mercoledì 4 aprile 2012

Il nulla non produce concretezza.

«Mi svegliai nelle tenebre fra i lamenti. Quando i miei occhi si furono abituati all'ombra fitta, mi scorsi intorno i compagni d'arma giacenti a migliaia sul terreno sulfureo su cui scorrevano lividi riflessi. Non scorgevo che crateri fumanti, solfatare, paludi appestate. Montagne di ghiaccio e mari di tenebra racchiudevano l'orizzonte. Un cielo di bronzo ci pesava sulla fronte. L'orrore del luogo era tale che piangemmo accovacciati, i gomiti sulle ginocchia e i pugni stretti contro il viso. Ad un tratto, alzando gli occhi, scorsi il Serafino, ritto dinanzi a me come una torre. Sul suo splendore primitivo il dolore gettava un cupo e splendido ornamento.
"Compagni" disse "dobbiamo rallegrarci perché siamo liberi dalla servitù celeste e negli inferi la libertà vale di più che la schiavitù nei cieli. Non siamo vinti perché ci resta la volontà di vincere. Per opera nostra ha vacillato il trono del Dio geloso, per opera nostra esso crollerà. Alzatevi compagni e in alto i cuori!".
Al suo comando, sovrapponemmo dunque montagne a montagne, drizzammo sulle vette grandi macchine per scagliare rocce infiammate contro la divina dimora. L'esercito celeste fu preso di sorpresa e dalla sua sede gloriosa partirono gemiti e grida di terrore. Pensavamo già di rientrare vincitori nella nostra patria suprema, ma la montagna del Signore si coronò di saette e la folgore cadendo sulla nostra fortezza la ridusse in polvere.
Dopo quest'ultimo disastro, il Serafino ristette per un poco pensoso, la testa fra le mani. Sollevò poi il volto annerito. Era diventato Satana, più grande di Lucifero. Gli angeli fedeli gli si stringevano intorno.
"Amici" disse "non abbiamo ancora vinto, perché indegni ed incapaci di vincere. Rendiamoci conto di quanto ci è mancato. Non si governa la natura, non si acquista la padronanza dell'Universo, non si diventa Dio che attraverso la conoscenza. Dobbiamo scoprire la folgore e a questo ci dobbiamo dedicare senza sosta. Non sarà ora il cieco coraggio (nessuno nel corso di questa giornata ha dimostrato più coraggio di voi) a consegnarci le frecce divine, ma lo studio e la riflessione. Meditiamo dunque in questo luogo tetro nel quale siamo piombati, cercando i motivi segreti delle cose.
Osserviamo la natura con inesausto ardore e desiderio di conquista, sforziamoci di penetrarne la grandezza e la piccolezza infinite. Tentiamo di scoprire quando essa è sterile e quando è feconda, com'essa produca il caldo e il freddo, la gioia e il dolore, la vita e la morte, come raccolga e divida i suoi elementi e come produca l'aria trasparente che respiriamo, le rocce di zaffiro e diamante da cui precipitiamo, il fuoco divino che ci ha tinti di nero e il pensiero orgoglioso che agita i nostri spiriti. Lacerati da vaste ferite, bruciati da fiamme di ghiaccio, rendiamo grazie al destino che si è curato di aprirci gli occhi, e rallegriamoci della nostra sorte. Facendo una lunga esperienza della natura, attraverso il dolore, siamo incitati a conoscerla e a domarla.
Quand'essa ci obbedirà saremo diventati Dei. Ma se dovesse celare per sempre i suoi misteri, rifiutarci le armi e conservare il segreto della folgore, dovremo ancora rallegrarci per aver conosciuto il dolore, perché esso ci rivela sentimenti nuovi, più dolci e preziosi di quelli che si provano nella beatitudine eterna, e c'ispira l'amore e la pietà, sconosciuti ai cieli".
Queste parole del Serafino ci mutarono i cuori aprendoci a nuove speranze. Un desiderio immenso di conoscere ed amare ci colmava il petto.
Frattanto nasceva la terra.»

("La révolte des anges", Anatole France, 1914)

Sottofondo consigliato: Richard Wagner, "Walkürenritt".