lunedì 31 dicembre 2007

Capitalismo sostenibile?

Nonostante io sia un accanito fumatore, mi ha fatto piacere leggere il volantino che ho trovato all'interno dell'ultimo pacchetto di sigarette che ho aperto.
Il foglietto recitava: "Nessuna sigaretta è sicura inoltre, non dovreste ritenere che una sigaretta sia meno dannosa di un'altra sulla base, per esempio, del suo gusto, della sua intesità, del colore del suo pacchetto o del suo nome. Anche tenori di catrame, nicotina e monossido di carbonio stampati sul pacchetto non indicano esattamente la quantità di tali sostanze da voi inalate, dato che ciò dipende da come fumate.Pertanto, non dovreste passare ad una sigaretta di diverso tipo, gusto o intensità pensando che questo ridurrà i rischi derivanti alla vostra salute dal fumo. Cambiare sigaretta non è un'alternativa a smettere di fumare. Se volete ridurre o eliminare i rischi per la salute derivanti dal fumo, smettere di fumare è la scelta migliore per voi.Molti fumatori hanno smesso senza aiuto, ma se avete difficoltà a smettere, dovreste consultare un medico."
Tengo a sottolineare che il messaggio non riportava alcun riferimento all'Organizzazione Mondiale della Sanità ma solo il marchio del produttore.
Si potrebbero fare vari discorsi e varie polemiche sull'etica del capitalismo, che, secondo me, non esiste se non in funzione del profitto e dell'accumulazione; continuando ad avversare questo tipo di sistema economico, è assolutamente necessario ammettere che, finchè il paradigma non muterà, dobbiamo sottostare alle sue leggi.
Infine, è evidente che l'Unione Europea minaccia severe sanzioni ai trasgressori delle norme sull'informazione contro il fumo viceversa i produttori di sigarette se ne batterebbero allegramente, ma mi scappa di pensare che se chi produce automobili, alcolici e altri oggetti o sostanze avvertisse sulla reale possibilità di danno che possono causare forse ci sarebbero meno morti.
Mmmhhh...........Forse mi stò un po' troppo addolcendo.....

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domenica 30 dicembre 2007

La riforma prevede una forma

"Una condizione nella quale veleno ed assassinio sono diventati armi abituali, non ammette interventi correttivi troppo delicati.
Una vita prossima alla putrefazione, può essere riorganizzata solo con la più dura energia."
G.F.W. Hegel , Scritti politici 1798-1831

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sabato 29 dicembre 2007

Pedone sulle strisce....100 punti!

A tutti sarà capitato di vedere un documentario o anche solo un servizio telegiornalistico dove si parla di sicurezza stradale.
E' quasi divertente vedere automobili lanciate a folli velocità che investono dei manichini, è un pò meno divertente rendersi conto che i manichini fanno la parte dei pedoni.
Da qualche anno è in corso una piccola battaglia tra l'Unione Europea e i produttori automobilistici riguardo all'adeguamento a certe norme di sicurezza, non per gli automobilisti, questa volta, ma bensì mirata alla salvaguardia del pedone; le proposte vanno dal rendere più morbidi i paraurti al montare airbag sui cofani allo spostare il motore verso l'abitacolo di alcuni centimetri per rendere gli urti meno traumatici.
E' ovvio che ci si trova dinnanzi ad un muro contro muro in quanto i produttori, obbligati dalla legge, dovranno fare i conti però con i consumatori i quali sono, ad esempio, contrari all'airbag esterno perchè "rovina la vernice".
Tutto ciò mi fa pensare che, benchè qualcuno continui a negarlo, esistono alcuni oggetti che rappresentano ancora uno status-symbol e uno di questi è sicuramente l'automobile.
Molte persone sono addirittura convinte che sia quasi un simbolo di potere e, tra queste, vi sono molte donne.
Dite di no?Fateci caso.
L'uomo, solitamente, preferisce la velocità alla forza, la donna, al contrario, rinuncia alla velocità in luogo della forza.
Di conseguenza, nella maggior parte dei casi e ove la disponibilità economica lo permette, le donne prediligono i famigerati Suv (acronimo di Stronz Urban Vehicole).
Li usano e li indossano come se fossero prolunghe dell'organo sessuale; percheggiano senza bisogno di specchietti e manovra, tanto i parafanghi alti assicurano l'assenza di ammaccature....a loro! ; e, vista l'altezza, permettono una visuale più ampia quasi a voler dire "Vi sovrasto...".
Tutto ciò è l'ennesima dimostrazione del menefreghismo e dell'egoismo che impera nel nostro tempo e che nessuno si risparmia dal farne uso, uomini e donne, ma che forse nel caso delle donne è maggiore in quanto data la difficoltà fisica nel farsi valere sono costrette ad usare metodi alternativi.
Fin qui tutto bene, o quasi, del resto le poverine dovranno pur difendersi dal prepotente di turno. Un po' meno bene, anzi malissimo, quando la difesa si trasforma in attacco prepotente ed arrogante.

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venerdì 28 dicembre 2007

Rompiamo il silenzio

"Breaking the silence" è un'organizzazione formata da ex soldati di leva israeliani che hanno deciso di denunciare gli abusi dell'esercito nei Territori occupati.
Non stupisce il fatto che un esercito usi metodi, diciamo così, poco ortodossi, quel che stupisce è che li adotti verso la popolazione civile e che tali "operazioni" siano fatte passare sotto silenzio.
Amos, 24 anni carrista : "
A settembre del 2001 in un villaggio della Striscia di Gaza un gruppo di bambini e ragazzi si era riunito per manifestare, avevamo l'ordine di sparare per uccidere chiunque si fosse avvicinato a meno di quindici metri dal carro armato. Molti di loro si trovavano a meno di quindici metri così chiamiamo il comandante per avere ulteriori istruzioni. Il nuovo ordine fu : sparate alle gambe di chi ha una molotov in mano e di quelli che sembrano i leader. Iniziammo a sparare e vedemmo alcuni che cadevano e poi le ambulanze che portavano via i feriti. Naturalmente c'era un gran caos, e io non avevo una percezione precisa di quel che stava accadendo. Il giorno dopo lessi sul giornale che un diciottenne era stato ucciso da un proiettile alla testa e che trentadue persone, per lo più bambini, erano rimaste ferite.
A quell'epoca ero così giovane e ansioso di svolgere al meglio i miei doveri di soldato da non domandarmi se l'ordine di sparare colpi mortali su un gruppo di dimostranti fosse legittimo o no. Ma adesso sono arrivato alla conclusione che non si può tacere su quanto accade a Gaza e in Cisgiordania.
"
Avichay Sharon, tiratore scelto presso Egoz (l'unità antiterrorismo, n.d.r.) : "
Una notte fu avviata un'operazione di rastrellamento e continuò fino al mattino. Non c'era nessun coprifuoco, così quando cominciò ad albeggiare la gente uscì per strada. A una cinquantina di metri da noi c'era un gruppetto di ragazzini che, come di solito, ci lanciavano sassi. Ricevemmo l'ordine di sparare in aria. Per una decina di minuti ci fu una specie di gioco al gatto col topo con i ragazzini che si avvicinavano e poi correvano via. Dato che sparare in aria non serviva, arrivò un nuovo ordine : mirare alle gambe di chi lanciava sassi. I miei compagni ubbidirono e uno dei ragazzini fu colpito al ventre mentre si chinava a raccogliere una pietra. Fu prelevato da un'ambulanza e in seguito ci dissero che era morto. La cosa si chiuse lì, senza alcun rapporto di fine missione. La notte successiva si passò a un'altra operazione. Tutti avevano visto che il ragazzino era stato colpito, ma nessuno disse niente.
.....Tutti i giovani israeliani aspirano a diventare soldati e a difendere la patria. E' profondamente radicata in noi, non possiamo dimenticare la nostra storia. Il senso del dovere è fortissimo, e come giovani soldati non ci si domanda mai se sia giusto o no fare il servizio militare. Si cresce all'interno del sistema, non ci sono alternative.
"
Nathan, maggiore delle unità speciali : "
Quando siamo arrivati a Rafah regnava il caos, circolavano ordini contraddittori, e l'atmosfera era tesa. Il nostro compito era quello di preparare un'imboscata per impedire ai palestinesi armati di spostarsi. Le imboscate di questo tipo sono organizzate con la maggiore discrezione possibile ma quella volta usammo un'altra tattica : un bulldozer ha scavato un fosso intorno alla casa per neutralizzare eventuali esplosivi e poi ha fatto un foro nella parete, il nostro blindato si è avvicinato in retromarcia per farci entrare senza essere colpiti. Dopo l'irruzione ci siamo resi conto che la casa era abitata, la famiglia non aveva ricevuto nessun preavviso. Siamo rimasti nella casa due giorni e l'ordine era di sparare per uccidere. Bisognava colpire non solo gli uomini armati ma chiunque si trovasse su un tetto o un balcone o guardasse fuori da una finestra. Ogni due ore la telefonata di un ufficiale ci chiedeva cosa stavamo facendo : perchè non sparate? Perchè non c'è nessuno a cui sparare, rispondevo io. D'un tratto abbiamo visto un uomo in piedi su un tetto. E' rimasto lì a lungo, guardava e basta.
Ho ricevuto l'autorizzazione a far fuoco e due dei miei tiratori scelti lo hanno ucciso.
"
Queste sono solo alcune delle decine di testimonianze di ex soldati dell'esercito israeliano che sul suo sito web si autodefinisce " il più morale del mondo" e che sostiene di impartire ai suoi soldati la dottrina etica secondo cui gli stessi "non devono usare le proprie armi e il proprio potere per ferire persone non combattenti o prigionieri di guerra, e devono fare tutto ciò che è in loro potere per evitare di attentare alla vita, al corpo, alla dignità o alle proprietà degli individui " .
(Per ulteriori informazioni : www.shovrimshtika.org ; www.breakingthesilence.org )

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giovedì 27 dicembre 2007

Scienza o fantascienza

Premessa
Quel che segue è un riassunto da me liberamento tratto da un articolo pubblicato sul numero 618 di "Internazionale" del 2005 dal titolo "Cervelli da rifare" a firma di Lauren Slater.La speranza è quella di suscitare una discussione etica.
Curare i disturbi ossessivi e la depressione è oggi possibile.
Il signor Mario Della Grotta, americano di Rhode Island, era affetto da ansie così profonde che qualunque terapia sembrava inutile.I suoi medici dopo continue ricerche e diversi tentativi (sono arrivati al punto di provare circa quaranta combinazioni diverse di farmaci), hanno proposto la neurochirurgia come ultima spiaggia.La Medtronic, un'azienda che realizza dispositivi per curare i disturbi del movimento nei malati di Parkinson, ha modificato i suoi prodotti in modo che potessero essere usati anche per problemi psichiatrici comuni ma difficili da curare: l'ansia e la depressione; questi dispositivi sono dotati di otto elettrodi, quattro per emisfero, che emettono impulsi elettrici per bloccare determinati circuiti cerebrali.Il paziente, cosciente del fatto che in caso di effetti negativi avrebbe potuto far spegnere gli impianti neuronali, accettò di sottoporsi all'intervento.In sala operatoria fu sottoposto ad anestesia locale, il cranio era stato rasato e il cervello misurato con precisione millimetrica con la risonanza magnetica, aveva un casco stereotattico che forniva una mappatura del cervello e inoltre era stato sottoposto a una serie di test per stabilire dove installare gli impianti.I chirurghi ultimarono la trapanazione in pochi minuti, e poi ci vollero un paio d'ore per collocare gli elettrodi. Secondo la prassi neurochirurgica, Mario rimase sveglio per tutto il tempo. Il chirurgo infilò nei fori due fili da 1,27 millimetri, ai quali erano stati attaccati i minuscoli elettrodi di platino e iridio. E' come pescare nel ghiaccio: c'è il lago piatto e spoglio, si apre il buco, l'acqua scura esce fuori come sangue dall'apertura, poi il lento abbassarsi del filo e la lunga ricerca del posto dove si trova il pesce.Mario non sentiva niente, perchè il cervello, la sede di tutte le sensazioni, è privo di nervi sensoriali. Poi i chirurghi impiantarono due batterie (che dopo qualche mese vanno sostituite), una per ogni clavicola, e fecero scorrere delle sonde sotto la pelle del collo fino agli impianti. Le batterie, controllate a distanza, alimentano gli elettrodi quando il medico fa scattare l'interruttore che regola la corrente.Una volta completato l'intervento è necessario far trascorrere il tempo necessario per far rimarginare i fori e affinchè il gonfiore alla testa diminuisca. Dopo circa tre settimane il soggetto si è presentato dallo psichiatra per l'attivazione."Mario ricorda ancora il momento esatto in cui si accesero: 'Mi sentii invaso da una strana ondata di tristezza', dice.""Si può cambiare il comportamento molto in fretta. Il rovescio della medaglia è che può essere pericoloso. E' davvero una forma di controllo della mente...", spiega Steven Rasmussen uno degli psichiatri di Mario; e ancora, "Quando parla di quel periodo gli vengono le lacrime agli occhi: 'Era come un miracolo, ho ancora qualche sintomo del disturbo ossessivo-complessivo, ma molto leggero. Mi hanno salvato la vita..."
Conclusioni.
In tre centri di ricerca statunitensi sono state sottoposte a impianto quindici persone affette da disturbi ossessivi compulsivi ed è stato rilevato che i miglioramenti avvengono sul 50% dei pazienti. Potenzialmente esiste un enorme mercato e ovviamente nascono dubbi etici al proposito, tanto che anche il neurochirurgo Rees Cosgrove ad una riunione del Consiglio di bioetica nel 2004 invitava alla cautela: "Se non facciamo le cose con attenzione e bene, non credo che avremo un'altra opportunità. Oggi, qualunque neurochirurgo è in grado di farlo. E' questo l'elemento pericoloso: è facile."Considerando che non esiste una regolamentazione ufficiale che vieta l'uso di questi impianti e considerando altresì che i farmaci sono continuamente usati per scopi diversi da quelli previsti nel foglietto illustrativo sorgono alcune domande:- Cosa impedirà a neurochirurghi curiosi o senza scrupoli di eseguire queste operazioni?- Quanto tempo passerà prima che gli impianti siano usati per trattare forme meno gravi di malattia?- Cosa impedirà alla gente di ricorrere agli impianti per migliorare le proprie prestazioni?- Cosa impedirà agli Stati di usare questa tecnica per controllare le menti dei detenuti?Nel 1972 Louis Jolyon West, dell'università della California, istituì il Centro per lo studio e la riduzione della violenza, che condusse ricerche in diverse prigioni californiane. Un giornalista del Washington Post, realizzando un'inchiesta, scoprì un precedente....
Nel 1968 alcuni funzionari del carcere di Vacaville avevano impiantato degli elettrodi su tre detenuti, tra cui uno minorenne, con l'aiuto di medici militari.

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