giovedì 17 febbraio 2011

Il trionfo del brutto.

Quando le telecamere erano fisse e potevano essere mosse da destra a sinistra e dall'alto in basso o al massimo correvano su un binario lungo tutto il palco, insomma quando non esistevano steadycam o simili, aveva ancora un senso chiamarlo "Festival della Canzone italiana".
Poi, gradualmente, tutto è cambiato così come è cambiata l'intera società, italiana e non. Può sembrare oramai retorico dirlo, ma oggi il Festival di San Remo è il festival di tutto e poi, come contorno, della Canzone italiana.
Parto da qui per notare quel che mi piace e quel che non mi piace, perché il primo grande fastidio è causato dagli sghiribizzi del regista. Per carità, di tanto in tanto, qualche escursione sul pubblico ci può anche stare, ma se è un continuo passare dalla battuta o dalla frase di canzone alla reazione in primo piano di qualcuno in dodicesima fila o all'inquadratura insistita dell'intero parterre ganzo con il blocco dirigenziale Rai e la giunta cittadina o ancora la galleria con la giuria demoscopica, e il dettaglio delle dita del violoncellista, e la signora impellicciata in fondo a destra, e l'attrice in terza fila, eccetera eccetera eccetera.
E basta! Viene da esclamare.
La tecnologia dovrebbe servire a vedere meglio non a vedere il peggio.
Quindi fateci vedere meglio le immagini, ma si evitino anche orribili primi piani in cui si distinguono nettamente i punti neri o addirittura i pori della pelle del soggetto.
Ed in tutto questo, ovviamente, la musica è solo un contorno.
Tanto vale spegnere la tivù e ascoltare la radio, no?
Che Sanremo fosse un carrozzone da marketing è arcinoto e non voglio criticare questo, perché il discorso sarebbe lungo e perché in questo ambito non mi interessa, ma sono le priorità che appaiono insopportabili. L'ordine di importanza dovrebbe essere: canzone, interprete, moda, minchiate varie. Invece abbiamo: moda, minchiate varie, interprete, canzone.
E anche qui la musica è solo contorno.
Sono d'accordo con chi ha detto che Pippo Baudo è stato colui che meglio ha inteso lo spirito del festival. Perché guidava tutto verso un risultato per tutti, nel senso che i cantanti non erano costretti ad una gara. Ed infatti un festival dovrebbe essere una rassegna, una passerella, non una competizione.
Ma del resto oramai anche la letteratura viene considerata in base al volume di vendita invece che al contenuto.
E tutti facciamo finta di niente.
Non saprei dire, in sessantanni di manifestazione, chi sia stato il miglior presentatore di sicuro non Gianni Morandi.
Non mi si fraintenda, Morandi è un monumento della musica italiana ma non è un presentatore.
Per me, chi presenta il Festival dovrebbe essere legante ma senza sfarzo, cortese ma non "amicone" e avere ottimo tempi televisivi. Andare in giro per il palco senza la cravatta dello smoking non è granchè elegante e Mike Bongiorno insegna che conoscere profondamente la musica è un dettaglio trascurabile.
Poi c'è il discorso vallette-valletti.
A prima vista verrebbe da chiedersi come si pongono determinati partiti politici al riguardo, mi riferisco a chi crea leggi per respingere stranieri alla frontiera ma ammutoliscono dinnanzi ad un michelangiolesco culo made in Argentina.
Invece quello che non mi spiego è come sia possibile che le "orde" di femministe non organizzino proteste o atti di disturbo eclatanti durante la kermesse. Non mi riferisco alla solita storia delle vallette mute e belle, ma al fatto che trovo squallida la questione in sè. Mi spiego meglio.
Un tempo c'era la valletta che, nomen omen, non parlava e serviva appunto il presentatore, poi, subentrando un'egemonia culturale di Sinistra, si è sentito l'obbligo di dare un ruolo meno servile a questa figura così si è sviluppata prima la figura della valletta bisillabica per finire con un miscuglio non ben definito di vallette-valletti co-presentatori.
Il risultato è indecente!
Ci troviamo con due, tre o quattro individui, maschi e/o femmine, che per compiacere al, per me, odiatissimo politically correct recitano la lista di titolo, autore, interprete, eccetera come i bimbi di quattro anni alla recita dell'asilo: una frase per ciascuno. Che tristezza.
Poi, un altro punto fastidioso è il fasullo atteggiamento di denuncia morale che il maschietto di turno (nel caso specifico, Luca Bizzarri) impone alla valletta-presentatrice con battute del tipo: ah, ma parli anche?, oppure: non sei capace a far nulla oltre che mostrar le grazie. E, conseguentemente, da parte della valletta-presentatrice il dovere di dimostrare qualche peculiare capacità nel canto o di ballo.
E' questo lo squallido risultato che nasce in parlamento con le odiose "quote rosa" e si trascina nella società. Ed è una ulteriore conferma della volontà di riprodurre in televisione le storture della società.
Tutto questo polpettone è, in un certo senso, il mio personale grido di dolore verso il diffuso imbarbarimento che da qualche anno è in atto nel nostro Paese.
Si dica pure che è tutta retorica, non importa, ma ogni tanto farebbe bene ricordarsi che l'Italia ha ospitato natali importantissimi dal punto di vista culturale: grandi musicisti, letterati, scienziati, cantanti, attori.
Oggi l'Italia è la patria del truzzo, del buzzurro, del cafone, del boccaccesco (e, in questo caso, il grande poeta fiorentino non c'entra per nulla!).
E il Festival di San Remo, che si è trasformato da anni in arrogante, spocchioso, guardone, parvenù e ogni altro aggettivo sinonimo di inelegante calza a pennello, ne è uno specchio esemplare.
Tentare di preservare un oasi di bellezza in un oceano di oscenità, è chiedere troppo?