venerdì 21 agosto 2009

S.....Darko....


Ne ho visto la prima mezz'ora e mi ripropongo di finirlo, ma, finora, l'ho trovato una cagata pazzesca (per citare Villaggio).
Sto parlando di S.Darko, quella roba che viene considerata, a mio parere erroneamente, il sequel di Donnie Darko.
Donnie Darko, nel suo genere, è considerato un piccolo capolavoro. Questo, invece, ha poco a che vedere col primo, non a caso, infatti, il regista si è dissociato dal progetto di preparazione.
S. stà per Samantha (Darko) ed è la sorella minore di Donnie. Qui fa tutto lei.
E' il "coniglio" ed è anche la "sonnambula", e già questo lo rende debole.
Veramente deludente, per ora. Ma può anche darsi che cambi opinione.

lunedì 17 agosto 2009

CONTRADDIZIONI

Il mondo è veramente uno strano luogo dove possono accadere cose particolari.
Negli Usa, ad esempio, può capitare che un agente di polizia fermi un anziano signore, si presume, malvestito e senza documenti e lo classifichi come "barbone". Salvo poi scoprire che si tratta di un certo Robert Zimmerman, alias Bob Dylan.
Qui da noi, in Italia, invece, non esiste, purtroppo, una "Sezione malattie mentali gravi" che impedisca ad un anziano signore padano di dire cazzate riguardo all'inno e all'Unità d'Italia durante un barbecue in riva al Po.
Ecco, queste, io le chiamo contraddizioni.
Nel Paese dove, dicono, regni la libertà tutto è sotto controllo e un rocker in "pensione" non può farsi una passeggiata liberamente sotto la pioggia.
Nel nostro Paese, invece, dove il Presidente del Consiglio dei Ministri si lamenta continuamente della mancanza di libertà, i suoi "scagnozzi" possono fare quel che gli pare senza problemi.


martedì 11 agosto 2009

Hell is around the corner




«Voi credete in un edificio di cristallo, eternamente indistruttibile, cioè di un genere al quale non si potrà fare né una linguaccia di nascosto, né un gestaccio nella tasca. Bé, ma forse io temo questo edificio proprio per il fatto che è di cristallo ed eternamente indistruttibile e non gli si potrà nemmeno fare una linguaccia di nascosto.
Perchè vedete: se al posto del palazzo ci sarà un pollaio e pioverà, forse potrò infilarmici, nel pollaio, per non inzupparmi, ma comunque non lo scambierò per un palazzo per riconoscenza, perchè mi ha riparato dalla pioggia. Voi ridete, dite anche che in questo caso un pollaio o un palazzo sono la stessa cosa. Sì - rispondo io - se si dovesse vivere solo per non inzupparsi.
Ma che fare se mi sono messo in testa che si vive non solo per questo e che, se si deve vivere, allora è meglio vivere in un palazzo? Questa è la mia volontà, questo il mio desiderio. Voi me lo raschierete di dosso solo quando cambierete i miei desideri. Bè, cambiateli, lusingatemi con altro, datemi un altro ideale. Ma per ora non prenderò un pollaio per un palazzo. Ammettiamo pure che il palazzo di cristallo sia una panzana, che per le leggi della natura nemmeno si pone, e che l'abbia inventato io, solo in conseguenza della mia propria stupidità, in conseguenza di alcune antiche e irrazionali abitudini della nostra generazione. Ma che m'importa se nemmeno si pone. Non è forse lo stesso, se esiste nei miei desideri o, per meglio dire, esiste finché esistono i miei desideri? Forse ridete di nuovo? Ridete pure; io accetterò ogni derisione e comunque non dirò che sono sazio, se ho fame; so comunque che non mi fermerò su un compromesso, su un infinito zero periodico, solo perché esiste per le leggi della natura ed esiste effettivamente. Non prenderò per il coronamento dei miei desideri una casa solida, con appartamenti per inquilini poveri a contratto per mille anni e per ogni evenienza con il dentista Wagenheim sull'insegna. Annientate i miei desideri, cancellate i miei ideali, mostratemi qualcosa di meglio, e io vi verrò dietro. Voi magari direte che non vale neanche la pena di stabilire contatti; ma in tal caso io vi posso anche rispondere la stessa cosa. Consideriamo la cosa seriamente; se non volete degnarmi della vostra attenzione, allora non mi metterò a supplicarvi. Ho il sottosuolo.
Ma finché vivo e desidero, che mi si secchi la mano, se porterò anche un solo mattoncino per una tale solida casa! Non badate al fatto che poco fa io stesso ho respinto l'edificio di cristallo, unicamente per il motivo che non gli si potrà fare una linguaccia. Non l'ho affatto detto perchè ami tanto tirare fuori la lingua. Forse mi sono arrabbiato solo contro il fatto che un edificio tale, al quale non sarebbe possibile fare una linguaccia, tra tutti i vostri edifici ancora non si trova. Al contrario, me la farei tagliare la lingua, per pura gratitudine, ci si sistemasse in modo tale che non mi venisse mai più la voglia di tirarla fuori. Che m'importa se non ci si può sistemare così, e ci si deve accontentare di appartamenti?
Perchè sono stato creato con desideri del genere? Possibile che sia stato creato così solo per arrivare alla conclusione che tutta la mia creazione è solo un imbroglio? Possibile sia tutto qui lo scopo? Non ci credo.
E del resto, sapete una cosa: sono convinto che noialtri del sottosuolo bisogna tenerci a freno. Seppure siamo capaci di starcene in silenzio nel sottosuolo per quarant'anni, se poi usciamo alla luce e scoppiamo, allora giù a parlare, parlare, parlare...».
(Fëdor Michajlovic Dostoevskij: "Memorie dal sottosuolo", par. "X", pagg. 46-47. Newton & Compton, Roma 1998)

domenica 2 agosto 2009

RICERCA DEL PIACERE O RICERCA DELL'APPARIRE?

La mia nonna materna abitava in zona Campidoglio, via Corio.
Una via stretta che a noi bambini sembrava lunghissima, iniziava davanti al cinema Zeta d'Essai, poi diventato a luci rosse, e sfociava in via Nicola Fabrizi davanti a piazza Risorgimento.
La casa di mia nonna era casa nostra. E' lì che a quattro anni ho messo in subbuglio tutto il quartiere facendomi cercare tutto un giorno mentre, invece, mi nascondevo dietro il portoncino. Mi avevano trovato solo a tarda sera e se ci penso, ancora mi duole il fondoschiena. Ma che ci posso fare se mi piace fare "i scherzi"?
Ed è nel cortile di quel piccolo palazzo che ho imparato ad andare in bicicletta, con mia nonna che spingendomi diceva: "Pedala, pedala e guarda avanti...non ti lascio, stai tranquillo...", poi avevo guardato indietro e mi ero schiantato contro il muro.
Dentro casa ci si stava solo per dormire, praticamente si viveva in strada.
Dopo pranzo, la nonna usava fare il pisolino. Io e mia sorella rimanevamo in cucina ad aspettare. Un fischio era il segnale.
"Nonna, andiamo a giocare"; "Non vi allontanate", rispondeva lei.
Io uscivo di corsa e, mentre scendevo i gradini di pietra a due per volta, sentivo mia sorella che pregava di aspettarla.
Se c'erano più femmine si giocava a pallavolo, se c'erano più maschi si giocava a calcio. Tutti.
E se il pallone non c'era, perchè lo si era perso il giorno prima, si giocava a nascondino o a "chi ha paura dello sparviero?". Tanto i portoni erano sempre aperti e si poteva andare ovunque.
Verso le cinque, se la nonna non ci aveva ancora chiamati, si tornava di corsa per farsi preparare un panino con la marmellata e poi di corsa nuovamente in strada per finire di giocare mangiandoselo.
Non c'era lunedì nè giovedì, l'unico giorno che si riconosceva era la domenica perchè la bottega del carbonaio e il panificio Ossom erano chiusi.
La nonna lavorava in Pininfarina e alla fine del mese, quando prendeva lo stipendio, ci portava a mangiare la pizza e il gelato.
"Luca, vai a prendere i posti che noi arriviamo subito", mi diceva. Allora scendevo in strada e andavo a fare la coda davanti al negozio.
La pizzeria Cecchi era in via Nicola Fabrizi all'angolo con via Locana, facevano la pizza al tegamino e il gelato più buono che abbia mai mangiato. Non avevano il menù da tavolo, all'ingresso c'era un grande cartello con la lista delle pizze e delle bibite: io sceglievo sempre la margherita, mia sorella quella con il prosciutto cotto e mia nonna alle acciughe, le bibite le servivano direttamente nel bicchiere. La nonna ci tagliava la pizza e quando avevamo finito timidamente le chiedevamo se potevamo andare a scegliere il gelato, lei rispondeva di si e noi ci alzavamo e andavamo al banco. Il padrone della pizzeria ci conosceva da quando eravamo in fasce, ci guardava e sorrideva. La lista dei gelati recitava: crema, nocciola, gianduja, pistacchio, limone e fragola. Io prendevo sempre crema e nocciola e ancora ricordo il sapore del latte e delle uova, mia sorella limone e fragola.
Per più di trent'anni, Cecchi era un punto di riferimento per chi, nel quartiere ma anche da altrove, voleva mangiare un ottimo gelato o portarsi una pizza a casa. Tutto molto semplice ma genuino.
Poi il vecchio padrone e morto e la gestione è cambiata, ma per qualche tempo la struttura è rimasta invariata tanto che tornandoci da adulto avevo notato che l'unico cambiamento avvenuto erano le facce sconosciute. Ancora a metà anni Novanta, una pizza costava 2500 lire e con poco più di cinquemila lire si mangiava pizza, bibita e un piccolo gelato.
Qui a Torino ci sono molte pizzerie e altrettante gelaterie.
Per i miei gusti, la pizza più buona si mangia da "Cristina" in corso Palermo dove con una decina di euro si mangia una pizza e si beve una birra; e per quanto riguarda il gelato i miei preferiti sono quelli di "Fiorio" in via Po, famoso per i gusti alle creme, o dal "Siculo" in via San Quintino, famoso per le granite siciliane.
Ma non tutti hanno gusti semplici e così non mancano le gelaterie da gourmand.
Quando mi è capitato di visitarle mi sono sempre sentito a disagio. Guardo la lista dei gusti e mi sento fuori posto.
"Pistacchio di Bronte", "Vaniglia Bourbon", "Limone di Amalfi", "Malaga con uvetta di Pantelleria e rum dei Caraibi", eccetera eccetera.
Ovviamente una coppetta mignon costa circa tre euro.
Ma, mi chiedo, quando lo si mangia mischiato con latte, zucchero e uova, si sente la differenza tra un limone di Amalfi e uno di Bagheria?
Ne dubito fortemente.