martedì 27 novembre 2012

Antonietta, l’ameba e il barboncino Bigùdin.


Hai presente quando leggi qualcosa e pensi: “cacchio, io li conosco due così!” ?
Ecco, questo è il caso.
E se volessi anche fare il pettegolo, aggiungerei che la lei soffre di carenza di sesso.
«Nell’immaginario collettivo una coppia di portinai, binomio costituito da entità talmente insignificanti che solo la loro unione le rende manifeste, possiede quasi certamente un barboncino.

Impotenza.


Impotenza, non riguarda solo la sfera sessuale.
Impotenza, è arrivare a fine giornata senza nemmeno la voglia di addormentarsi. Che tanto non serve a nulla.
Impotenza, è svegliarsi al mattino e pensare subito a quando arriverà la fine di un’altra giornata.
Impotenza, diventa sinonimo di depressione. Nel senso di apatia, di non voglia di fare.
Nei confronti di tutto. Perché ogni sforzo è vano.
Personalmente, sono sempre stato, e anzi probabilmente lo sono ancora, disposto al sacrificio, a rinunciare ad avere qualcosa nell’immediato, per godermelo alla fine.
Ad esempio, penso ad una sciocchezza, fino a qualche tempo fa, per quanto riguarda il cibo tenevo da parte l’estremo godimento per il boccone finale. Ora, non me ne preoccupo più. Tanto non cambia nulla.

sabato 24 novembre 2012

Per me, smarchetta. Con eleganza, ma smarchetta!


Lei non fa bene il suo lavoro”, queste le parole che un’inquilina mi disse una volta, per complimentarsi della mia discrezione.
Ma di […] non si è mai lamentato nessuno? Impicciarsi, sapere, è il suo lavoro. Lei dovrebbe saperlo!”, queste, invece, le parole che un grandissimo maleducato mi ha rivolto ieri pomeriggio chiedendomi informazioni riguardo a un inquilino dello stabile dove lavoro.
Eh già, in effetti, da un certo punto di vista, ammetto di non adempiere a determinate aspettative che il mio lavoro, ovviamente a detta altrui e di una certa proverbialità, imporrebbe.

lunedì 19 novembre 2012

Non conosco delusione.


Sembra strano. Chi non è mai stato deluso, in fondo?
Invece è proprio così. Non conosco delusione.
Perché delusione prevede aspettativa, e io non ho mai nutrito alcun genere di aspettativa. Né nei confronti di altre persone né per quanto riguarda le situazioni.
Mi adatto e mi regolo in conseguenza di quello che mi si pone dinnanzi.
Certo mi piace sognare, immaginare, costruire castelli per aria. Ma nel farlo sono sceneggiatore e mai regista. Il regista è sempre qualcun altro, che manipola anche la sceneggiatura. Io poi guardo i giornalieri e me li faccio piacere.

mercoledì 14 novembre 2012

Porco Diavolo!


L’imprecazione fa ridere.
Porco di qua, porco di là. E giù sghignazzi.
Si tratta di una particolare forma di esorcismo, un rifiuto verso la religione e, soprattutto, nei confronti del clero. ma lo trovo fastidiosamente infantile.
Quando mio padre spadroneggiava ancora gli eventi della mia famiglia, capitava spesso di trascorrere il fine settimana a Genova presso la famiglia della sua unica sorella, i fratelli maschi sono cinque, la zia Angela. Noi bambini eravamo felici di incontrare i coetanei cugini, a mia madre sembrava non dispiacere la compagnia della cognata, e lui spariva insieme con lo zio Bruno per intere notti a caccia di anguille. Se andava bene, la domenica a cena le mangiavamo cotte alla griglia, prima di ripartire verso casa.

martedì 13 novembre 2012

Servire, non sempre equivale a esser servi.


Si arriva a un certo punto e si comincia a pensare. Al passato, in molti casi. A quello che si è fatto, a quello che non si è fatto, a quello che si è riusciti a ottenere e a quello che ci si è fatti sfuggire. A quello che si avrebbe voluto e a quello che ci si è accontentati di avere.
La vita è fatta di scelte, continuamente. E, nella maggior parte dei casi, sono scelte di altri a cui si deve sottostare. Volenti o nolenti. Alla fine, addirittura, ce le facciamo piacere. Per paradosso.
E si finisce a pensare.
Non è casuale.
Si inizia a pensare per due motivi, soprattutto. O perché si rimpiange o perché si è raggiunto un livello di serenità interiore che spinge a credere di essere padroni della propria vita.
In molti casi, chi guarda da fuori vede un atteggiamento arrendevole, un accontentarsi fingendo soddisfazione per non tornare ad esser delusi.
Ma che ne sanno costoro? Nulla. Proprio nulla.
La vita di ognuno è solo di quell’uno e nessun altro può immaginarsela.
Può capitare a qualcuno di pensare al tempo perduto. A quello che si è fatto sfuggire o a quello che per scelta d’altri ha dovuto rinunciare.
L’adolescenza, ad esempio.
Un tempo in cui, pensi dopo, ci si sente spensierati. Liberi.
La strizzata di culo al pensiero d’essere interrogati, il primo bacio con la compagna di classe, il semplice stare insieme e vivere ogni giorno con i coetanei. Insieme con tutto quello che è bello e con quello che è brutto.
Ecco, per me, l’adolescenza è questo. Il vivere con i propri coetanei la scoperta del mondo e della vita.
Manca.
Perché capita di crescere più in fretta degli anni che si hanno, di dover essere investiti da responsabilità che non possono appartenere a un quattordicenne. E la vita si fa routine senza più la sorpresa di niente, tranne il salario alla fine del mese.
Non esistono riti. Il primo bacio, lo dimentichi. La prima volta che hai fatto l’amore ti sembra squallida, e rimuovi dalla memoria anche quella.
Gli anni passano e l’unica consolazione è il credere al futuro. “Mi rifarò”, ti dici.
Qualche sacrificio, ancora un po’ di sforzo e poi verrà il momento in cui potrò vivere la mia vita”, pensi. E ti illudi.
Ma la speranza ti da la forza di andare avanti, oltre l’inerzia.
Poi, col tempo, piano piano e senza sconti, si arriva a credere di essere padroni del proprio tempo e della propria vita.
Magari un’altra illusione, ma utile. Necessaria.
Ti senti vaccinato a quasi tutto, o perlomeno pronto.
E l’occasione si presenta.
Arriva dal nulla, come un cazzotto al buio.
Ti stordisce. Provi a riprenderti, ti scuoti. Apri gli occhi, ma sei ancora stordito. Non sai cosa fare. L’istinto ti fa allungare la mano, ma fatichi a vedere. Annaspi e cerchi qualcosa da toccare. “Vieni qui, cazzo!”, pensi.
E non vuoi fartela scappare.
Non perché pensi che sia l’ultima. Ma perché sei sicuro che sia quella giusta, quella che hai aspettato per tutta la vita.
E non ti sembra d’essere più servo. Vuoi servirla, ma per ricavarne piacere.