giovedì 17 giugno 2010

Berlusconi e l'invidia.

Stamattina, mentre lavavo le scale, pensavo a Berlusconi.
Al Berlusconi che ogni tanto tira la solfa sull'invidia.
La prendo larga, ma poi arrivo al punto...don't worry...XD
In natura, l'invidia non esiste.
Non si è mai visto, infatti, un elefante lagnarsi perché non è veloce come un cavallo o una lepre perché non è forte come un toro o un serpente perché non vola.
Seppur in maniera probabilmente considerata semplicista, è quindi possibile affermare che, appunto, in natura l'invidia non esiste.
Pur tuttavia, essa in realtà esiste. Questo è innegabile.
Ma allora dove nasce?
Essa è una peculiarità che si sviluppa per mezzo dell'ineguaglianza tra gli esseri umani.
Se ogni individuo può disporre di tutto quello che la propria necessità di vita richiede, il senso di invidia nei confronti di un suo simile non ha scopo di esistere.
Se, viceversa, l'individuo viene "educato" alla concorrenza nei confronti dei suoi simili, se ovvero viene costretto in una realtà in cui si è perdenti o vincenti, inevitabilmente, il perdente nutrirà invidia nei confronti del vincente.
La questione che ci interessa non è però l'invidia in sè stessa, ma piuttosto la comprensione dell'uso del termine da parte, in questo caso specifico, del capitalista Berlusconi.
Egli, che è tutt'altro che sprovveduto, non usa questo termine a caso.
Nell'immaginario comune, l'invidia viene considerata un sentimento riprovevole, di cui vergognarsi, disonorevole insomma. Perché ancestralmente, ossia nel ricordo atavico dell'uguaglianza tra esseri umani scevro da depravazioni di carattere produttivo, è incomprensibile.
Ma in una società dove, appunto, l'uguaglianza non è contemplata, l'invidia assume una forma diversa.
Essa riveste le medesime caratteristiche della giustizia e della rivendicazione di uguaglianza.
A questo punto, la finalità riguardo l'utilizzo di determinati termini è lampante.
Io sono più ricco, quindi superiore a te, tu che sei inferiore a me, più povero, non devi invidiare la mia ricchezza, quella ricchezza di cui mi sono impossessato sfruttando la tua forza lavoro, e quindi la tua persona, perché l'invidia è un brutto sentimento e, perciò, ti trasforma in "brutta persona".
Insomma, accetta la tua condizione di subalternità serenamente, tanto non è destino che essa muti.
In casi come questo, i fanatici del "politically correct" si affrettano a specificare che "nessuno qui è invidioso, che sciocchezza!".
Personalmente, invece, io mi considero orgogliosamente invidioso.
E i motivi di vanto sono principalmente due: non mi sono mai arricchito sfruttando il sangue e il sudore di alcuna persona; e vivo da schiavo salariato, perché costretto, ma non ragiono da servo!

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