione a 65 anni. L'ultima riforma varata in Germania innalza l'età di pensionamento addirittura a 67 anni dal 2030. Solo qui si può rischiare una crisi di governo se si innalza di un anno l'anzianità e si porta lo "scalino" a 58 anni. Solo qui si può rischiare l'ordalia nelle fabbriche se non si introduce la categoria dei "lavori usuranti" sconosciuta all'Occidente.
Se si giudica con i parametri del realismo, tenendo conto delle premesse concrete dalle quali si partiva, della fragilità politica della coalizione, della capacità d'interdizione della sinistra radicale, della forza d'urto della sinistra sindacale, questo accordo va promosso.
È meno di quello che sarebbe servito, ma è più di quello che si poteva temere. Molto semplicemente, e senza troppi velleitarismi impensabili nell'Italia ingessata di oggi, è una prova di "riformismo possibile".
Sul piano tecnico, i pregi della riforma sono almeno due.
1) La nuova disciplina riporta un equilibrio tollerabile nelle dinamiche finanziarie del sistema. Assicura grosso modo gli stessi risparmi della Maroni. E, almeno nella fase iniziale, non lo fa a spese della fiscalità generale, ma attraverso una redistribuzione delle poste interne al perimetro previdenziale. In prospettiva restano diverse incognite sulla copertura. Preoccupa il "paracadute" introdotto dal Tesoro dopo il 2011: se a quella data il riordino degli enti non avrà dato i risparmi attesi (cosa per la verità assai probabile, se non addirittura certa) sarà necessario il ricorso a ulteriori aumenti contributivi. Tra quattro anni è dunque ragionevole temere un ulteriore aumento di pressione fiscale a carico della collettività. Ma nell'insieme l'edificio finanziario può reggere.
2) Il superamento dello scalone di Maroni è modulato con tempi e formule accettabili. Accantonata l'ipotesi nefasta dello "scalino più incentivi" (inefficace e già fallita come dimostrato dallo stesso superbonus sperimentato dal Polo), il governo ha adottato la più funzionale formula "scalino più quote". Con un correttivo non secondario, che infatti fa gridare la Fiom e i due partiti comunisti. Dopo il primo scalino a 58 anni nel 2008, ogni quota successiva risultante dalla somma tra età anagrafica e contributiva dà diritto alla pensione solo in presenza di un requisito minimo di età: 59 anni dal primo luglio 2009, 60 dal primo gennaio 2011, 61 dal primo gennaio 2013. Con questo meccanismo si raggiunge un doppio risultato: si introducono di fatto altri tre scalini di innalzamento, e a regime si raggiungono gli stessi livelli di anzianità previsti dalla legge Maroni. È vero che il governo Prodi scende dallo scalone, riducendo l'età pensionabile da quota 60 (come prevedeva la legge del Polo) a quota 58 (come previsto dal primo scalino della nuova riforma). Ma è anche vero che a fine corsa raggiunge lo stesso traguardo. E salva il principio della "gradualità", che non può fare e non deve fare scandalo neanche per il più convinto dei riformisti. La Maroni era rozza tecnicamente e diabolica politicamente proprio per questo: introduceva una disparità sociale a danno dei pensionandi dal primo gennaio 2008, e ne scaricava l'onere politico sul governo successivo. Bisognava uscirne, senza rinunciare a correggere le anomalie. Questo era scritto nel programma dell'Unione. Questo, onestamente, è stato fatto.
Se due sono i pregi, due sono anche i difetti.
1) La riforma rinvia ancora una volta la trasformazione definitiva del sistema previdenziale. Il tanto atteso passaggio al contributivo (tanto versa oggi il lavoratore attraverso i suoi contributi, tanto incasserà domani con la sua pensione) resta una chimera. Qui sta la colpevole rinuncia del governo, che cede ad un intollerabile veto sindacale: l'aggiornamento dei coefficienti di trasformazione, già previsto dalla Dini e già rinviato dalla Maroni, viene ulteriormente procrastinato al 2011. E quello che è peggio, viene affidato nuovamente a una misura discrezionale, e non automatica, come un decreto del ministro del Lavoro. L'esito è scontato: tra quattro anni ripartirà il tormentone, con i sindacati che si oppongono all'aggiornamento e il governo di turno che sarà costretto a un nuovo braccio di ferro. Siamo al rinvio del rinvio. Su questo si poteva e si doveva osare di più.
2) Preoccupa l'estensione delle categorie escluse. Archiviata la richiesta di Rifondazione, che per esigenze di classe avrebbe voluto esentare tutto il lavoro operaio, l'area delle categorie usurate si è ristretta, sulla carta, ai lavori "nocivi", agli addetti alle catene di montaggio, ai turnisti notturni. Dovrà decidere una Commissione, l'ennesima. Ma la platea degli esclusi dall'aumento dell'età rimane comunque molto vasta: circa 1 milione e mezzo di lavoratori. Quanto costa questa "clausola di salvataggio"? Difficile dirlo. Ma è un'altra probabile incognita finanziaria, oltre che un discutibile discrimine sociale. Il tempo dirà il risultato pratico della riforma. Quello che si avverte fin da ora, nel bene e nel male, è il suo impatto politico. Dopo la firma apposta sul testo da Cgil, Cisl e Uil, per i partiti della sinistra radicale è più difficile rompere su questo l'alleanza. Giordano e Diliberto possono soffiare sul fuoco della rabbia dei duri della Fiom. Ma per ora, sia pure con la formula un po' ambigua della firma "per presa d'atto" apposta sul documento firmato nella notte, Epifani sembra reggere all'urto dei metalmeccanici di Cremaschi. Questo rende più stretto il sentiero di Prc e Pdci, che ora sono in evidente difficoltà. La prova sta nell'appello, improprio, che ora i due partiti comunisti fanno alle fabbriche, chiedendo ai lavoratori di esprimersi sull'accordo con un referendum, e scavalcando ancora una volta a sinistra i sindacati. Ma l'arma appare spuntata. Hic Rhodus hic salta. La riforma delle pensioni non è una legge sulla fecondazione assistita, dove ci si può rimettere alla libertà di coscienza dei singoli.
O la sinistra radicale considera come un "male minore" l'accordo siglato a Palazzo Chigi, e allora deve cercare di farlo accettare anche agli operai di Mirafiori. Oppure lo considera un "male assoluto", e allora si deve assumere la responsabilità di uscire dalla maggioranza, e di far rivivere al centrosinistra il terribile trauma del '98. Quello che non può fare, è sospendere il giudizio e considerare la partita ancora aperta, lasciando che la coalizione arda a fuoco lento in vista del solito, palingenetico "autunno caldo".
Se c'era una battaglia da fare, andava fatta prima dell'accordo.
Adesso che è stato firmato, per una sinistra di lotta che voglia continuare ad essere anche sinistra di governo, c'è solo da difenderlo.

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