giovedì 22 marzo 2012

Esempi di schiavitù salariata.

Episodio Uno.
Un sabato d'estate di qualche tempo fa.
Ero disteso sul letto, faceva caldo e stentavo a prender sonno. Mi accorgo che è l'una del mattino, dallo squillo improvviso del campanello di casa.
Mi scappa un "che cazzo succede?" a voce alta e, dato che la finestra è aperta, chi ha suonato sente e mi risponde: "Gianluca sono io, Angelica. Scusa. Ho dimenticato le chiavi di casa, potresti aprirmi?".
Rispondo con un forzato semi-cortese "Arrivo" e mi alzo, maledicendo il mondo e ogni santo a memoria, mi vesto e vado ad aprirle.

Episodio Due.
Piena notte, alcuni anni fa.
Mi sveglio di soprassalto col telefono che squilla.
"Pronto?!". Intanto il cuore mi sale in gola, perché rispettivamente mamma e nonna vivono da sole separatamente e il primo pensiero è "E' successo qualcosa di grave".
"Ciao Gianluca, sono Antonietta. Volevo avvisarti che da me sono passati i ladri. Ti consiglio di dare un'occhiata, perché mentre uscivano li ho visti dirigersi dalla tua parte e armeggiare al tuo portone".
Con uno sforzo sovrumano riesco a trattenere un solenne "Vaffanculo" e le rispondo: "...ok, ma scusa...e a me cosa interessa? Mi hai chiamato alle tre del mattino per dirmi questo?"
E lei: "Certo!". E io: "Va bene, grazie. Buonanotte.".
Mi alzo per scrupolo, guardo fuori dalla finestra. Non vedo nessuno e me ne torno a dormire, incazzatissimo.
Qualche ora più tardi, appena possibile, vado dalla collega e le dico, cercando di mantenere la calma: "Hanno fatto danni? Mi auguro di no. E comunque, la prossima volta, per piacere, evita di telefonarmi. Perché a quell'ora, dato che non sono pagato ventiquattr'ore al giorno, possono pure portarsi l'intero palazzo che non me ne può fottere di meno. Chiaro?".
E lei: "Eh, ma non puoi fare così. Il tuo dovere è custodire, perciò devi essere disponibile anche fuori orario. E poi, guarda che se rifiuti disponibilità te la faranno pagare."
"Si, si ho capito. Ma esiste un contratto e nel testo non si parla di questo. Ciao", le ho risposto tagliando corto per via del sangue che mi affluiva copiosamente al cervello e mi invitava a gran voce a dirle "ma svegliati, scema!".

Episodio Tre.
Ottobre 2010.
Incontro la collega di cui sopra, al rientro dalle ferie.
Col solito sorriso metà ironico e metà stronzo, mi dice: "Era ora! Ma quanto ti sei fatto di ferie?"
"Un mese, settembre. Perché, ti crea problemi?", le rispondo lievemente scazzato.
"No, no per carità. E' solo che sai....tutto il mese...settembre...rientrano tutti e tu vai via...eh, bella la vita eh?", mi dice.
"Bella la vita, un par di palle!", la smorzo. "Mi spetta da contratto, la proprietà non mi fa questioni e io me lo faccio. Punto."
"Ah, certo. Ma dovresti anche pensare che il nostro è un lavoro di servizio, e se qualcuno avesse avuto bisogno?", insiste.
"Si arrangiava! Sono un lavoratore dipendente, non lo schiavo del palazzo. E poi scusa, ma ad agosto, quando tutti sono andati via, io mica ho fatto questioni sul fatto che lavoravo mentre gli altri erano in ferie. Te lo ripeto, dai un'occhiata al contratto. Se poi tu hai accordi diversi, non sono affari miei.".

Episodio Quattro.
Lo scorso dicembre, inizio mese.
Sempre lei, la collega. La incontro, come spesso accade, al mattino mentre si spazzano i marciapiedi.
"Ciao, come va?", le chiedo.
"Ah guarda, sono incazzata nera!", mi risponde.
"...azz...che t'è successo?", le chiedo incuriosito.
"M'è successo che sono una cretina! Avevi ragione tu. Sono tutti stronzi.", si sfoga.
"Racconta, fammi capire.", chiedo.
"La settimana scorsa, dopo il ricovero in ospedale, è morto il padre di mio marito."; "Cazzo! Mi dispiace."
"Enrico, ovviamente, è partito subito. Mi chiama il giorno dopo e mi dice che lo seppelliscono in due giorni, di chiedere un permesso e raggiungerlo per il funerale. Chiamo in amministrazione e chiedo il permesso. Sai cosa mi hanno risposto? Che capiscono la situazione, ma purtroppo dicembre è un mese particolare per via delle frequenti consegne di pacchi con corriere....che non possono concedere permessi nè ferie....eccetera. Guarda, sono veramente incazzata!
Uno si priva di tutto per il lavoro, per accontentare tutti e quando, per una volta, ho bisogno io, ecco il risultato. Ma ora basta!
Mi sono rotta le palle. Ho rinunciato alle ferie per cinque anni perché non me le facevano mai coincidere con quelle di mio marito, ma ora basta. Quest'anno non mi fregano.", un fiume in piena!
"Ma scusa, cosa hai fatto? Hai rinunciato alle ferie per cinque anni? Ma sei matta? Ma non ce l'hai il contratto?", la incalzo.
"Si, certo. Ma sai, una volta un piacere a uno...una volta un favore a un altro...", sconsolata.
"Bhè, scusa se te lo dico. Ma svegliarsi?", concludo amaramente.

Epilogo.
Il lavoro che svolgo è un lavoro tutto sommato semplice. Non necessita di alcun titolo di studio, solo una laurea in pazienza avanzata.
E' un lavoro da schiavi.
Nel senso che, per consuetudine, il "Portiere di stabile" o "Custode" o, come piace dire a me ironicamente, "Concierge" o "Front Desk Concierge" (...quando lo dico, mi si guarda stupiti perché nessuno sa cosa sia e io me la rido...), è sempre stato considerato un impiego da straccioni, da morti di fame con le pezze al culo; nell'immaginario collettivo, la o il "portinaio" veste abiti quasi cenciosi o con livrea di serie C, sa fare male di conto, non usa linguaggio forbito e deve (DEVE!) essere sempre disponibile e salameccoso verso i condomini.
Fortunatamente, la realtà è lievemente cambiata.
Ora esiste un C.C.N. e le mansioni sono regolate a norma di legge.
Tuttavia, le abitudini sono dure a morire.
E, dato che sul posto di lavoro non esiste controllo sindacale e per tutta una serie di motivi viscidi (l'alloggio, o meglio la topaia, in comodato d'uso, per esempio) che non ho voglia di elencare, ci si trova spesso a subire vessazioni.

lunedì 19 marzo 2012

Chi è il mostro?


Clemente è un bellissimo bambino di cinque anni.
Riccioli biondi, faccia d'angelo e carattere prepotente. Un vero puttino.
Alla sua tenera età ha già tutto quello che si può avere, ma non quello che meriterebbe d'avere.
La sua famiglia è agiata. Il papà é un nobile romano, la mamma è una libera professionista. Vivono in una casa d'epoca in centro con tanto di servitù.
Il piccolo Clemente però, per la nostra società ma soprattutto per la mamma, ha un enorme difetto: è nato sordomuto.
Pochi mesi dopo la nascita, ricordo la mamma lamentarsi "della disgrazia".
Da diverso tempo è seguito da una logopedista e si vedono i progressi, non parla correttamente (del resto, ha solo cinque anni) ma abbastanza bene e, per mezzo di uno strumento apposito, sente benissimo.
Insomma, "problema" risolto o perlomeno corretto.

Oggi pomeriggio ho visto lui e la mamma rientrare a casa dopo la passeggiata.
Clemente, allegro e birichino come al solito, mi ha salutato e mi ha mostrato orgoglioso i suoi occhiali da vista.
A seguire, il commento della mamma: "Visto il nuovo acquisto? .....adesso anche gli occhiali.....".
Si potrebbe discutere a lungo di molte questioni che, anche involontariamente, ho messo sul fuoco. Ma ora, sinceramente, non ho voglia.
L'unica cosa che mi viene da pensare in questo momento è: ma non è possibile godersi semplicemente un figlio che se crescerà con dei complessi (e non è detto), sarà solo per colpa di una madre e di una società, l'attuale, del cazzo?

martedì 6 marzo 2012

Mi scappa un bisognino.

Sento il bisogno di «ricominciare» a scrivere.
Oh, sia chiaro che non lo dico con l'atteggiamento di chi pensa di aver scritto chissà cosa.
Al contrario.
Ma sento il bisogno di «ricominciare» ad esprimere in forma scritta quello che sento, gioie e dolori, benessere e fastidio.
Forse perché mi rendo conto, e non è la prima volta, di non essere più in grado di produrre un pensiero più articolato dei ristrettivi centoquaranta caratteri che Tuittero e Feisbucco impongono. Forse perché ho l'arroganza di voler fingere di non essere parte della massa. Forse perché, semplicemente, come la maggior parte dei soggetti che stazionano nell'internetto, soffro anch'io di manie di protagonismo o sono edonista. Forse perché, non senza spocchia evidentemente, sono convinto di saperlo fare.
Comunque sia, ne sento il bisogno.
E diciamocelo, chi non ha bisogno di "dire"? Chi è che non sente la necessità di esternare il proprio pensiero, qualunque esso sia?
Non c'è nulla di cui vergognarsi. Ritengo sia un bisogno umano.
Poi, sicuramente, ci sono modi diversi per farlo.
Da questo punto di vista, internetto offre enormi possibilità.
Secondo molti, è il sintomo di una società di individui soli. Ma evitiamo, questa volta di fare sociologia spicciola.
Egocentrismo è sia mettersi in mostra, sia mettersi in mostra criticando chi si mette in mostra. Sicché....
Quando ho "inaugurato" IlDiariodiNessuno, quasi cinque anni fa, di blog si parlava solo in ristretti ambienti. Oggi, anche "grazie" all'esplosione di Feisbucco e varie, quasi non se ne parla più. Perlomeno nell'accezione che preferisco, ossia come diario personale.
Ma, perché questo discorso?
Per due motivi.
Il primo, per vedere se sono ancora in grado di buttare giù un pensiero appunto. Il secondo, per autogiustificarmi e trovare un senso.

Alla prossima.

domenica 4 marzo 2012

«Storie di scrittori e di case chiuse»

A cura di Giorgio Dell'Arti per «LaStampa» {03.03.12} da: Giuseppe Scaraffia, «Le signore della notte. Storie di prostitute, artisti e scrittori»

{Henri de Toulouse-Lautrec "Au Salon de la rue des Moulins" (olio) 1894}

«Proust si masturbava a tutto spiano, la cosa era risaputa in famiglia e fortemente discussa tra il figlio, il padre, la madre, il fratello e gli altri parenti. Il padre Adrien, professore alla Facoltà di Medicina e autore di un saggio sull’igiene del nevrastenico, lo supplicò una volta di darsi pace “almeno per quattro giorni”. Ma ecco una lettera che lo stesso Marcel scrisse a suo nonno alla metà di maggio del 1888: «Mio caro nonno, mi rivolgo a te per chiederti la gentilezza che intendevo chiedere al signor Nathan, ma che Mamma preferisce io chieda a te. Ecco perché. Avevo così bisogno di una donna per smettere le mie cattive abitudini di masturbazione. Papà mi ha dato dieci franchi per andare al bordello. Ma 1˚ nella mia emozione ho rotto un vaso, tre franchi; 2˚ a causa di quella stessa emozione, non sono riuscito a scopare. Eccomi dunque come prima in attesa di ora in ora di 10 franchi per scaricarmi e in più di tre franchi per il vaso. Ma non ho il coraggio di richiedere tanto presto il denaro a papà e spero che vorrai venire in mio soccorso in questa circostanza».

Tolstoj
fu trascinato per la prima volta in un postribolo dai fratelli. Aveva 16 anni. Andò con una ragazza ubriaca. Alla fine rimase fermo vicino al letto a singhiozzare.

Palais-Royal «Le tariffe delle prostitute del Palais-Royal» (tutte tra i 14 e i 24 anni), guida che circolava sottobanco nel 1790 e che conteneva la descrizione dei luoghi limitrofi al Palais-Royal e degli altri quartieri di Parigi, nomi, indirizzi e particolarità di ogni passeggiatrice. Altro titolo di riferimento: «Almanacco delle signorine di Parigi».

Tariffe
Qualche tariffa: Victorine, sei lire con tazza di punch in omaggio. Madame Duperin, 25 lire insieme a quattro amiche. La Baccante, sei lire per i giovani, il doppio per gli anziani. La Saint-Aubin, «deliziosa biondina focosissima, pronta ad abbandonarsi a un amico o a un’amica, 100 scudi». La massa delle frequentatrici del Palais-Royal si prestava per somme modeste (fra tre soldi e tre lire).

Alleluia «Ho la sifilide! Finalmente! La grande sifilide... Ho la sifilide e ne sono fiero, per tutti i diavoli! E disprezzo sommamente tutti i borghesi. Alleluia, ho la sifilide, quindi non ho più paura di prenderla» (Guy de Maupassant nel 1877: la sifilide lo portò alla tomba dopo averlo reso demente).

Toro Maupassant, soprannominato «il toro triste». Nelle case di piacere si esibiva davanti agli amici. Una volta raggiunse l’orgasmo sei volte con una donna, poi passò a un’altra con cui replicò per altre tre volte. Il record di cui si vantò con Turgenev: 19 volte in tre giorni.

Flaubert da giovane sceglieva la prostituta più brutta e la possedeva davanti a tutti, senza togliersi il sigaro di bocca. «Non mi divertivo affatto, ma lo facevo per il pubblico».

{Henri de Toulouse-Lautrec "Donna che si infila una calza" (Olio alla trementina su tavola) 1894}

Kafka preferiva donne mature e grassocce con abiti fuori moda. Una volta al bordello ne prese una cui mancavano molti denti.

Alexandre Dumas si chiudeva per un giorno intero in una stanza del postribolo con due compiti: cinque prostitute da montare e cinque atti teatrali da scrivere. Assolveva sempre entrambi.

La pittrice surrealista Leonor Fini, che trovava «meravigliosi, dei veri paradisi» i bordelli di Le Havre. «Mi arrabbio quando penso ai cretini che affermano: “Non sono mai riuscito ad andare a letto con una puttana” e perdono il tempo con stupide troie di buona famiglia».

A Cuba, Georges Simenon andò con la moglie Denyse in una delle migliori case d’appuntamento dell’isola. Videro una bellissima ragazza nera, Denyse gli suggerì di salire in camera con lei, poi lo seguì e condivise con lui la ragazza. Ripeterono a più riprese questa esperienza. Una volta scelsero due prostitute: una giovane creola e una ragazza bionda. Fu l’inizio di una fitta frequentazione.

Modigliani insegnò a un amico pittore, il giapponese Foujita, a lavarsi i denti prima di entrare in un postribolo, riguardo molto apprezzato dalle prostitute.

Anche le prostitute sulle barricate del 1848 a Parigi. Victor Hugo vide «una donna giovane, bella, scapigliata, terribile» che si era fatta avanti per fermare l’avanzata delle truppe. Si era alzata la gonna sul ventre nudo invitando i soldati, nel gergo dei postriboli, a spararle. I soldati spararono. Poi ne era apparsa un’altra, ancor più giovane e bella, e anche questa aveva sfidato la Guardia nazionale sollevandosi la gonna. I soldati fecero fuoco anche su di lei.

La chiusura delle case chiuse, «più che un delitto, un pleonasmo» (l’attrice Arletty).»